ABBADO BRAMANI

Ed. Il Saggiatore, Collana I grandi tascabili, Milano, Novembre 2015, pp. 152,    €.13

 

“Chi come me ama camminare in montagna sente il verde, gli alberi, gli animali che non smettono di dirci quanto conoscere significhi ascoltare la terra, i boschi, le stagioni….E’ proprio questo delicato equilibrio tra natura e invenzione che va salvaguardato in ogni sfera, da quella scientifica e tecnologica a quella artistica”

“Le differenze possono costituire un limite solo se non le si vede per quelle che sono, vale a dire come un’opportunità, sicuramente complessa da gestire, ma straordinaria. Tutte le cose belle si raggiungono con sforzo: conquistare una persona che si ama, crescere i figli, ammirare un paesaggio stupendo dalla cima di una montagna, imparare a suonare uno strumento o a coltivare un campo. Anche avvicinarsi alla musica classica può richiedere una buona volontà iniziale, ma quale universo poi ci regala!” 

Riflessioni semplici, colme di saggezza. Ce le dona un illustre personaggio, Claudio Abbado, fisicamente non più tra noi da due anni, ma divenuto per me un forte riferimento culturale ed umano; e dunque figura familiare.

La lettura del saggio Nel giardino della Musica – Claudio Abbado: la vita, l’arte, l’impegno (Ed. Guanda, 2015, pp. 176) di Giuseppina MANIN, pubblicato nel gennaio 2015, è stato l’inizio di un cammino inaspettato e in grado di arricchire molto le tematiche fin qui trattate -in prevalenza- nelle mie pagine.

Dal testo ricordato sopra è nato un mio commento, all’inizio recensione al libro, divenuta, col passar dei mesi, riflessione personale, rimaneggiata a più riprese e approfondita, sul protagonista [1] .

E occasione di Scoperte e…Ritorni. Alla Musica, in primo luogo; da me amata in anni lontani, poi trascurata per una complessa serie di circostanze.

Posso quindi apprezzare con maggior cognizione di causa -sia pur armata di una certa umiltà, necessaria a chi, come nel mio caso, muove ancora i primi passi in un mondo così affascinante e complesso- Claudio Abbado, La Musica scorre a Berlino – Conversazione con Lidia Bramani, pubblicato a fine novembre [2]. L’opera, uscita grazie anche alla Fondazione Claudio Abbado [3], si collega idealmente ad altro contributo dello stesso Autore, Musica sopra Berlino – Conversazione con Lidia Bramani, pubblicato nel 1998, sempre presso Bompiani, ed aggiornato nel 2000 con il tema “Amore e Morte nella cultura tedesca e italiana” [4]. L’attuale testo ne riprende le tematiche, così come ripensate da lui negli ultimi anni di vita; inoltre possiamo leggere le riflessioni sul Wanderer e sulle ultime due stagioni dei “Cicli berlinesi”: La musica è burla sulla terra e Il tempo si fa spazio.

I miei pensieri non hanno carattere musicologico -non è mia competenza, tengo a ribadire-, ma desiderano essere un viaggio su temi universali così come proposti, pagina dopo pagina, nel libro.

Attraverso il dialogo con la scrittrice e musicologa Lidia Bramani [5], Abbado ci parla della sua attività da quando fu eletto Direttore musicale ed artistico (8 ottobre 1989, un mese avanti, dato significativo, la caduta del Muro) della prestigiosa Berliner Philarmonisches Orchester (fondata nel 1882), successore diretto di Herbert von Karajan, dopo ben trentacinque anni.

Fin dall’inizio egli volle che il prestigioso ensemble lasciasse l’empireo artistico autoreferenziale in cui si trovava per scendere tra la gente e vivere i tempi nuovi.

Il simbolo della perfetta sintonia con la città sono le immagini gioiose di un filmato (1996) in cui dirige -all’anfiteatro Waldbüne- Berliner e folla in una scoppiettante musica, la popolare Berliner Luft, arricchita da “variazioni” di stampo italiano, incuranti tutti della pioggia battente all’intorno.

 

Attorno al clima di (ri)nascita della capitale tedesca, anche sul piano dell’Urbanistica -e sappiamo quanto il Direttore avesse in considerazione tale disciplina, sia in generale, sia in rapporto alla creazione di spazi per la Musica-, in una visione totale della cultura, senza steccati, si plasma il suo rapporto dinamico e strettissimo con l’Orchestra e nasce ben presto -fin dal 1990- l’idea dei “Cicli tematici”: la Musica infatti non può restare neutrale, estranea agli eventi, specie in una città crocevia della Storia.

A far tempo dal 1991 totale per lui è l’impegno nel creare una fattiva sinergia tra orchestra, istituzioni, fondazioni, studiosi, coinvolgendo settori culturali i più diversi: dai Teatri, ad Orchestre diverse dai Berliner, ai Musei statali, in una simbiosi fino ad allora mai tentata. Est e Ovest, infatti, separati dal 1945, cooperano  tra loro, comincia una meravigliosa ricostruzione del centro cittadino -cui darà notevole apporto l’amico Renzo Piano- che durerà anni e che farà della capitale tedesca una metropoli fantastica;  Abbado subito comprende quel progetto pilota,  ne diviene parte e  lavora intensamente, come precisa Bramani, tanto sulle partiture “quanto su e per Berlino” [6].

 

Un’esperienza fuori del comune è stata quindi concepire 11 “Cicli tematici” -in dodici anni di direzione- grazie ai quali ha saputo portare nella realtà concreta la Bellezza attraverso la Musica, in una ricerca approfondita e costante.

I Cicli del resto non sono una novità per il “Nostro” perché l’interdisciplinarietà è il filo conduttore che lega il suo cammino artistico ed umano, pur con diverse modulazioni; fin dai lontani tempi della direzione scaligera, passando per gli anni viennesi [7] , fino ai tempi più recenti. Da tutto ciò traggo una sintesi ragionata, certo inadeguata, mi verrebbe da scrivere balbettante, se non fosse che mi sorreggono le colte osservazioni di Lidia Bramani e i pensieri alti di Claudio Abbado (le frasi da me riportate tra parentesi sono per lo più sue, anche in mancanza di esplicita menzione), data la vastità delle tematiche trattate e dell’altissimo livello degli eventi, così come concepiti e realizzati dal loro principale ideatore. Le mie “pennellatine” hanno il fine di incoraggiare chi ha la bontà di leggermi a prendere confidenza con argomenti di estremo interesse e perenne attualità.

Un breve confronto tra le due edizioni -2000 e 2015-, a cominciare dai titoli.

