(Titolo originale Nof im sheloshah Etzim)

 
Trad. Elena Loewenthal, Ed. Nottetempo, Febbraio 2009, pp. 108
 
“Apparentemente i personaggi del libro vivono le loro vite in parallelo e non sono coscienti del fatto che ciascuno di loro svolge un ruolo nelle fantasie di un altro. Ma la fantasia li circonda, svolge il ruolo della realtà, indirizza il loro comportamento”.
 
Queste le riflessioni dello scrittore israeliano Yehoshua Kenaz a proposito del suo romanzo La grande donna dei sogni, uscito in Italia da Giuntina (2005) nella collana “ISRAELIANA”, insieme a Voci di mutuo amore (il cui originale ebraico suona più o meno così: La via verso i gatti).
Nato nel 1937, egli ha studiato Filosofia e Lingue romanze alla Hebrew University e Letteratura Francese alla Sorbona. Il suo primo romanzo lo scrisse a Parigi, inviandolo al giornale Keshet con lo pseudonimo di Avi Otniel (figlio di Otniel). Ha raggiunto la celebrità in Israele nel 1986, quando il suo Infiltration, non (ancora) tradotto in italiano, è stato dichiarato come una delle dieci più importanti opere della letteratura israeliana: narra le vicende di un gruppo di giovani reclute con alcune disabilità fisiche addestrate in un campo militare negli anni ’50.
Kenaz, oltre che scrittore, è anche un ottimo traduttore dal francese: a lui gli israeliani sono debitori della trasposizione in ebraico dei classici del passato come Balzac, Stendal o Mauriac e degli autori moderni come Simenon; in un’intervista ha dichiarato che se Israele è la sua patria, la Francia è il suo mondo.
Il 16 maggio, in occasione della XXII Fiera Internazionale del Libro di Torino, nello spazio “Grandi ospiti”, l’Autore presenta la sua ultima opera uscita quest’anno in Italia, Paesaggio con tre alberi, edita da Nottetempo come la precedente, Cortocircuito (2007). Accanto a lui Elena Loewenthal, che ne è pure la traduttrice.
Paesaggio con tre alberi è un romanzo breve, ma intenso, ambientato a Haifa negli ultimi tempi della Seconda Guerra Mondiale e del Mandato britannico sulla Palestina.
L’ambientazione, come in “Cortocircuito” o ne “La grande donna dei sogni”, è un condominio: allegoria della convivenza, della mescolanza tra esistenze, passioni e sentimenti, dove l’estraneità di ciascuno alle vicende degli altri è solo apparente.
Protagonisti sono due famiglie, assai diverse tra loro come provenienza, abitudini, esperienze.
Da una parte c’è una coppia giovane, della quale l’A. non dice il cognome: Harry (impiegato presso una base militare inglese) e Becky. Hanno un figlio di pochi anni, chiamato per lo più “il bambino”, ma il cui nome, rivelato solo un paio di volte, è emblematico, Salomon. E’ lui il protagonista della storia, una creaturina svelta e sensibile, un grande osservatore, pronto a lasciare l’appartamento in cui vive per esplorare il mondo fatato dell’altra famiglia, i padroni di casa, gli Hazon, originari del Cairo. Qui il capofamiglia -afflitto da seri problemi alla vista (porta infatti perennemente un paio di occhiali scuri) e la moglie -una donna alta e magra, con i capelli raccolti- sono persone di mezza età, occupati nel negozio di alimentari gestito in società con un arabo. Come lingua corrente essi usano l’arabo (il padre) e il francese (la madre), particolare che, insieme all’abitudine dell’uomo di fumare il narghilè, suscita una grande curiosità nel bambino. I pavimenti della loro casa sono coperti da alcuni tappeti in pelliccia d’agnello, dove il piccolo ama sedersi, con grande sollazzo suo, ma con viva contrarietà della madre, convinta che vi si annidino uova di pidocchio (in realtà questo inconveniente è comune ad altri ragazzi frequentanti la stessa scuola di Salomon).
La famiglia Hazon è numerosa: a parte tre figlie maggiori sposate che vivono altrove, conosciamo presto Alice, una ragazza taciturna e triste perché non ha ancora trovato marito; mentre i genitori sono al lavoro, si occupa delle faccende domestiche, terminate le quali ella lavora a maglia con una velocità incredibile. Vi sono poi due gemelli, maggiori di sei o sette anni rispetto a Salomon: Rachel, alta e magra come la madre, frequenta la scuola per segretarie; è dolce, sensibile e sinceramente affezionata al bambino; mentre Shlomo, “basso e largo come il padre”, che aiuta nel negozio, sfodera un perenne sorriso di diffidenza; detesta gl’inglesi e non sogna altro che cacciarli via come cani, “finita la guerra”. Il ragazzo eccita la fantasia del giovanissimo vicino di casa, al punto che quando la polizia effettua una perquisizione in casa Hazon, questi sospetta che Shlomo, notorio attaccabrighe, faccia addirittura parte della celebre banda Stern.
Il mondo variopinto degli Hazon, nei colori, nei sapori, nelle abitudini è un forte richiamo per il bambino. Che piacere, ad esempio, andare con Rachel al negozio quando lei sostituisce la madre, e sognare di diventare, a sua volta, negoziante: indirizzare, con le parole giuste, i clienti verso una certa merce, ricevere i pagamenti, dare il resto prelevandolo da una cassetta….
