lora-piu-buia

 

(Titolo originale Darkest Hour; GRAN BRETAGNA, 2017; Genere: Drammatico)

 

Winston Churchill: “Mi assumo la responsabilità!”

Visconte Halifax: “Davvero?”

Winston Churchill: “Davvero sì, Signore!!! Ed è la ragione per cui occupo questa sedia!!!”

 

Reporter: “Deve rispondere al Lord del sigillo privato”

Winston Churchill: “Sono sigillato in gabinetto! Penso di potermi occupare solo di una cacca alla volta!”

 

 

Maggio 1940: momento difficile per l’Europa e, in particolare, per la Gran Bretagna.

Il successo delle armate tedesche in Norvegia è all’origine della crisi nel governo di Londra, presieduto dal conservatore Neville Chamberlain; l’uomo che aveva firmato, nel 1938, il famigerato Patto di Monaco con Adolf Hitler, “regalandogli” la Cecoslovacchia nell’illusione di placare così la fame dell’insaziabile dittatore. Insomma la trita formuletta “terra in cambio di pace”, sempre foriera di guai, in qualsivoglia contesto.

Premessa. Dopo l’invasione della Polonia nella notte tra il 31 agosto e l’1 settembre 1939 da parte dell’esercito hitleriano, scattato l’ultimatum alla Germania da parte di Francia e Gran Bretagna, lo stato di guerra tra le tre potenze non si era concretizzato in ostilità terrestri sul fronte occidentale, ma solo marittime; e quindi in scontri anglo / tedeschi in Norvegia. Gl’inglesi, infatti, si erano infiltrati in quel Paese, ma ne erano stati cacciati dai Tedeschi (primavera 1940).

La “dannata” spedizione era costata al governo britannico 1800 soldati, una portaerei, due incrociatori, sette cacciatorpediniere e un sottomarino.

Il contesto è dunque di crisi totale, culminante a maggio con la caduta della Francia, la quale non aveva opposto resistenza all’invasione; come del resto, poche settimane prima, Danimarca, Olanda, Belgio.

L’Europa è in grave pericolo e sta correndo verso il disastro senza reagire.

In questo difficile momento, Winston Churchill (Winston Leonard Spencer Churchill: Woodstock, 30 novembre 1874 / Londra, 24 gennaio 1965), quale Primo Lord dell’Ammiragliato (leggi: Ministro della Marina), si assume la responsabilità del fallimento norvegese in occasione della seduta alla Camera dei Comuni del 9 maggio.

L’uomo, com’è noto, non gode di buona fama.

Molti si ricordano del disastro di Gallipoli nel 1915, durante la Prima Guerra Mondiale, che rischiò di farlo uscire per sempre dalla Storia; diversi gli rimproverano una certa disinvoltura politica. E’ personaggio arrogante, sempre, per così dire, border line, grande amante del cibo e del whishy, forte fumatore, dotato di un irritante senso dell’umorismo che non guarda in faccia a nessuno, con stravaganti ritmi di vita (in pratica lavora di notte e dorme una discreta parte del giorno); “innamorato del suono della propria voce”, come insinua qualche maligno.

Ma quella decisa assunzione di responsabilità attira l’attenzione generale; fa colpo perfino sul Primo Ministro in carica, così diverso da lui, come idee e carattere.

Chamberlain, proprio nella medesima seduta, viene sfiduciato dal Parlamento: gli si rimprovera, pressoché all’unanimità, di aver collezionato una lunga serie di fallimenti, una catena di cui la Norvegia è solo l’ultimo anello.

Al momento della votazione, sia pure per poco, il Primo Ministro prevale, ma comprende, specie dopo che ben 41 deputati del suo stesso partito conservatore gli hanno votato contro, che è giunto il momento di lasciare la carica. Tra l’altro è gravemente malato di cancro al colon e morirà poco tempo dopo.

Da notare che, al ritorno in Patria da Monaco, Chamberlain era stato accolto da manifestazioni di entusiasmo, per aver “salvato la pace”. Ma, evidentemente, complici le successive circostanze, un po’ come i re di Roma, paulatim in odium venit.