Il primo si ispira al celebre film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (1987, interprete Bruno Ganz, grande amico di Abbado). I protagonisti della pellicola sono simbolo del desiderio di ricerca, di una cultura interdisciplinare, fondata, come scrive Bramani nell’introduzione, “sulla connessione degli spazi, dei tempi e delle radici storiche…”  Caratteristica della Berlino di sempre e, in specie, attuale, “…è infatti la presenza di molteplici lingue, etnie, consuetudini, al punto da offrire un esempio di ciò che potrebbe essere l’Europa qualora riuscissimo a superare gl’integralismi nazionalistici o addirittura regionalistici”.

La copertina ci mostra Claudio, chioma al vento e camicia sportiva (lo diresti un ragazzo, ma è già uomo maturo), ritratto in una posa, per così dire, agonale: con la bacchetta pare aver soggiogato la Musica appena interpretata -sembra quasi la prenda a sberle!- e sorride soddisfatto.  

 

Abbado Bramani Musica sopra Berlino

 

Diversa è la fotografia posta sulla copertina del presente testo. Il Maestro -in questo contesto mi viene spontaneo chiamarlo così, anche se so, per la sua umile grandezza, che non gradisce; ma per me  è, e sarà sempre, Maestro di Musica e di Vita; – indossa il frac, impareggiabile eleganza. Il gesto è qui delicato come un ricamo: attimo fissato per sempre dall’arte di Marco Caselli Nirmal (siamo nel 2007 al Teatro Comunale di Ferrara).

Sono passati diversi anni, colmi di successi, ricerche, incontri, prove durissime. Una Rondine, se lo osservi bene.

La “Grande Tribolazione” della malattia che lo ha colpito nel 2000 -e che ce lo rapirà il 20 gennaio 2014- lo ha reso più vicino alla realtà trascendente della Musica al punto di identificarsi totalmente con essa.

Te ne accorgi dallo sguardo: è un mistico. Del resto egli stesso afferma che il talento è un’avventura mistica, che va coltivato con costanza (e una certa autoironia) e mai sprecato. Siamo consapevoli di quanto fosse ancorato alla realtà concreta, compresa quella vissuta nei contesti più difficili, quanto gli stesse a cuore l’aspetto sociale della Musica. Tuttavia, grazie alla sua Arte, riesce a cogliere la dimensione alta dell’esistenza, distaccandosi dalle umane miserie, per vedere ciò che uno sguardo comune non percepisce. E questo gli è possibile perché si pone, in modo ancora più profondo e vissuto, in posizione di totale dono di sé.

Un mistico medievale di altissima spiritualità. So bene che certi suoi ammiratori, per così dire, laici (termine abusato ed inesatto, ma lo uso per chiarezza), sobbalzeranno  scandalizzati per tale ardire; ma questa è la mia interpretazione. Tra l’altro ho sempre pensato che la spiritualità non sia affatto patrimonio  esclusivo di chi si definisce credente.

Claudio Abbado mi ricorda da vicino uomini di alto sentire i quali, nei secoli passati, venivano omaggiati dai potenti -una discreta “entratura”, avranno pensato questi ultimi, presso chi è in confidenza con l’Altissimo non fa male!-, ma non si confondevano affatto con loro. Anche il Nostro era conosciuto e magari vezzeggiato da chi “conta”, da chi cammina sollevato da terra alcuni centimetri, ma modo di comportarsi e  prospettiva erano ben diversi. Egli si recava, da solo e senza farsi pubblicità, in luoghi dove la gente “che si ritiene importante” (parole sue)  non metterebbe mai piede; a meno di non avere qualche telecamera alle calcagna. Le carceri, tanto per fare un esempio. Parlava senza problemi coi detenuti e organizzava concerti per loro, perché “nessun dev’essere privato del bene della Musica”.

Non elaborava, per così dire, gerarchie tra le persone -come viceversa fanno coloro che lo avevano “adottato”, ostentando a getto continuo quell’ossessivo chiamarlo per nome, senza capire come tale abitudine fosse per lui espressione di modestia – per cui Tizio (vip) si saluta,  Caio no, perché trattasi di persona qualsiasi. Egli non ha mai fatto parte della truppa, ahimè immarcescibile, dei cosiddetti radical chic, quelli di cui sopra. Mi “dispiace” per chi avrà deciso il contrario. Non era né “radical”, né “chic”. Era un uomo di idee progressiste, questo sì, ma in senso profondo e non legato ad alcun partito. Verrebbe da dire uomo “di sinistra”, se non fosse che essa è caduta molto, troppo, in basso: puro conformismo e ridicolo politicamente corretto. Nulla di nuovo, di fresco, di innovatore; aria stantia e ipocrita.

Egli invece sapeva sempre rinnovarsi, anche da anziano: un dono per tutti.

Per tornare alle immagini, ovvio che qui non c’è un distacco netto, rispetto al 1998/2000: si tratta, in momenti e in periodi della vita differenti, pur sempre della stessa persona. E quanto sia sempre stato un tutt’uno con la Musica -pur nel variato modo di declinare nell’arco degli anni  la sua Passione- lo comprendi vedendo uno splendido film documentario, Abbado in Berlin : The first year, di Peter Gelb e Susan Froemke (Cami Video /DG, New York, 1992). La pellicola, dimenticata da tempo (perfino dagli stessi Berliner) è stata riscoperta qualche tempo fa, in vendita ad un’asta virtuale, dalla giornalista e musicologa tedesca Corina Kolbe. Ella ne ha subito compreso il valore e si è adoperata per renderlo accessibile al grande pubblico. La Sony Music ha concesso il permesso di proiettare il film, che da un Laser Disc è stato fatto riversare privatamente da Kolbe in formato digitale. E, proprio oggi, 20 gennaio, a Ferrara, presso il ridotto del Teatro che porta il suo nome,  un pubblico entusiasta (tra cui la sottoscritta) ha avuto la gioia di rivivere il  primo anno da Direttore dei Berliner Philarmoniker di Claudio Abbado, assistendo alla proiezione dello straordinario documento, presentato degnamente dalla stessa Corina: immagini che mostrano l’eccezionale contesto storico/politico, comprese diverse inquadrature della caduta del Muro, interviste, prove, concerti, il lavoro, pieno di attenzione,  con la giovanissima pianista Siiri Schütz, delle cui notevoli doti artistiche egli si accorse subito. Da tutto emerge la grande umanità di Abbado, il rapportarsi con i membri dell’Orchestra da pari a pari, rifuggendo con discrezione da posizioni di privilegio, come il non mettersi a capotavola, e, aspetto che mi ha  commosso oltre ogni dire, il dare tutto se stesso -nell’anima, nel cuore, nel fisico- alla Musica.  C’è, in particolare, una scena in cui ti rendi conto di quanto totale sia il suo impegno. Siamo al debutto coi Berliner, il 17 dicembre 1989. Il brano è finito: si tratta della Sinfonia n. 1 di Gustav Mahler, Titano.  Claudio esce tra gli applausi. Ha dato, come sempre, il meglio di sé e di più: lontano da occhi indiscreti, si appoggia un  attimo alla parete e cede all’emozione (emozione, non tanto fatica fisica; certo c’è anche quella, ma non è in primo piano); emozione indicibile che la Musica ha portato nel profondo del suo essere. Scintilla di Divino. Questi sconvolgimenti, questi…terremoti, frequenti in lui, specie quando si trovava di fronte ad Autori congeniali più di altri (Malher, ad esempio, ma non solo), o alle prese con  partiture più “intense” (cito, per tutti, il Requiem di Mozart, K626, 1999 o, in modo ancor più forte, 2012), sono un tratto imprescindibile della sua personalità, la chiave per penetrare, almeno in parte, nel suo cuore. Con umiltà,  pazienza, affetto infiniti.

