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Museo Ebraico di Bologna

10 Settembre 2017 / 10 Dicembre 2017

 

Orari di visita: da Domenica a Giovedì: 10.00 / 18.00; Venerdì: 10.00 / 16.00

Sabato e festività ebraiche : Chiuso       Ingresso libero

 

In occasione della diciottesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, dedicata al tema Diaspora, Identità e Dialogo, domenica 10 settembre scorso presso il Museo Ebraico di Bologna è stata inaugurata la Mostra Another Country – Momenti di vita di Ebrei in Diaspora.

L’esposizione consta di due serie fotografiche narranti la vita d’ogni giorno -dalla scuola allo sport, al lavoro-, degli Ebrei in Diaspora (ma non solo!), corredate da esaurienti didascalie, messe a disposizione dal “Museo” Beit Hatfutsot - Museo del Popolo Ebraico di Tel Aviv.

Si tratta di una tra le più importanti istituzioni culturali di Israele (costituita nel 1978), consacrata allo studio delle vicende del Popolo Ebraico e quindi al rafforzamento della sua identità, grazie ad iniziative diverse e con l’indispensabile apporto di tecnologie d’avanguardia, in connessione con tutto il mondo.

The Museum of the Jewish People dispone di un database digitale comprendente milioni elementi: fotografie, alberi genealogici, film, registrazioni.

Nell’ambito del Museo il Bernard H. and Miriam Oster Documentation Center si occupa della catalogazione di immagini fotografiche e cinematografiche preziosissime per la documentazione della vita e della cultura ebraica attraverso i secoli, anzi i millenni.

La scelta del Museo Ebraico Bolognese, con impegno anzitutto del Direttore, D.ssa Vincenza Maugeri, di esporre queste due serie di immagini (provenienti dal Centro di cui sopra) deriva dall’esigenza di comunicare al pubblico un’idea rapida, intuitiva di quale sia il carattere dell’Ebraismo in Diaspora: e che cosa c’è, riflettono i curatori, di più tangibile dell’abito (nella quotidianità o in occasione di cerimonie; nuziali ad esempio) per narrare gl’intrecci talora di contrasto -o magari di conflitto-, talora di reciproco arricchimento tra la tradizione originaria ebraica e quella del luogo nel quale questa minoranza si è insediata?

“….Niente di meglio dell’abbigliamento può rappresentare la risolutezza di questo popolo nel preservare il proprio essere e, allo stesso tempo, di reinventarsi all’infinito”, così sottolinea la D.ssa Maugeri.

 

Esaustive le didascalie, in italiano e in inglese, che accompagnano ciascuna fotografia.

Ma cos’è esattamente la DIASPORA, di cui tutti abbiamo un’idea, ma per lo più generica?

Per Diaspora -Tefutzah o Galut גלות, in ebraico, letteralmente “esilio”, “dispersione”- s’intende lo stabilirsi -in modo coatto o volontario- di parte del Popolo Ebraico fuori della Terra di Israele.

Questi stanziamenti si verificarono soprattutto in tre momenti storici:

– Distruzione del Primo Tempio (fatto costruire da Re Salomone nel 1000 a.e.v.) ad opera dei Babilonesi nel 586 a.e.v.

– Formazione e successiva divisione dell’Impero macedone (prima metà del IV secolo a.e.v.)

– Conquista di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 e.v. con la distruzione del Secondo Tempio (ricostruito dopo il ritorno in Patria verso il 530 a.e.v., a seguito dell’editto di Ciro); successive rivolte giudaiche conclusesi con la sconfitta del condottiero Bar Kochba. Questi, nel 132, era riuscito a riconquistare Gerusalemme, ma poco dopo, nel 135, le truppe romane, eliminando ogni resistenza, ripresero la città: essa fu ridenominata Aelia Capitolina dall’Imperatore Adriano e trasformata in colonia romana.

Agli occhi e al cuore dell’Ebreo diasporico la Terra di Israele è la Patria cui aspirare: L’anno prossimo a Gerusalemme ! É questo l’augurio che, da oltre 2000 anni, gli Ebrei di ogni continente (religiosi o meno poco importa) si scambiano l’un l’altro.

