(Titolo originale Jour d’été)
Trad. Antonio Castronuovo, Ed. Via del Vento, Collana I quaderni di Via del Vento, Pistoia, Luglio 2009, pp. 36
 
“Oh! Tutto è finito da tempo, mormorò lei sfinita”
 
Capita a volte di scoprire veri e propri gioielli letterari quando meno te lo aspetti.
Un paio di mesi fa, all’uscita dalla Libreria Mel Bookestore nella mia città -dove avevo acquistato La tempestosa vita di Lazik, paradossale romanzo di Ilja Ehrenburg, appena regalatoci da Giuntina come quinto protagonista della collana “Diaspora”- lo sguardo mi cadde su un volumetto posto sul bancone di fianco alla cassa. Un piccolo quaderno color beige chiaro: Irène Némirovsky, Giorno d’estate. La casa editrice, per me sconosciuta, portava un nome quanto mai evocativo: Via del vento.
Da una rapida visura sul web venni a sapere che “C’è una via a Pistoia dove il vento spira anche quando la calura agostana come una cappa di piombo soffoca la città. Questa via, per tale singolarissima caratteristica, fu battezzata ‘via del Vento’ e mantenne questo nome sino alla fine dell’Ottocento, quando le fu mutato in ‘via Ventura Vitoni’ per ricordare il celebre intagliatore e architetto pistoiese…..”. Ed ancora, nella stessa via del Vento avevano vissuto, negli anni, in modo pressoché continuativo, scrittori e uomini di lettere, tra i quali Gianna Manzini.
Per iniziativa del pittore Fabrizio Zollo, al numero 14 di detta strada, sono nate nel 1991 le Edizioni “Via del Vento”, allo scopo di far conoscere e proseguire la tradizione letteraria del luogo. Le Edizioni pubblicano, in numero limitato, testi inediti e rari dell’Ottocento e Novecento di autori italiani e stranieri in tre collane “I quaderni di via del Vento” e “Ocra gialla”, entrambe inaugurate con testi di Piero Bigongiari e Gianna Manzini, nonché “Acquamarina”.
Tra gli Autori pubblicati nei vari quaderni troviamo Franz Kafka (Il ponte) , Isaak Babel’ (Nello scantinato), Bruno Schulz (L’epoca geniale; ricordate?); ma ci sono pure, pensate, sommi pittori, come Pablo Picasso, Paul Cézanne o Gustav Klimt, desiderosi di cimentarsi con forme espressive diverse da quelle loro più familiari. Quali nuovi mondi, ad esempio, avrà dipinto Klimt in Lettere a un’amata ?
La scelta di dare alla stampe un breve racconto di Irène Némirovsky esprime attenzione nei confronti di questa scrittrice, nota alla maggioranza dei lettori italiani da pochi anni. Infatti, a parte Come le mosche d’autunno (Feltrinelli, 1989) e Il bambino prodigio, edito nel 1995 da Giuntina con la traduzione di Vanna Vogelmann (entrambi conosciuti da una relativamente ristretta cerchia di appassionati), è solo con la pubblicazione presso Adelphi nel 2005 di Suite francese che vengono apprezzate la figura e l’opera di un’Autrice, da considerare tra i maggiori narratori del Novecento.
Nata nel 1903 a Kiev da una ricca famiglia ebraica di origini francesi, Irène cresce senza l’affetto dei genitori: il padre, potente banchiere, sempre impegnato con i suoi affari; la madre è una donna fredda ed egocentrica. La ragazzina si appassiona ben presto alla letteratura -in primo luogo francese-, alla scrittura ed alle lingue. Dopo il russo e il francese (conosciuto grazie alla governante) ella studia e impara il polacco, l’inglese, il basco, il finlandese, lo yiddish.
Nel 1917, a causa della Rivoluzione, la famiglia lascia la Russia e si stabilisce definitivamente in Francia. Laureatasi alla Sorbona e pubblicato il suo primo lavoro letterario nel 1921, nel 1926 Irène sposa Michel Epstein, giovane ingegnere, dal quale avrà due figlie (Dénise, nel 1928, e Élisabeth, nel 1937). Il suo primo romanzo David Golder (1929), pubblicato da Grasset, riscuote grande successo. Segue un periodo fecondo di rilevante produzione letteraria.
Per gli Ebrei si preparano tempi cupi.
Nella vana speranza di salvarsi dal nazismo dilagante in Europa, negli anni successivi Irène si converte al cristianesimo e fa battezzare le figlie. Invano. Arrestata, muore ad Auschwitz nell’agosto 1942 (non si sa se di tifo o perché uccisa nella camera a gas); il coniuge amato subirà la medesima sorte poco tempo dopo.
Nei mesi che precedettero il suo arresto ella aveva composto di getto i primi due romanzi di una grande "sinfonia in cinque movimenti" con l’intento di raccontare, per così dire in tempo reale, la tragica parabola della Francia conquistata dai nazisti: Tempesta in giugno (la fuga in massa dei parigini alla vigilia dell’arrivo dei tedeschi) e Dolce (l’amore impossibile tra una "sposa di guerra" e un giovane militare tedesco).