Tutto ciò è compreso dal pubblico e dai musicisti. Sempre a proposito di quell’evento, qualcuno gli fa notare una semplice verità: “Hanno davvero suonato per Lei. Significa che la amano” e lui, di rimando: “Anch’io li amo”. La chiave per comprendere. Ogni  musicista degno di questo nome  vive tale rapporto; ma Claudio Abbado lo vive in modo particolarmente intenso. Ed è sempre stato così. Nell’apparente distacco dei primi anni sta già scritto ciò che sarebbe accaduto “dopo”.

Ritorno al nostro testo, cercando di non disperdermi; ma, lo so bene, quando parlo o scrivo di lui, mi è difficile, se non impossibile, una trattazione razionale e distaccata.

Perché è stato scelto un titolo diverso, rispetto all’edizione precedente, per questa ideale chiacchierata tra due amici? Sia per dare un giusto rilievo agli ultimi cicli, focalizzati su Falstaff e Parsifal, e ripercorrere quelli precedenti, sia per mettere in ancora maggior luce il ruolo centrale di Berlino.

Dapprima simbolo tragico del secondo conflitto mondiale e ben presto delle contraddizioni insite nella divisione del mondo all’epoca della cosiddetta Guerra Fredda, la città diviene ora la capitale culturale dell’Europa; in coerenza con i paradossi della Storia. Teatro del più bieco e distruttivo dei nazionalismi, Berlino, splendido paradosso, è andata trasformandosi in luogo di perenne vivacità, è punto di incontro di culture, lingue, etnie diverse -consonanti alla storia personale e culturale di Claudio, figlio di mamma siciliana e di padre originario di Alba, ma con remote radici nella Spagna araba-; ricca di canali e corsi d’acqua, oltre che di due fiumi, Sprea e Havel. Vita e Acqua/ e che scorrono. L’Acqua è uno degli argomenti più cari per Abbado, tanto che il titolo riprende proprio questo motivo. Egli “vede nell’acqua il simbolo primario, antico e urgente, dinamico e inquietante, della dualità umana rispetto alla quale l’imperativo morale chiede di schierarsi. L’acqua….in un’ottica di pulizia ambientale e politica è una risorsa sconfinata; [viceversa] se abbandonata a un contesto non tutelato e non previdente, distrugge ciò che dovrebbe e potrebbe essere rigoglioso”. Annota Bramani in modo perspicuo nella prefazione.

Il significato del testo. Non si tratta di “una summa esaustiva degli anni berlinesi” bensì di una sorta di “manuale”, così l’A. ama chiamare la sua conversazione, per “decidere un ascolto o rileggere un libro o tutte e due le cose insieme… Per raccogliere un’idea utile a una programmazione o allo studio personale di un interprete, di un musicista, di un semplice appassionato, di una scolaresca….” O, mi permetto di aggiungere, per comporre con passione e amore un viaggio in questa meravigliosa città dove desidero tornare appena possibile, dopo oltre dieci anni di assenza.

Sorta di vademecum, insomma; tratto da un’esperienza sempre viva, attuale anche a diversi anni di distanza, non chiusa per sempre e consegnata alla Storia. E ha inteso cancellare, o ridurre al minimo, i riferimenti da…iniziati per rivolgersi a tutti, in coerenza con la sua concezione della Musica, quale bene universalmente accessibile, a cominciare da coloro i quali ne hanno un pregiudizio di realtà lontana, distaccata dal quotidiano fluire degli eventi.

Un testo, quindi, assai più sintetico del precedente del 1998/2000, ma densissimo di contenuti, dedicato a chi è attento a riflettere su problematiche attualissime oggi, a cominciare dalla tutela dell’ambiente; valore che, lo ripeto ancora, ad Abbado sta molto a cuore. Come il rapporto tra cultura e ricchezza: “…bisognerebbe pensare che l’arte può produrre benessere, infonde fiducia e crea un tessuto connettivo per la vita sociale ed economica. Spesso si pensa invece che solo un’economia già forte possa permettersi d’investire nello spettacolo. Sarebbe come credere che siano i solisti di grido ad arricchire il panorama culturale di un Paese, quando è vero il contrario; è la ricchezza culturale della società a produrre grandi interpreti e grandi orchestre. E per cultura intendo non solo la musica, il cinema, il teatro ma la conservazione e il rinnovamento di un patrimonio comune, nel quale rientrano anche tutte le forme di educazione permanente che offrono alle persone la possibilità di approfondire i propri interessi nell’arco della vita. Il brutto è che spesso i politici fingono di non capire”.

Ritorniamo ai “Cicli berlinesi”, con una riflessione che riprendo da Habakuk Traber (dicembre 2015), leggibile nel capitolo dedicato ai “Cicli” (pp.145-175), contenuto nel volume a cura di Fournier Facio di cui supra a nota 2). In ognuno dei temi scelti da Abbado come pensiero conduttore dei cicli coi Berliner  emerge un’intera storia culturale, una storia degl’influssi esercitati che appartiene alla sostanza stessa del tema e “non ne  è semplice elemento accessorio. ”

Il Direttore sceglie gli argomenti secondo punti di vista diversi, all’interno della lunga storia culturale dell’Europa. Talora pone al centro degli eventi poeti, importanti per la Musica, oppure “nuclei tematici che aprono l’orizzonte della musica verso altre anime e al tempo stesso rientrano tra le figure essenziali del pensiero e della storia dello spirito in Occidente”. Pressoché tutti i cicli si focalizzano attorno ad un’opera centrale, che può anche non comparire nel titolo.

La figura di Prometeo (1991/1992) è individuata in modo perspicuo come tema di apertura: questi infatti è l’eroe in lotta contro il destino “in nome di una scelta morale”, il simbolo degl’ideali di libertà; quegli stessi ideali condivisi da Beethoven, che poi li riverserà nella Terza Sinfonia, la celebre Eroica, dedicata, in un primo tempo, a Napoleone Bonaparte.