Suo successore “naturale” è ritenuto Edward Wood, Conte di Halifax, già Viceré dell’India (dal 1926 al 1931), poi, dal 1938, Ministro degli Esteri; a sua volta fautore di una linea di appeasement con la Germania, nonché amico personale di Re Giorgio VI.

Per i paradossi della Storia e della Vita, sono proprio l’insistenza del sovrano, unita a quella dello stesso Chamberlain, a suscitare in Halifax una certa esitazione. Egli prevede con lucidità che le armate del Terzo Reich travolgeranno ben presto l’Europa e che, qualora venga nominato Capo del Governo, gli sarà recapitato un conto assai più alto di quello presentato al predecessore. Meglio quindi rinunciare, lasciando a qualcun altro la “patata bollente”. Qualcuno destinato a venire travolto dall’inevitabile disastro.

A questo punto, chiamato da Sua Maestà, egli, Halifax, sarebbe rientrato in scena, forte di un piano negoziale concordato con Benito Mussolini, nientemeno (e, suo tramite, con Adolf Hitler).

Il Paese lo avrebbe acclamato come colui che riporta la pace.

 

Il Re quindi incarica, sia pure malvolentieri, Winston Churchill, il quale non ha (è inevitabile) buoni rapporti con Halifax -anche se, sia pure per qualche tempo, lo conferma agli Esteri-.

Soprattutto è spirito combattivo, niente affatto disposto a concessioni nei confronti di Hitler; verso il quale prova un’avversione di pelle (“quel caporale, quel…moccioso”) e di cui ha compreso, come pochi, l’indole intrinsecamente malvagia.

Il nuovo Primo Ministro, nominato il fatidico 9 / 10 maggio 1940, deve assumere decisioni cruciali per la sorte del suo Paese (e non solo). Preso atto del disastro francese, avvenuto proprio in quei giorni, il bivio è tra: cercare una pace / resa con la Germania oppure continuare a combattere, confidando in una riscossa, che potrebbe iniziare dalla liberazione dei 300.000 militari britannici intrappolati sulle coste settentrionali della Francia, a Dunkerque [1]?

Una sfida difficilissima.

 

E’ in questi giorni nelle librerie il saggio di Antony Mc Carten L’ora più buia. Maggio 1940: come Churchill ha salvato il mondo dal baratro (Ed. Mondadori, Trad. Maria Grazia Bosetti e Luca Vanni, pp. 276, €. 19,50) [2].

Lo studioso, pure drammaturgo, ricostruisce quei giorni drammatici in cui la Gran Bretagna decide di resistere dopo che la Germania ha debellato la Francia.

Da questo testo è liberamente tratta la pellicola che esce ora in Italia: L’ora più buia. Un film potente, un forte richiamo al dovere di difendere la democrazia anche a costo di gravi sacrifici.

Senza un filo di retorica, molto attuale in questi tempi  grami, anzitutto moralmente.

Ne è regista l’inglese Joseph “Joe” Wright (n. Londra, 25.8.1972), conosciuto principalmente per i film Orgoglio e pregiudizio (2005), Espiazione (2007), Pan (2015) e, prima ancora, l’insolito sotto diversi aspetti e, a mio avviso, stupendo Anna Karenina (2012), con Keira Knightley e Jude Law, nei ruoli, rispettivamente, di Anna e del pedante Conte Karenin. Una parte si potrebbe dire inconcepibile per Law, così fascinoso; ma è proprio in tali circostanze che scopri la stoffa dell’autentico attore.

L’Ora più Buia è quella delle decisioni cruciali: contro Churchill (notevole il realismo di Gary Oldman, irriconoscibile ed efficacissimo) sono i fautori del cedimento, della debolezza, della pace ad ogni costo. Il mondo, in una parola, riassunto nella figura di Halifax (Stephen Dillane) e, prima ancora, di Chamberlain (interpretato da Ronald Pickup, che ricordo come protagonista in uno sceneggiato televisivo di alcuni decenni anni fa su Giuseppe Verdi, assai ben fatto).

Figure, Chamberlain e Halifax, simbolo di coloro che nutrono con meticolosa cura il coccodrillo nella “speranza di essere mangiati per ultimi” (mi pare sia un’immagine dello stesso Churchill).