Dopo l’arresto dei genitori, Dénise e Élisabeth si nascondono grazie all’aiuto di alcuni amici di famiglia e portano in salvo, nascosti in una valigia (loro inseparabile compagna per tanto tempo!), i manoscritti inediti della madre, tra cui Suite francese, che riunisce i due racconti di cui sopra.
Grazie a Dénise, cui per troppi anni il dolore aveva impedito di leggere quelle pagine, il romanzo è pubblicato con enorme successo, in Francia, nel 2004 dalle Edizioni Denoël, e, l’anno dopo, nel nostro Paese, da Adelphi.
Tornerò entro breve tempo sulle opere maggiori di questa grande scrittrice.
Al momento focalizzo l’attenzione su Jour d’été, uscito, com’è scritto nell’esauriente postfazione di Antonio Castronuovo, nel 1935 su La Revue des Deux Monde, quale primo di quattro racconti pubblicati da Nèmirovsky sul prestigioso periodico letterario francese.
Ideale introduzione è una foto estiva dell’Autrice, seduta sul muretto di una casa di campagna, tra due piante in vaso. Una donna giovane, magari non bella secondo i prevedibili canoni tradizionali, ma dallo sguardo forte, lievemente interrogativo. Col pollice e l’indice della mano destra regge un oggetto, non ben identificabile: magari si tratta di un sassetto con cui ha appena giocato a farlo rimbalzare sullo specchio d’acqua poco lontano.
Il racconto è ambientato in una grande villa di campagna posta nell’Île de France, la regione attorno a Parigi. La piccola Anna Maria si appresta a festeggiare il suo quinto compleanno; è felice e gioca, apparentemente spensierata. Tutta la natura di un giorno d’estate sembra esistere grazie a lei e per lei. La gioia della bambina è tuttavia velata da una certa inquietudine perché ella, sotto le filastrocche recitate a più riprese, percepisce in modo istintivo, com’è tipico dell’età, il contrasto che oppone l’un l’altro i genitori, entrati in scena poco dopo.
La madre, Simone, le si rivolge con voce “pungente e irritata”, quasi che la figlia avesse combinato qualcosa…..Irène evoca il ricordo della propria madre, così lontana e avara di affetto.
Il padre, Francis Morcenx, precocemente invecchiato, insoddisfatto, è uno di quegli uomini all’antica che ritengono comportamento obbligato il non parlare alla moglie dei propri problemi.
Tra i due coniugi vi è incomprensione, incapacità di dialogo vero, fastidio per un nonnulla e quel non so che di risentimento, un rinfacciarsi qua e là…il continuo brontolio vittimistico di lei, pronto a deflagrare in scenate di gelosia, con il materializzarsi nella mente di un’ipotetica rivale dell’esistenza della quale, tuttavia, ella non ha né indizi, né tantomeno prove; ma ciò, si sa, interessa poco.
I due hanno, come terreno comune, ormai solo un frettoloso (e freddo) trattare i problemi pratici quotidiani e il biasimo nei confronti del padre di Simone, il padrone della casa.
Realtà incapsulata nelle convenzioni che scandiscono i vuoti riti di ogni giorno. Un solo momento di spontaneità: sulla strada polverosa, “oltre il cancello, passarono dei bambini a piedi nudi…”, una simbolica danza ancestrale, visione scomparsa ben presto.
Eccolo, il padrone di casa, il vecchio Ferdinand Lucain, ritratto con poche, efficaci pennellate. Freddo, sicuro del dominio esercitato sugli altri, considerati solo come esseri a sua disposizione, a cominciare dai più stretti familiari. La sicurezza gli deriva dalla posizione socio economica di cui gode, ma l’ombra della morte gli s’insinua accanto pian piano per prendersi gioco di lui…
Racconto brevissimo, molto intenso proprio per questa sua concentrazione, che si svolge su due piani, ad una prima occhiata estranei, ma in realtà intimamente collegati tra loro. E’ il padre di lei la vera causa del dissidio tra Simone e Francis; quest’ultimo sconta la scelta di un “matrimonio d’interesse” e ritiene di prendere una decisione da uomo di carattere andandosene di casa, cioè rimuovendo il problema; ma probabilmente non andrà lontano e ritornerà, prima o poi, inevitabilmente, per godersi le lagnanze della consorte e il disprezzo del suocero.   
Sotto il cielo di una natura calma e indifferente, pulsa il cuore della novella: il contrasto drammatico tra il desiderio di vita della piccola e le miserie degli adulti, sempre più soli e incapaci di amore partecipato ed autentico.
 
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