Una Patria che, distrutto il Tempio, e quindi la dimensione Spazio, si trasferisce nello studio della Bibbia, che diventa l’anima, il principio della vita ebraica. La Bibbia, la Torah, è regolata sulla dimensione Tempo. Quindi lo Spazio si fa Tempo -e magari viceversa-.

Ma per tanti Ebrei tutto ciò non basta. Essi sentono l’esigenza di ritornare, anche fisicamente, nel loro luogo d’origine; dove peraltro, lungo i secoli, un certo numero di correligionari aveva sempre abitato: infatti, dopo i periodi più drammatici, una “colonia” ebraica era  presente colà in modo ininterrotto. Centri quali Gerusalemme o Safed possono vantare una popolazione a costante maggioranza ebraica. Senza contare coloro che sceglievano di concludere la loro esistenza nella “Terra dei Padri”.

I movimenti sionisti, sorti nella seconda metà del 1800 -ma con ampie premesse precedenti-, anche (ma non solo!) in risposta ai pogromi perpetrati specie nell’Est Europa, rappresentano una risposta razionale e concreta a questa esigenza.

I due poli, Diaspora e Ritorno, costituiscono una sorta di doppia anima dell’identità di questo Popolo e sono ben illustrati nella nostra esposizione.

Passeggiando nelle sale del Museo Ebraico ti trovi piacevolmente proiettato in Asia, Africa, oltre che in diversi luoghi dell’Europa.

Alcuni Esempi, scusandomi per lo scarso  numero e, soprattutto, per la mediocre qualità delle immagini, dovute al fatto che le ho scattate…di nascosto. Viva la sincerità.

Siamo a Vienna, negli anni ‘20 e ’30 del Novecento.

Ecco i membri della squadra di calcio Hakoah (cioè Forza) Wien.

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Un raccontino s’impone.

Hakoah Wien, sorta nel 1909, è stata la maggior organizzazione polisportiva del mondo.

Fu fondata da due sionisti austriaci, il librettista di cabaret Fritz Löhner-Beda e il dentista Ignaz Herman Körner. Influenzati dalla dottrina di Max Nordau (nato Simon Maximilian Südfeld, 1849/1923, sociologo, medico, giornalista e leader sionista ungherese), denominata Giudaismo muscolare, essi scelsero, per la loro struttura, il nome Hakoah (הכח, in lingua originale) che significa Forza.

Nel primo anno, gli atleti del club gareggiarono con successo in scherma, hockey su prato, atletica leggera, nuoto, lotta e calcio. A quest’ultimo proposito, Hakoah Wien fu una delle prime squadre di calcio ad effettuare trasferte in tutto il mondo, attraendo migliaia di tifosi ebrei in città di rilievo quali Londra e New York. Tra i suoi sostenitori più illustri, Franz Kafka!

Nel 1925 la squadra si piazzò seconda nel campionato di calcio austriaco e l’anno dopo, a Londra, batté per 5 a 1 il West Ham di Londra, diventando così il primo club dell’Europa continentale a battere una squadra inglese in casa. I britannici, immagino per disprezzo e snobismo (siamo all’epoca del Mandato sulla  Palestina, non dimentichiamolo!), avevano schierato delle riserve e mal gliene incolse.

Dopo anni di successi nei diversi rami dello sport, la nera livella hitleriana mise fine ai sogni di gloria di Hakoah Wien.

Alcuni veterani della squadra emigrarono in Israele.

Il club venne ricostituito nel 1945, ma si estinse nel 1949. Il nazismo aveva operato bene….

Nel 2000 alcuni membri della Comunità ebraica di Vienna acquistarono il vecchio campo ove la compagine si allenava, all’interno del Prater, con l’idea di costituire un centro per la Comunità. La squadra gioca ancora, a quanto so, ma solo in terza serie.

 

Germania.

Siamo a Berlino, nel 1911.