Un ambiente assai diverso da quello dei genitori, un po’ asettico, dove l’unica nota di colore è rappresentata dalla pittoresca cugina di Becky, un personaggio sognante immerso in un mondo tutto suo: Tamara, che abita a Gerusalemme in un appartamento arredato in stile orientale, solita far loro visita in occasione delle feste. Appassionata di India (in passato vi ha conosciuto il grande poeta Rabindranath Tagore e ne ha studiato gl’insegnamenti), ha occhi e capelli nerissimi; dita lunghe e sottili, con unghie laccate di rosso. Instancabile lettrice, scrive, a sua volta, libri per bambini, inevitabilmente destinati a Salomon, peraltro suggestionato più da lei, con il suo fascino esotico, che dalle sue novelle.
In questo microcosmo, popolato da figure che paiono slegate tra loro, irrompe un personaggio in apparenza del tutto estraneo. Un giovane militare inglese, Franck -di stanza presso la vicina “casa rossa”, sede della polizia militare-, capita per caso nell’appartamento abitato dal bambino con i genitori (verremo però a scoprire che la casualità non c’entra affatto). Di famiglia modesta, si sente triste e solo, catapultato in un mondo ostile, circondato da commilitoni coi quali non riesce a legare. L’unico motivo di consolazione per lui è quello di ricopiare su un foglio, prima a matita poi con inchiostro nero, un’opera del grande pittore fiammingo seicentesco Rembrandt. Si tratta di un’incisione su piastra di metallo, composta nel 1643 e raffigurante un paesaggio di campagna con tre alberi sullo sfondo (ne ho rinvenuto una fotografia sul bel volume di J.Bolten-H. Bolten Rempt “Rembrandt”, Mondadori, 1976, p. 96), riprodotta in una rivista, che egli porta sempre con sé insieme al foglio sul quale prende forma pian piano la sua “rivisitazione”. Harry -più distaccato e diffidente, specie all’inizio- e Becky -serena e più disponibile- lo incoraggiano in questa passione, intravedendovi un notevole talento.
“Franck rise. Non l’avevano mai sentito ridere così…e in quel momento si notarono più che mai gl’incisivi all’infuori, con quello spazio in mezzo che gli conferiva un’espressione strana, un po’ animalesca e così contrastante con la parlata sommessa…Continuò a osservare il dipinto e…disse: C’è molto colore ma ci sono pochi dettagli”. La ragione di vita del giovane risiede in quell’opera: egli è affascinato dalla quantità di particolari, tutti significativi, che la caratterizzano, scoperti pian piano sia da lui, sia dagli osservatori: “Voi parlate molto di particolari, continuò Harry, è la cosa che conta di più, per voi?…..Lui ci pensò…..rispose: I particolari sono come la nostra vita, no?”.
Quando il lavoro è terminato, il militare, trasferito ad altra unità come da sua richiesta, lo regala ai nuovi amici. Mentre osservano il disegno, essi si rendono conto che è carico di una cupezza e di un’angoscia che mancano nell’artista fiammingo: ad es. la scena pastorale, nella riproduzione, ricorda una regione desertica con i tre alberi in cima alla collina “simili a sentinelle armate”. E il cielo: il cielo di Franck “in effetti era più opprimente, la vita sulla terra lì sembrava quasi schiacciata….” La tragedia che si sta consumando in Europa, per vie misteriose, giunge fino a loro.
Tuttavia, per ragioni altrettanto misteriose, è questo disegno ad avvicinare, in qualche modo, le due famiglie. Proprio nel momento in cui Franck si congeda, Kenaz, con sorprendente suggestione, tratteggia da par suo l’aspetto dei due giovani coniugi (tra l’altro l’esperienza lavorativa di Harry ricalca quella del padre dello scrittore) e conclude: “Quelli furono i giorni più belli della loro vita”.
In uno stile di forte coinvolgimento, con descrizioni minuziose e parlanti, mai ridondanti o banali, che rendono questo breve, densissimo romanzo -semplice nel linguaggio, complesso nell’intreccio dei sentimenti- paragonabile all’opera nella quale il giovane inglese ha riversato tutto se stesso, l’A. rende molto bene l’ambiente modesto, ma multiforme e carico di contrasti in cui si muovono i protagonisti, a cominciare dal bambino, posto di fronte ai problemi del mondo adulto, con i quali comincia a fare i conti. La morte, la vita, la politica -il riscatto nazionale contro le forze occupanti britanniche-, la sessualità, scoperta in un certo particolare della riproduzione, che c’è e non c’è.
E, nell’ultima pagina, per bocca di una figura, dal significativo nome di Herzl, appena tratteggiata perché rimasta sullo sfondo della narrazione, ecco la verità su quanto è accaduto in Europa agli ebrei. Espressa, “quasi sottovoce”, in una breve, terribile frase.
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