Apre a linguaggi nuovi il ciclo Hölderlin (1992 / 1993), poeta simbolo della storia letteraria tedesca. Si confrontano ancora Cinema, Teatro, Pittura e altre Arti figurative. A tale ultimo proposito emerge su tutti il nome di Max Klinger, notevole pittore, scultore, incisore (Lipsia, 18 febbraio 1857 / Großjena, 4 luglio 1920), il quale ebbe, tra l’altro, stretti rapporti con musicisti come Brahms, Mahler, Strauss. Accanto al repertorio classico, ecco opere contemporanee. “Risulta più semplice”, sottolinea l’A. “ intercalare brani [musicali] di oggi e del passato se esiste un legame letterario o storico al quale riferirsi”. E sono individuati altri luoghi per la Musica, diversi dalla Philarmonie. Notevole rilievo è dato poi al tema dell’ambiente: Paesaggio e Ambiente sono infatti, sia per Hölderlin che per lo stesso Abbado, un estremo valore da difendere; principio riaffermato con decisione nel volume or ora uscito.

Seguiranno: l’Antichità e i Miti greci (1993/1994), con al centro Elektra di Richard Strauss, ispirata alla tragedia di Sofocle, riletta dallo scrittore viennese Hugo Hofmannsthal (1874 / 1929): le figure dell’antichità classica sono, per noi contemporanei, un continuo, affascinante richiamo.

Faust (1994/1995). Uno dei personaggi emblematici della cultura occidentale, che ha appassionato nel tempo musicisti, poeti, pittori, registi cinematografici, scrittori. Per limitarci alla Letteratura, punto focale del ciclo è la storia narrata in Doktor Faustus, capolavoro di Thomas Mann (iniziato nel 1943 negli Stati Uniti e pubblicato nel 1947, le date sono significative), letta per diversi brani da Bruno Ganz, che segna “la scissione tra uomo e natura, tra conoscenza e vita così come appariva all’epoca della seconda guerra mondiale…la modernità, privata dell’arte e dell’amore, è destinata al fallimento. La vera morte consiste quindi nell’incapacità di rinnovarsi e di aprirsi all’esterno e alla diversità”. Rilevante poi, passando al campo cinematografico, è la pellicola Mephisto (1981) dell’ungherese Istvan Szabò, interpretata da Klaus Maria Brandauer e ispirata al romanzo di Klaus Mann, perché tratta il tema della perdita di se stessi in cambio del Potere. E tale meccanismo, il patto col Demonio, non è forse alla base di tragiche realtà storiche quali il nazismo?

Shakespeare (1995/1996). Il rapporto tra Musica e Teatro si fa più stretto: il pubblico aduso a frequentare i teatri di prosa affolla i concerti. Nella visione dell’immortale drammaturgo inglese non esistono “rigidità, moralismi o categorie chiuse”. Fair is foul and foul is fair, proclamano le tre streghe di Macbeth. Il tragico scivola nel comico e viceversa; come nella vita, del resto. Da notare come Shakespeare spesso prevedesse inserti musicali nei suoi lavori. A volte erano solo segnali sonori o sottofondi, che svolgevano comunque un importante compito di definizione ambientale e psicologica. Come ogni ciclo, anche questo ha un’opera centrale: è Otello di Giuseppe Verdi, per l’allestimento di Ermanno Olmi (rappresentata successivamente in altri contesti); messa in scena essenziale, introspettiva, volta a evidenziare la solitudine dei personaggi e il mistero connaturato alla loro anima: Desdemona in primo luogo e la sua “giovanile innocenza”. Merito del regista italiano è aver promosso, in vista della rappresentazione, lo studio sulla tragedia originale, contenuta in Gli Ecatommiti. Si tratta di “Cento novelle” distribuite in 10 “deche”, sul modello del Decameron di Giovanni Boccaccio, ed è una delle maggiori raccolte di racconti italiani del Cinquecento, autore Giovan Battista Giraldi Cinzio (Ferrara, 1504- ivi, 1573). Opera grandiosa, pubblicata per la prima volta nel 1565-1566, essa è servita da modello all’autore inglese anche per altre opere.

Insieme all’attenzione verso i numerosi musicisti, anche insigni, i quali, nei diversi periodi storici, si sono ispirati al mondo shakespeariano (oltre che ai contemporanei dello stesso Shakespeare, campo inedito), ecco che pure il cinema ha la sua notevole parte, con la proiezione sia di classici di stampo tradizionale interpretati e/o diretti da autentici “miti”, come -faccio pochi nomi- Laurence Olivier, Orson Welles, Kenneth Branagh-, sia di libere interpretazioni o rivisitazioni in chiave attuale di tragedie del Bardo; ad esempio (una citazione per tutte) West Side Story, pellicola divenuta, a sua volta, un classico, tratta da una celebre opera di Leonard Bernstein, già ispirata a Giulietta e Romeo.

Un insolito binomio è il tema del ciclo successivo, 1996 /1997 -una novità del quale fu pure la partecipazione degli spettatori, coinvolti direttamente nella recitazione da attori professionisti e studenti-. Protagonisti: uno scrittore e drammaturgo tedesco del primo Ottocento, a lungo trascurato, Georg Büchner, e un musicista del secolo successivo, Alban Berg.

Il primo fu una personalità grandissima, complessa, morto molto giovane nel 1837 a Zurigo (era nato nel 1813), ma che, realizzò, in pochi anni, “l’opera di tutta una vita, al pari di Pergolesi, Mozart, Schubert, Schiele o Kleist”. Era animato da un profondo sentimento sociale che si espresse nei lavori teatrali e narrativi e che lo portò a istituire la cosiddetta “Società dei Diritti dell’Uomo”.

Romantico che anticipò l’Espressionismo, aveva una visione oltremodo drammatica della vita, dove l’uomo è schiacciato dalla Storia e gettato nel vortice di forze irrazionali dominate dalla follia e dalla violenza. Fu anche scienziato, dedito alle scienze neurologiche: in tale contesto venne a conoscenza di una tragica vicenda (un uomo di Lipsia, Johan Christian Woyzech, uccise la propria amante) che ispirerà la sua tragedia Woyzeck, rimasta incompiuta, ma di sorprendente modernità. E’ il dramma della follia, cui trarrà spunto il compositore austriaco Alban Berg, vissuto un secolo dopo, per l’opera in 3 atti e 15 scene Wozzeck (rappresentata per la prima volta nel 1925). Ciascun atto è formato da cinque scene alle quali corrispondono altrettante forme musicali, barocche o classiche (16 in tutto). Büchner è stato tolto, nel Novecento, dall’oblio proprio grazie a Berg; e il ciclo berlinese, con la sua interdisciplinarietà (musica, teatro, cinema, balletto), dà un contributo imprescindibile.