Ella Gettel, giovane signora della ricca borghesia ebraica tedesca, è qui ritratta con la figlioletta di due anni, Lotte.

Un’immagine serena che non lascia presagire le nubi che ben presto si paleseranno all’orizzonte.

Ella e sua sorella Janet saranno uccise a Terezin nel 1944.

Lotte riuscì ad emigrare in Terra di Israele, dove sposò certo Heinz Gabe; negli anni Trenta essi lanciarono sul mercato un marchio di lingerie molto apprezzato.

La sorella di Lotte, Aviva, ha donato a Beit Hatfutsot la presente foto.

 

Matrimonio in Ungheria, Budapest, 1941.

A Tempesta iniziata; anche se gli Ebrei ungheresi furono mangiati per ultimi, come sappiamo.

Il campione di scherma Alfred Nobel convola a giuste nozze con Violetta Nagel,

Alfred fu deportato a Bergen Belsen, ma per fortuna riuscì a sopravvivere; come la moglie, del resto.

Nel 1956 approdò in Israele dove divenne allenatore della nazionale di scherma.

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Vita ebraica in Italia.

Ecco una cerimonia di Bat Mitzvah בת מצווה (è il Bar Mitzvah בר מצווה delle ragazzine), l’ingresso a 12 anni e un giorno della fanciulla (per i maschi è: 13 anni e un giorno) nella Comunità come membro a pieno titolo. Non mi soffermo a evidenziare la differenza di valore tra i due momenti, per le prime rispetto ai secondi. Espressione di quanto le religioni monoteiste digeriscano sempre pochino la presenza femminile e di come un’autentica parità sia ben lontana: con il mantra della “diversità di ruoli” si continua a barare al gioco.

Pur con le dovute, rilevanti, differenze tra una religione e l’altra, tale discriminazione persiste. Inutile negarlo.

Qui le protagoniste sono due fanciulle livornesi, Maria e Albertina Sonnino, vestite in abiti simili a quelli della Prima Comunione (o meglio Cresima, cui il Bar o Bat viene accostato): la foto risale al 1913.

 

Europa orientale. Russia, Polonia.

Un gruppo di allieve del Liceo Tarbut, in Polonia, nelle loro uniformi scolastiche con i caratteristici copricapi; l’anno è il 1924.

Tarbut (in Ebraico Cultura) è stata una rete autonoma di istruzione in lingua ebraica, costituita in Russia nel 1929 e attiva fino alla Seconda Guerra Mondiale. C’erano centinaia di istituzioni, dalle scuole elementari fino all’Università.

Alla base, un metodo educativo unico ed innovatore: sviluppare corpo e spirito, oltre a fornire formazione in campo agrario e professionale.

Coloro che emigrarono in Terra d’Israele poterono sfruttare in pieno tale formazione.

Amos Oz, nel suo capolavoro Una storia di amore e di tenebra, dedica ampio spazio al liceo Tarbut, frequentato da mamma Fania [1].

 

Immagini di famiglia: vestivamo alla marinara. Ancora Germania; Francia; Russia.

Polonia. In una bella immagine di casa troneggia Rachel Danziger con cravatta maschile; personaggio simpatico.

Nata nel 1899 a Brzesc Kujavsky (Polonia) da una famiglia di imprenditori del settore tessile, emigrò presto in Terra di Israele, dove lavorò a Haifa nella costruzione delle strade. Più tardi fu cofondatrice (1927) del moshav di Kfar Yehoshua.

 

Non mancano immagini provenienti da Paesi lontani, dove oggi l’altra grande “livella”, quella islamica, ha ucciso le minoranze, a cominciare da quella ebraica. Non immagineresti di vedere ritratti di Ebrei…pachistani!

 

Qui, una bella ragazza yemenita ci sorride (1979)

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Il copricapo (incredibile!) si chiama looloo, spesso adorno di fiori freschi; è valorizzato da strisce di seta e ciondoli.

La collana (labe) è costituita da perline e corallini intrecciati a mano.

 

In Etiopia una donna di Beta Israel: Casa d’Israele, gli Ebrei etiopi.