Ad un certo punto sir Winston sbatte in faccia al suo rivale la seguente frase, attualissima purtroppo oggi, un’epoca nella quale, ahinoi, di Churchill non se ne vedono (a meno che non si voglia vedere lo statista britannico nel piccolo, coraggioso Stato d’Israele), mentre i Chamberlain / Halifax sbucano ad ogni angolo di strada, temo più cinici e rovinosi degli originali:

“Dio santo! Quanti dittatori dovremo ancora vezzeggiare, blandire, favorire con immensi privilegi per capire che non si può ragionare con una tigre quando si ha la testa nella sua bocca!”

Con l’indispensabile supporto morale della moglie Clementine, Clemmie, resa benissimo dall’ottima Kristin Scott Thomas, il Primo Ministro si rivolge alla Nazione, deciso a convincerla a lottare e a proseguire la guerra per l’affermazione degli ideali democratici.

Un film girato pressoché tutto in interni. Il segretissimo Gabinetto di Guerra dagl’interminabili corridoi, dove si svolgono attività febbrili; il Parlamento di Westminster teatro di scontri politici furibondi; Buckingham Palace, Palazzo Reale: Sir Winston riuscirà a portare dalla sua pure Re Giorgio VI dopo un’iniziale diffidenza di quest’ultimo; Casa Churchill, per lo più Downing Street 10, la residenza del Primo Ministro: c’è spazio per momenti privati, in cui l’umanità dei personaggi, con paure, debolezze, speranze, emerge con forza ed emozione.

La guerra appare lontana fisicamente, ma in realtà s’impasta con la vita di tutti i giorni.

Da raccontare un episodio significativo; forse autentico, forse no; chissà. In ogni caso, affascinante.

Un giorno il Premier sale sulla metropolitana londinese (!) per sondare gli umori della popolazione.

Pare che talvolta lo facesse. Esponente dell’aristocrazia, è peraltro ben consapevole che la resa al nazismo  comporterebbe gravi conseguenze sui ceti popolari.

Quel giorno tutti lo riconoscono, ma, anziché far finta di nulla o insultarlo (il teatrino inevitabile di oggi), gli si avvicinano e si presentano. Una signora dichiara addirittura di portate il cognome Jerome, lo stesso della madre di Sir Winston (“…ma allora siano parenti….”).

Egli sonda le propensioni dei sudditi di Sua Maestà. La Francia sta per cedere, anzi si può dire che è caduta, i nazisti stanno per ghermire l’Inghilterra: Che si fa? Occorre trattare? “Never! Never!” Gridano tutti, di qualunque età, etnia, condizione sociale.

Qui Churchill matura in modo irreversibile la sua scelta, dalla quale deriverà il celebre discorso davanti al Parlamento.

Egli che, in un primo discorso, aveva garantito “sangue, sudore e lacrime” ora promette, oltre a pesanti sacrifici, anche la vittoria finale. Indispensabile per vivere.

“Abbiamo di fronte molti, molti lunghi mesi di lotta e sofferenza! Anche se tanti vecchi e importanti Stati sono caduti nella morsa del dominio nazista, noi difenderemo la nostra isola quale che sia il prezzo da pagare! Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sulle piste di atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline! Non ci arrenderemo mai! Perché senza vittoria non può esserci sopravvivenza!”

Con l’aiuto dell’instancabile segretaria Elizabeth Layton (la giovane Lily James) Churchill scrive e diffonde i discorsi che guideranno la Gran Bretagna alla vittoria. Egli, assumendosi le gravi responsabilità e aiutato pure da una buona dose di fortuna -non aiuta forse gli audaci?- riuscirà a cambiare il corso della Storia e a distogliere il mondo dalla catastrofe. Anche se saranno necessari altri cinque anni di tragico conflitto, con milioni di morti.

“Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di andare avanti”. E’ uno dei tanti suoi aforismi.

 

Sliding doors: se a Dunkerque fosse andata male e /o se Edoardo VIII, notorio ammiratore di Adolf Hitler, sovrano politically correct potremmo definirlo ora, non avesse lasciato il trono per la sua Wallis, che cosa sarebbe successo?