Nel Wozzeck il tema della follia ci induce a prendere coscienza di realtà emarginate, a mettere in discussione il nostro modo di vedere l’esistenza e di rapportarci a coloro che non si adattano al nostro modo di essere, vivere, pensare. Il testo teatrale, in sé, pur non compiuto, resta centrale nella storia del teatro e del pensiero.

In La Musica scorre a Berlino vengono aggiunti ai capitoli di cui sopra, così come rimaneggiati,  le riflessioni su Der Wanderer , nonché le ultime due stagioni, dal 2000 in poi.

Der Wanderer (1997/1998). Il Viandante è un tema di fondo nella letteratura romantica tedesca, come pure nei Lieder [8] di Franz Schubert, autore messo al centro di questo ciclo anzitutto per celebrarne il bicentenario della nascita (1797). Vi collaborano diversi teatri berlinesi.

Per il musicista austriaco la figura del Wanderer è una sorta di alter ego, che incarna il suo pensiero e i suoi sentimenti; molti dei Lieder trattano infatti questo tema, in particolare esprimono fuga e ribellione da una realtà angusta, sensazione di rifiuto da parte del mondo esterno e dunque sforzo per la conquista della libertà. A diciotto anni Schubert aveva realizzato il Lied der Wanderer in cui si vagheggiava della ricerca di un paese della speranza, ma pure dell’impossibilità di trovarlo [9].

Per il teatro, erano nati undici lavori, mentre altri sette restarono incompiuti. Tutto questo in un periodo che va dal 1812 -Schubert quindicenne- all’anno della morte, 1828.

L’ultima sua opera fu Fierrabras, composta in pochi mesi fra il maggio e l’ottobre del 1823, su libretto di Josef Kupelwieser, fratello di un suo caro amico, il pittore Leopold. Essa restò a lungo dimenticata; fu una felice riscoperta dello stesso Abbado (grazie anche all’amico Maurizio Pollini) il quale la diresse nel maggio 1988 al teatro an der Wien, facendola conoscere al mondo. Nel ciclo berlinese viene riproposta.

Il contrasto tra Sentimenti e Dovere all’epoca delle Crociate (la vicenda si svolge durante la guerra di Carlo Magno contro i Mori in Spagna) è affrontato con grande varietà di stili, che vanno dal parlato ai recitativi, al melologo (con declamazione accompagnata dall’orchestra), al Lied, alla ballata. E’ la Musica “a portare di volta in volta fatti e personaggi in primo piano”.

Il protagonista è Fierrabras, il nobile moro capace di anteporre l’amicizia e il senso del dovere al suo amore per Emma. Le avventure dei cavalieri e dei paladini che entrano in scena esprimono le tensioni, le avversità, le contraddizioni della storia e della vita quotidiana, ma “guardano con fiducia ad un universo morale dove tutto potrebbe e dovrebbe trovare pace”.

Il lieto fine vede il trionfo dell’amore e la conversione al cristianesimo del protagonista, la cui generosità consente agli altri di essere felici. Qui Schubert si avvicina al Mozart de il Ratto dal serraglio o de il Flauto magico.

Grazie alla riscoperta di questa composizione, è iniziata una più attenta analisi del repertorio schubertiano: un autore oltremodo creativo, in grado di cogliere sia il lato introspettivo che quello eroico del Romanticismo.

Sulla scia in specie di Winterreise anche Gustav Mahler scrisse Lieder sul tema del Viandante. Il primo ciclo, rappresentato nel 1896 dai Berliner, diretti dallo stesso Mahler, furono i Lieder eines fahrenden Gesellen. I Gesellen erano gli operai o i contadini che attraversavano la Germania in cerca di lavoro. Ne seguirono altri sul tema del Viandante; talora del giovane errabondo, disperato perché l’amata ha sposato un altro. Egli vaga senza meta; solo il paesaggio gli è di conforto perché è il luogo della gioia perduta. Ma dopo aver…toccato il fondo e grazie alla Memoria e soprattutto alla Natura, si riconcilierà con se stesso accettando il suo destino di esule. Ritroverà la pace all’ombra di quel tiglio “così frequente nei Lieder di Schubert”.

In questi Lieder, come del resto nel Winterreise schubertiano, la conclusione si ammanta di un’atmosfera straziante e consolatoria al tempo stesso. “E’ un ciclo così ricco di materiale tematico che Mahler lo riutilizzò nelle Sinfonie”.

Aspetto notevole è il ruolo svolto dalla Natura. Viandante e Ambiente sono una cosa sola e i luoghi, magari di per sé sconosciuti, divengono territori dell’anima.

Infine, il tema del Viandante è trattato nel ciclo fino a giungere alla contemporaneità, con Luigi Nono,  amico fraterno di Abbado,  sempre in profonda sintonia con lui. Nono pensava alla sua opera come a “un pellegrinaggio, a un vagare e a un vagabondare (Wanderschaft)”. Nella sua musica si trova spesso il tema dell’orizzonte infinito da scoprire, da parte del viandante solitario in cerca di se stesso e del mondo. Caminantes, No hay caminos, hay que caminar. E’ la frase che lo stesso musicista veneziano lesse sul muro di un chiostro di Toledo e che pose alla base delle sue ultime tre opere. La traduzione è: “O voi che camminate, non ci sono cammini, c’è da camminare”.

Concezione cara pure a Claudio Abbado, l’Uomo in cammino, come amo definirlo, sempre in ricerca. Una volta disse di se stesso: “Anch’io, in fondo, sono straniero dappertutto”. Direi che questa espressione non va forse intesa nel significato letterale; ma dev’essere interpretata come lo stato d’animo di una persona sempre in ricerca, che non si accontenta dei traguardi, pur eccellenti, raggiunti. Claudio era così, una fonte inesauribile, in grado di dare vita fino all’ultimo.

I cicli berlinesi sono proseguiti, come leggiamo nel precedente volume (affascinante l’andirivieni tra un piano e l’altro), tra il 1998 e il 2000, ispirandosi al Mito di Eros e Thanatos, Amore e Morte, letto prima nell’accezione nordica e centro-europea di Liebe und Tod (1998/1999), poi in quella mediterranea di Amore e Morte.

Il primo ha come emblema il Tristan und Isolde di Richard Wagner, cui sono state accostate altre opere di rilievo come quelle di Claude Debussy e Arnold Schönberg, focalizzate su Pelléas et Mélisande (1898, libretto di Maurice Maeterlinck).

L’aspetto mediterraneo è rappresentato da meraviglie quali Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi (ispirato alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso), il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, nonché una serie di cantate dell’epoca barocca legate al mito di Orfeo.