Nel 1985, prima, e nel 1991, poi, le operazioni Mosè, Giosuè e Salomone, ad opera dell’esercito israeliano, trasferirono decine di migliaia di ebrei etiopi nello Stato Ebraico. Quella definita “Salomone”, del 24 maggio 1991, fu l’operazione più importante.

Non mi soffermo sul tema e le difficili implicazioni legate al problematico inserimento di queste minoranze -legate a stili di vita, a modelli, a concezioni ben diverse da quelle praticate in Israele-, in quanto troppo complesso per questa sede.

La giovane donna porta una lunga veste bianca, con ben evidente il Magen David.

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Al matrimonio di Salah e Louis Zedakh a Basra, in Iraq, un misto di antico e moderno.

Il rabbino indossa un copricapo di foggia ottomana, mentre alcuni invitati hanno scelto quello tradizionale iracheno (sidara); altri ancora abiti di foggia europea. All’epoca dei Mandati, cui risale il documento, l’Alliance Israelite Universelle (AIU) aveva fondato scuole ed introdotto usanze europee.

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Complesso ritratto di famiglia: Tel Aviv, 1940.

Ebrei provenienti dal lontano Uzbekistan, trasferitisi in Israele, colti dall’obiettivo in occasione di due liete circostanze, celebrate nella Sinagoga Florentine: il Bar Mitzvah di Gabriel Yakar Shem Tov e la festa di fidanzamento della sorella di Gabriel, Rivka, con Baruch Salmon.

I presenti indossano una veste morbida, il Bukharan, tipico dell’Iran, mentre il ragazzo calza il classico berretto rigido, chiamato djoma.

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A Tientsin (Cina) si celebrano le nozze di Henry Davidovich, importante uomo d’affari, nato in Russia; esule dapprima a causa della Rivoluzione bolscevica, indi a seguito dell’invasione tedesca.

La sposa (seconda moglie) è una giovane donna nata in Cina. La coppia emigrò in Israele.

 

Il rapporto della Diaspora con Israele può talora essere problematico, ma è sempre presente.

Una parete è dedicata alla vita in Terra Promessa, dove pionieri d’ambo i sessi sono impegnati in diverse attività, in primo luogo agricole.

 

E la leggendaria Jewish Brigade? Non può mancare!

E’ il cemento tra Diaspora e Israele.

A Napoli, nel 1944, due suoi membri, in divisa, si giurano eterno amore davanti alla Comunità, al Rabbino e…a Hashem. Anzi, a quest’ultimo in primo luogo! Si sia religiosi o meno.

Si tratta di Hans Engelsmann e Zipi Moskovitz.

La bandiera della Brigata funge da chuppah, da baldacchino, simbolo della casa coniugale.

 

 

Nella seconda sala, l’abbigliamento è accostato in modo più approfondito alla cerimonia matrimoniale. Vengono infatti spiegate pratiche e tradizioni ad essa inerenti: dalla ketubah -contratto matrimoniale-; alle shevah berakhot -le sette benedizioni recitate sotto la chuppah-; alla rottura del bicchiere. Durante la recitazione della prima serie di benedizioni, il rabbino celebrante tiene in mano il bicchiere di vetro, pieno di vino, che poi porge allo sposo e alla sposa perché ne bevano insieme per la prima volta. Di solito è proprio lo sposo che, alla fine, rompe il bicchiere; dopo averlo avvolto in un panno o un tovagliolo, lo calpesta con il piede.

Il bicchiere rotto è un simbolo che ricorda ad ogni ebreo, quindi a tutto il Popolo Ebraico, che non può essere completamente in gioia, perché un’antica frattura storica, che ne ha segnato il destino per tanti secoli, cioè la distruzione di Gerusalemme, non si è ancora sanata.

In una vetrina a parte sono esposti lunari, periodici diversi, grammatiche in lingua.

 

C’è poi una terza, più piccola sala, con proiezioni continue di documentari: brevi, ma molto interessanti.

 

 

 

 

[1] V. mio commento su questo sito (Agosto 2008).

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