Ma, grazie al cielo, queste sono solo ipotesi di scuola.

Una domanda però è d’obbligo, nella situazione attuale, così propensa all’appeasement in nome di lucrosi affari; appeasement sostenuto in modo dogmatico verrebbe da dire, perché ogni posizione diversa dalla volgata corrente è rigettata con sdegno da una folta pubblica opinione superficiale, conformista, smemorata;  governi compresi.

Giova riflettere su quanto ha scritto giorni fa Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, in merito alla capacità -da parte dell’odierna, assurda cedevolezza- di spingere inesorabilmente le democrazie dentro il “vicolo cieco della trappola dei dittatori”. Violazioni dei diritti umani, attuate da queste dittature di fronte ai quali l’Occidente tace. Si tratti dei crimini perpetrati contro il popolo siriano, quello nordcoreano, quello curdo, quello venezuelano, quello iraniano. Quello palestinese; non ad opera di Israele, come ordinerebbe la suddetta marmorea volgata imperante da un cinquantennio; bensì da parte delle ben foraggiate (dai capitali europei) ghenghe al potere a Gaza e in Giudea e Samaria.

L’unico scopo di questi dittatori, sottolinea Molinari, è dimostrare la transitorietà degli ideali di libertà e democrazia di cui i Paesi occidentali, pur con tutte le loro viltà, cadute e incongruenze, sono portatori.

Sarà bene che ce lo ricordiamo, prima che altri ci obblighino, nell’ipotesi più lieve, ad un brusco risveglio.

 

 

 

 

[1] L’Operazione Dynamo (Operation Dynamo), conosciuta anche come “miracolo di Dunkerque” o “evacuazione di Dunkerque”, fu una operazione di evacuazione navale su larga scala delle forze alleate, in primo luogo britanniche, attuata tra fine maggio e inizio giugno 1940, dopo che le truppe inglesi del British Expeditionary Force ed unità franco / belghe erano state tagliate fuori e circondate da unità corazzate tedesche, giunte sulla Manica a seguito del riuscito sfondamento del fronte della Mosa. Atteso il totale isolamento via terra di queste truppe (oltre 1 milione di militari tra inglesi, francesi e belgi), l’unica via di salvezza era la fuga in Inghilterra, attraverso il trasporto via mare con unità navali di qualunque tipo. Perché “di qualunque tipo”? Non avrebbe potuto, la Gran Bretagna, forse la prima talassocrazia del mondo, mettere in campo la sua potente Marina? Farlo sarebbe stato un grave errore strategico. La Royal Navy andava preservata ad ogni costo; al limite per combattere i Tedeschi nel caso infausto che l’isola fosse stata invasa. Dalla drammatica vicenda il regista britannico Christopher Nolan ha tratto il suggestivo film Dunkirk (2017), che si avvale, tra l’altro, della breve, ma preziosa, partecipazione di Kenneth Branagh, nei panni di un alto ufficiale britannico. La scena più emozionante della pellicola, che vale -a parer mio- quanto tutto il resto, si trova nella parte finale. Siamo sulla spiaggia. A chi gli domanda che cosa veda all’orizzonte, egli, intento ad osservare con un binocolo, riferendosi alle numerose, varie imbarcazioni civili che si stanno avvicinando per soccorrere i soldati risponde: “Vedo la Patria!”.

[2] Il biografo ufficiale di Winston Churchill, subentrato al figlio dello statista, Randolph (morto nel 1968), è stato Sir Martin Gilbert (1936/2015), autore di ben 72 volumi. Le sue opere più celebri, e maggiormente diffuse in Italia sono, oltre la monumentale biografia di W. Churchill: la Grande storia della prima guerra mondiale, la Grande storia della seconda guerra mondiale, nonché diversi libri sulla Shoah di cui è stato attento studioso. I testi di Gilbert sono caratterizzati da una profonda attenzione per l’aspetto umano della Storia: lettere e testimonianze, raccolte di persona presso le famiglie dei soldati trovano ampio spazio nella sua produzione. Nel 1995 è stato insignito dell’Ordine dell’Impero Britannico dalla regina Elisabetta.