(Titolo originale A Serious Man; USA / Gran Bretagna / Francia, 2009 Genere: Drammatico, ma anche Commedia)
“Che significa tutto ciò?” “Accetti il mistero”
“Ho bisogno di aiuto!!!”
Come reagireste se la vostra vita serena di ineccepibile padre di famiglia e professore scrupoloso fosse sconvolta, ad opera (forse) di misteriose forze ostili? A chi chiedereste aiuto?
Ethan e Joel Coen, i fratelli terribili del cinema statunitense, autori di opere al…fulmicotone come Il grande Lebovski; Fratello dove sei?; Prima ti sposo, poi ti rovino; Ladykillers; Non è un paese per vecchi; Burn after reading, ci presentano ora il più ebraico dei loro film, un ritorno alle origini di due ebrei cinquantenni (o poco più) nati e cresciuti a Minneapolis.
Dopo essere stata presentata al Toronto International Film Festival il 12 settembre 2009, la pellicola è stata distribuita negli Stati Uniti a inizio ottobre; in Italia è stata presentata fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2009 e successivamente distribuita nelle sale da Medusa Film a partire dal 4 dicembre scorso.
Scritto, diretto e prodotto da entrambi i Coen, A Serious Man racconta le disavventure di Larry Gopnik, un uomo coscienzioso, attento padre di famiglia e membro attivo della locale comunità ebraica. La storia si svolge a St. Louis Park, Minnesota, a metà degli anni ’60, un ambiente ricostruito alla perfezione, con le acconciature femminili cotonate e certe camicie maschili estive, abituali in quel periodo. Larry è docente di fisica in una piccola università -e in attesa di un posto presso un Ateneo più prestigioso-, alle prese con diversi problemi quotidiani: lo squinternato fratello Arthur si è installato in casa sua e non ha alcuna intenzione di sloggiare, la figlia Sarah passa il tempo a lavarsi i capelli (e gli sottrae danaro dal portafogli per sottoporsi ad un intervento di rinoplastica), il figlio minore Danny, anziché prepararsi a dovere in vista dell’ormai prossimo Bar Mitzvah (cerimonia religiosa a seguito della quale un ragazzo entra a far parte a pieno titolo della comunità), fuma spinelli e ascolta, durante le lezioni, la musica di un complesso rock in voga, i Jefferson Airplane. Per soprammercato uno studente coreano, da lui bocciato, cerca di corromperlo per ottenere la promozione; sempre pronto, peraltro, di fronte ad un eventuale rifiuto, a denunciarlo per diffamazione.
Mentre è in attesa dell’esito di alcune lastre radiologiche, il mondo pare crollare addosso a Larry  quando, con totale non chalance, la moglie Judith gli annuncia di voler divorziare per potersi sposare -secondo tutti i “carismi”, in sinagoga- col migliore amico della coppia, Sy Ableman, vedovo di fresca data, cui entrambi erano stati vicini nel momento del dolore. Anche Sy trova quanto accaduto del tutto ovvio; anzi, nel corso di un incredibile colloquio, cerca di persuadere Larry sulla bontà della nuova situazione; e conclude pure il suo dire con un “Ne usciremo alla grande!”, accompagnato da uno sgradito abbraccio.
Sconfortato da tale massa di guai, Larry (interpretato da un ottimo attore teatrale, Michael Stuhlbarg) si rivolge a tre rabbini (assai diversi tra loro per età ed esperienza), al fine di conoscere, lui che desidera essere un uomo davvero serio, la volontà del Signore, Hashem,  il Nome per eccellenza.
Intanto i contrattempi si moltiplicano ed assistiamo ad una girandola dell’assurdo, con il condimento dell’inevitabile guasto dell’antenna televisiva posta sul tetto dell’abitazione del protagonista, la morte improvvisa dell’avvocato esperto in divorzi cui egli si era rivolto, le soperchierie del vicino di casa antisemita, oltre ai turbamenti provocati al nostro professore dalla vicina di casa fascinosa, abituata a prendere il sole completamente nuda.
La parabola esistenziale di Larry ricorda, in versione tragicomica, la vicenda di Giobbe, anche se, manco a dirlo, i due Autori hanno negato, in occasione di un’intervista, qualunque relazione voluta con il personaggio biblico.
Opera in apparenza lieve ed ironica, è in realtà molto profonda, suscettibile delle più diverse interpretazioni, in grado di aprire nuove piste per decifrare la realtà in cui siamo immersi e alla quale contribuiamo -talvolta, non certo sempre!- a dar vita; in ogni caso senza che vi sia mai alcuna certezza. Un film, per certi aspetti, difficile da digerire, talora irritante, che lascia un leggero sapore di amaro in bocca e non sarà, ritengo, un “successone”, ma verrà molto apprezzato ed amato da chi avrà la pazienza e la concentrazione di vederlo senza pregiudizi, consapevole di quanto la nostra parabola umana contenga sovente un non so che di inatteso.
D’altronde, l’Ebraismo non è, esso stesso, la fede dell’Attesa, e non solo di un ipotetico Messia?
La stessa fisica insegnata con passione dal protagonista, poi, non ha nulla, per così dire, di “dogmatico”: il “Principio di indeterminazione di Heisenberg” o “il Paradosso del gatto di Schroendinger”; con il gatto, chiuso nella gabbia, tanto somigliante all’uomo in balìa degli eventi.
Ogni avvenimento, ogni istante sono imprevedibili e difficili da decifrare. Quell’addensarsi di nuvoloni all’orizzonte, per esempio: si tratta di un pericoloso tornado pronto a scatenarsi in tutta la sua catastrofica irruenza o è un semplice temporale?
E alla fine, quando tutto sembra rientrare nei ranghi, giunge una TELEFONATA.
Sarà lo spettatore a inventarsi il finale della vicenda.
E il termine del film si collega al suo inizio, con dialoghi in yiddish, che, ad un primo sguardo, ne sembrava del tutto slegato; se non per lo scopo di accentuare, sin dal prologo, il carattere ebraico della storia.
L’anziana figura maschile che, in una notte di tormenta, bussa alla porta dell’abitazione di una coppia di coniugi in uno shtetl (villaggio) vicino a Lublino, a inizio Novecento, è davvero quel certo Rebbe (uomo di particolare autorità morale), caro al marito e da lui invitato a cena, o invece si tratta di un dibbuq (demone), come sostiene la moglie, visto che ella sa per certo che detto Rebbe è morto pochi giorni prima, ma che, per varie ragioni, non ha avuto una sepoltura secondo le regole religiose e quindi ora la sua anima vaga inquieta?
La donna, terrorizzata, colpisce lo sgradito ospite con un pugnale per cacciarlo e liberarsi dalla scomoda presenza ed egli non fa una piega: il terribile sospetto di lei sembrerebbe fondato.
Tuttavia subito appare sulla camicia dell’uomo una macchia rossa…. E si sa che i dibbuq non sanguinano….La figura si allontana nel buio e tra la neve, barcollando leggermente.
Quale sarà la conclusione?