In merito a Simon Boccanegra e alla morale che ne scaturisce, Abbado qui ci rammenta: “[E’] un invito da parte di Verdi a guardare con maggiore distacco e umanità ai problemi che affliggono le persone e i popoli per poterli davvero risolvere in modo costruttivo….Per questo Boccanegra si congeda dal mondo con un gesto di tolleranza liberando tutti i prigionieri. Vita sociale e vita individuale si riflettono l’una nell’altra e si condizionano a vicenda. Psicologia e politica debbono andare di pari passo”.

“Il vincolo ancestrale e archetipico di Amore /Morte” scrive Lidia Bramani “ha….svelato la sua profonda affinità con l’essenza stessa della Musica”, con quel suo esistere durante l’esecuzione  e scomparire nell’attimo in cui tace. In apparenza però, osservo, perché è il Silenzio che ti consente di farla tua nell’intimo e di dare forma e senso agli eventi del passato e del futuro. Musica come protagonista unica, dunque, che lascia da parte, per questi due cicli, l’interdisciplinarietà, al fine di approfondire un tema già ricco di connessioni etiche, filosofiche, politiche; e non solo.

E Abbado, ancora nel presente libro, osserva -specie riguardo all’opera di Monteverdi- come la Morte, quando si lega all’Amore, può “significare passaggio e apertura, non fine e chiusura” e prosegue: “……La musica, che poggia anzitutto sulla memoria, sembra più di qualsiasi altra forma artistica dar senso a questo modo di concepire la morte che, attraverso l’amore, dà vita”.

Spontaneo pensare all’ultimo periodo dell’esistenza di colui che pronuncia queste parole.

E profonda è l’emozione nel leggere i due capitoli finali, centrati su tematiche trattate e vissute da fine 2000 in poi: La musica è burla sulla terra e Il tempo si fa spazio.

Questi sviluppi risalgono all’indomani della grave operazione cui Claudio Abbado fu sottoposto nell’estate 2000 e sono espressione del suo ritorno alla vita: “Le circostanze hanno voluto che avendo da poco studiato Falstaff ed essendomi immerso nel suo mondo, sia riuscito a trovare un nuovo entusiasmo dopo l’intervento chirurgico.…ho capito che dovevo ritornare a sorridere. Non puoi affrontare le cose se non cerchi di semplificarle e di riconquistare terreno giorno per giorno”.

Il primo tema è dedicato dunque a Falstaff, l’ultimo lavoro di Verdi. Fu composto tra il 1890 e il 1893, quindi a 80 anni, su libretto di Arrigo Boito, tratto da Le allegre comari di Windsor di Shakespeare (e con qualche riferimento a Enrico IV); “Papà Shakespeare”, come Verdi lo chiamava, già gli aveva ispirato Otello (1887) e, prima ancora, Macbeth (1847).

Il tradizionale concerto di fine anno (2000) alla Philarmonie di Claudio Abbado coi Berliner è dedicato al “Cigno di Busseto”, quale celebrazione del centenario dalla sua morte, anche con festosi brani tratti da Falstaff: capolavoro che è autentico colpo di teatro, tutto giocato sullo scherzo, sull’ironia, su un’infinita varietà di situazioni, parti, registri espressivi. Non manca Traviata! E lui a capo di tutto: smagrito, ancor pallido, ma vitale e forte come non potresti credere.

Falstaff, dopo Berlino, verrà ripreso a Salisburgo durante il Festival di Pasqua 2001, di cui il Maestro è stato Direttore artistico dal 1994.

Dunque: da Amore e Morte, via!, passiamo al gioco, allo scherzo con La Musica è burla sulla terra.

Il drammaturgo inglese è, per Giuseppe Verdi, un “punto di riferimento antiaccademico nel quale si mescolano tono alto e popolare, temi eroici, mondo fiabesco”. E comprendiamo come questi due “Grandi”, Shakespeare e Verdi, ci vogliano comunicare che proprio scherzando possiamo comprendere con maggiore lucidità -e con maggiore impegno- la realtà circostante.

L’ironia mette in difficoltà i politici, i professionisti del catastrofismo; il riso “li spiazza.. permette l’imprevisto, inserisce un punto di vista non convenzionale e a volta provoca un ribaltamento delle situazioni…Per questo la burla è così importante…..la musica, laddove in Falstaff o nelle opere di Mozart si sgrava, non suscita solo allegria, ma il rinnovarsi continuo delle situazioni, l’adeguamento al loro inesauribile sfrangiarsi, mescolarsi, disperdersi e ritrovarsi…”

Riflessioni che trovano una profonda eco in tutta la Cultura Ebraica. Chissà se Claudio, la cui sensibilità mi è sempre sembrata molto vicina a quella ebraica -una delle  ragioni del profondo affetto per lui-, ci ha mai pensato…..

E tanti altri spunti ancora, che non menziono per lasciare al lettore la gioia della scoperta e goderne i complessi e stupendi aspetti musicali, scenografici, filosofici, letterari, psicologici.

Tutto questo è espressione degli studi svolti da Abbado negli anni in continuo approfondimento e confronto: tra autori diversi -i rapporti tra Verdi e Beethoven (studiato da lui fin da quando era ragazzino), primo e più evidente esempio-; tra differenti figure burlesche: oltre a Falstaff, incontriamo Till Eulenspiegel (personaggio tardo medievale, presente a più riprese nella cultura germanica e fiamminga, che ispirò a Richard Strauss un poema sinfonico composto nel 1891-95, Till Eulenspiegel lustige Streiche, cioè Tiri burloni di Till Eulenspiegel); e generi musicali solo all’apparenza lontani, come quando furono invitati a suonare coi Berliner il grande trombettista afro-americano Wynton Marsalis con la sua Lincoln Jazz Orchestra (memorabile performance del marzo 2001).

Dopo aver diretto Lohengrin, Tristan und Isolde, nonché molti preludi e brani di Richard Wagner, Abbado si dedica a Parsifal,  proprio in conclusione del suo mandato come Direttore dei Berliner.

Il ciclo finale -2001-, Il tempo diventa spazio, è ispirato all’ultima opera di Richard Wagner, cioè Parsifal, composta tra il 1877 e il 1882. Il titolo deriva da una frase che, nel dramma, l’anziano e saggio Gurnemanz pronuncia all’indirizzo del protagonista: “Vedi, figlio mio, qui il tempo diventa spazio”.

Il tema di Parsifal fu a lungo studiato da Wagner, che vi dedicò particolare attenzione per diversi anni, a partire dalle origini del poema epico di Wolfram von Eschenbach (1170 / 1220, circa), già cavaliere alla corte di Turingia e uno dei più grandi poeti tedeschi del Medioevo.

Nel Parsifal Wagner “ha riunito una simbolica così ricca e tanti motivi da diversi miti, che l’opera produce significati sempre nuovi e anche spesso molto diversi tra loro” così il Maestro in un suo testo che apre il volume “Zum Raum wird hier die Zeit (“Qua lo spazio diventa tempo”), dedicato al tema trattato.

A conclusione dello stesso scritto, poi, egli ringrazia il pubblico berlinese per l’amore e la fedeltà dimostratigli nel corso degli anni, attesta la propria amicizia verso la città e i suoi abitanti, ribadendo il proprio legame che resterà saldo, come sappiamo, per tutta la sua vita.

E prosegue: “L’opera di Wagner è un’opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk) che ci tocca in modo del tutto particolare, sul quale la musica ha un effetto quasi oggettivo. Allo svilupparsi della temporalità si aggiunge un’atmosfera spaziale che ci avvolge. Anche Scharoun [l’architetto Hans Scharoun, 1893/1972] aveva un’idea propria degli effetti coniugati Spazio-Musica-Uomo che ha potuto realizzare in maniera geniale con la costruzione della Philarmonie di Berlino. Il mio sogno era questo: mettere insieme queste due visioni”.

Altro riferimento alla Cultura Ebraica. L’ispirazione mi viene dalla lettura, appena  iniziata,  del saggio Con lo sguardo alla luna-Percorsi di pensiero ebraico (Ed. Giuntina, Firenze, 2015). L’Autore, Rav. Roberto Della Rocca, ci rammenta come, celebrando lo Shabbat,  interrompiamo i rapporti produttivi ed economici che caratterizzano la nostra vita ordinaria. Il trasferimento dalla dimensione  spaziale, delle cose concrete,   dall’attività realizzatrice, che modifica l’esistente, a quella temporale, cioè il regno della vita spirituale, significano il prendere coscienza, con umiltà, dell’incompiutezza dei nostri progetti, dei nostri limiti: ritorna dunque il  tema dello Spazio che diventa Tempo e viceversa.

Il capolavoro wagneriano è discusso da Abbado e Bramani nella genesi e nel significato -a cominciare dalla leggenda del Santo Graal e dalla connessa figura del giovane cavaliere, Parsifal, l’eroe puro che impersona il perfetto eroe cristiano, in opposizione all’altro grande campione del Medioevo germanico, Tristan- e pure in rapporto all’influenza di Wagner su altri Autori suoi contemporanei e del ‘900, come, ad esempio, Bruckner, Débussy, Mahler, Schönberg. Essa, col suo Autore, rappresenta un ponte tra il Romanticismo e il XX secolo.

Ed entrano quindi in gioco pure le moderne teorie scientifiche, dalla psicanalisi alla tesi dello spazio tridimensionale. “Anche Bergson” rileva il Maestro “riteneva che spazio e tempo non fossero entità separate e separabili, men che meno nella coscienza soggettiva. E Mozart, in quanto musicista, massone e quindi conoscitore dei principi alchemici, nonché appassionato di matematica, era della stessa idea. ” E prosegue: “Tempo e spazio in Parsifal coincidono perché solo la spada che ha ferito può guarire. Pensiamo al significato simbolico in un’ottica ambientalista. Curare lo spazio della terra oggi ha senso solo se si dà valore a ciò che quella terra sarà tra mille anni. Uscire dall’io del qui e ora. Scardinare l’ottusa grettezza dell’egoismo momentaneo…del lasciar fare. Né la musica né alcuna delle dimensioni umane legate al bello possono tollerare il suicidio delle grandi città. Si fa troppo poco. E questo mi dà dolore, mi fa continuamente cercare persone e istituzioni che vogliano finalmente muoversi dal torpore, dalla rassegnazione o peggio dalla collusione”. Il luminoso sentire civile che ha accompagnato Abbado tutta la vita e che ne fa un autentico umanista, come rileva pure Alessandro Zignani nel suo volume.

Spiega poi lo stesso Maestro, in risposta ad un suggerimento dell’interlocutrice in merito alle “zone d’ombra nel modo di pensare di Richard Wagner, al di là delle strumentalizzazioni successive, soprattutto naziste”: “[Egli] crea un universo sonoro nel quale…..permette il superamento di ogni tensione in nome di una religiosità universale che riunisce tutte le fedi in una dimensione più alta…..Questo ho sentito in Parsifal e credo che sia indipendente anche dall’ideologia wagneriana, non di rado contaminata da aspetti inquietanti, soprattutto per quanto riguarda l’antisemitismo”.

Il ciclo finale suggella l’intera esperienza berlinese: in esso sono raccolti i precedenti poiché in Parsifal, come afferma anche Lidia Bramani, si riconoscono alcuni principi cardine nell’esperienza culturale e umana di Claudio Abbado: la forte solidarietà e un linguaggio musicale capace di congiungere Passato e Futuro, Tempo e Spazio. In una visione senza confini, in  cui l’ultimo ciclo, quello dedicato a Parsifal appunto,  è la sintesi di tutti i precedenti.

Esperienza  che ha consentito a lui, nell’ultimo dodicennio di vita, di intensificare il suo caratteristico  “cercare cose nuove”, favorendo un più alto, tutto speciale, rapporto con i musicisti, dando origine alla fase forse più feconda del suo percorso artistico. Vissuta, come sappiamo, in una condizione fisica caratterizzata da uno stato di precarietà, cui ha sempre fatto fronte con incredibile coraggio; declinato con  riservatezza smitizzante.

Quanti lo hanno conosciuto davvero? Pochi, immagino. Ti sembra di afferrarlo, ma poi ti sfugge alternando le riflessioni su Mahler o Schumann ai pensieri per le siepi e i fiori del suo giardino sardo incantato. Tenerezza umanissima, Magia e Mistero. E Musica.

Fino all’ultimo. ” La musica gli dava il respiro che lo teneva in vita; per cui, quanto si avverte nelle sue ultime testimonianze di direttore è un senso di riconoscenza pressoché religiosa”. Ancora Alessandro Zignani, nel testo citato sopra.

E la precarietà,  l’incompiutezza, la carenza, il mettersi di continuo in discussione, la ricerca approfondita  ogni giorno con passione sono una costante del pensiero ebraico, espresso soprattutto nel  Talmud. A proposito del quale Rav. Della Rocca, nel suo libro -davvero una miniera preziosa, un insieme di tematiche…. da ciclo berlinese- mi fa scoprire  una realtà che non conoscevo. Egli rammenta come la saggezza consista nel  prendere atto dei nostri limiti -anche fisici….- e fare di tutto questo un punto di forza. E  scrive: “Forse è questo il motivo per il quale nel Talmud non esiste la pagina n. 1. Si inizia sempre dalla n. 2, per insegnarci  che anche quando di suppone di avere studiato tutto, ci mancherà sempre una pagina!”

Tutto torna, ancora  una volta.

“Lussureggiante autunno abbadiano, ricco di colori e suggestioni” così ha perspicuamente definito un ammiratore le ultime interpretazioni, in specie i due concerti diretti a Lucerna nell’agosto 2013, che hanno il sapore di un testamento spirituale.  Lascito immenso, che chiunque  ami Claudio ha il dovere e l’onore di mantenere vivo.

                                                                            Ascesi

E’ l’Uomo, cioè tutti Noi, di fronte al Mistero dell’Infinito.

Più di molti illustri colleghi, italiani e non, ha osservato il critico Quirino Principe in un commento alla presente opera (apparso su il Sole 24 Ore, inserto culturale, del 22 novembre 2015), Claudio Abbado si avvicina ad una visione filosofica della Musica “più che mai irrinunciabile oggi se si vuole che la musica occidentale e con essa la civiltà occidentale” esca da un ambito di élite e “circoli,  lampeggi di significati, ridiventi visibile ai più”.

I pensieri sono espressi in questo libro con un linguaggio essenziale, privo di sbavature e ridondanze; pagine dense, da meditare dove la vulcanica, sensibilissima personalità del Maestro trova piena valorizzazione nelle domande ed osservazioni di una solida studiosa con la quale egli ha collaborato a lungo, cicli berlinesi inclusi.

Una precisazione: Lidia Bramani ha incontrato Abbado per la riscrittura della conversazione fino agli ultimi tempi di vita di lui; e  si è pure avvalsa del valido aiuto di Daniele  -primogenito del Maestro, regista teatrale di valore e persona sensibile con la quale  ci si capisce “al volo”, senza necessità di sprecar parole – per completare il  prezioso testo dal quale  è commovente lasciarsi catturare proprio in questi giorni, a due anni esatti dalla dipartita dell’interprete  principale.

“Fra le amate montagne di Sils [Alta Engadina]” scrive lei  nell’affettuosa premessa “in Svizzera o a Bologna, mi raccontava con il sorriso la sua Berlino”.

Ti par di vederlo: l’aria da ragazzino impertinente ma timido, lo sguardo catturante, luminoso; e udirne la voce.

Indimenticabile Claudio. Come il ricordo, stampato per sempre nel mio cuore, di quel nostro muto sfiorarci per strada, incrociando appena gli sguardi, una nebbiosa mattina di novembre 2013. Poco prima che ci lasciasse.

Solo fisicamente, però.

 

[1]  Leggibile su questo sito, Marzo 2015.

[2] Nel 2015 sono usciti alcuni saggi dedicati a Claudio Abbado. Rammento, già citato nel mio commento a MANIN , op. cit.: Alessandro ZIGNANI, Claudio Abbado, le opere e i giorni, Ed. Zecchini, Collana Grandi Direttori, Varese, Gennaio 2015, pp. 264, €. 25. Esso  è centrato in primo luogo sugli aspetti musicologici, ma ci fornisce anche preziose annotazioni sul carattere del protagonista: spiega, ad esempio, la ragione per cui Claudio  dichiarasse con serenità di non aver  Paura di nulla, specie dopo l’intervento chirurgico subito -ciò non era espressione di ribalderia, ma corrispondeva ad una precisa concezione del Mondo e della Natura-; peraltro il testo mi pare assai pessimista nelle sue conclusioni.

In queste settimane, poi, è nelle librerie: Claudio Abbado Ascoltare il silenzio (a cura di Gastòn Fournier Facio), Ed. Il Saggiatore, Milano, in collaborazione con la Fondazione Claudio Abbado, Dicembre 2015, pp. 332, €.45. L’opera racconta la vita e la carriera del Direttore attraverso interventi critici, lunghe interviste e intensi ricordi -come le fotografie, comprese quelle dei suoi appunti manoscritti sugli spartiti, v. ad esempio, alle pp. 238/239, Nona Sinfonia di Mahler, annotazioni riguardo alle luci -che ci donano l’immagine di un artista riservato, ma dalla curiosità inesauribile, mostrandoci l’uomo dietro la figura pubblica; ed intende essere un punto di riferimento del lavoro di Claudio Abbado, dalle cui pagine emerge chiara una traiettoria umana, culturale ed artistica che sarà d’esempio per le generazioni future.

3] La Fondazione Claudio Abbado (FCA) è stata costituita, alla fine del 2014, dai quattro figli del Maestro (Daniele, Alessandra, Sebastian e Misha) con il fine  di conservare, tramandare e valorizzare il lascito musicale di lui. Alla Fondazione è stato affidato l’aspetto più rilevante della sua eredità:  il percorso artistico e professionale. La documentazione che ne costituisce testimonianza è stata messa a disposizione dai figli, affinché la Fondazione possa proseguire nell’attività di raccogliere, catalogare, archiviare e divulgare quanto aiuti ad illustrare il percorso artistico di Claudio Abbado, e renderlo poi fruibile pure ad un pubblico che non abbia una preparazione specifica. Il lavoro di organizzazione  e catalogazione è iniziato dal prendere visione delle partiture, circa un migliaio, su cui Claudio ha studiato per oltre cinquant’anni. Ora questo materiale è ordinato e in sicurezza: è un archivio  di straordinario valore musicale e scientifico, praticamente completo nonostante sia stato “usato” intensamente e per un così ampio arco temporale. Oltre agli spartiti, sono state trasferite alla Fondazione le registrazioni dei concerti, anch’esse catalogate, alcune delle quali inedite, la corrispondenza e una parte dell’oggettistica (notizie tratte da: http://www.operadifirenze.it/claudio-abbado-fare-musica-insieme/la-fondazione-claudio-abbado/)

[4] Collana Tascabili Bompiani, pp. 318; difficilmente reperibile in libreria, si può o acquistare usato -ne esistono esemplari in ottime condizioni- oppure prenderlo in prestito da una biblioteca pubblica. E’ un volume di eccezionale interesse perché tratta degli anni trascorsi dall’A. a Berlino come responsabile della più prestigiosa orchestra tedesca -e non solo-; esperienza di enorme valore, narrata e documentata in modo esaustivo: sono elencati i programmi di tutti gli eventi svolti, con nomi di interpreti, luoghi, date.

[5] Lidia Bramani ha vinto nel 1993 il premio musicologico tedesco Siemens, che ha segnato l’inizio della collaborazione con Claudio Abbado. Tra i suoi numerosi titoli ruolo centrale svolgono gli studi mozartiani: Mozart massone e rivoluzionario (Ed. Bruno Mondadori, Milano, 2005, pp. 468, €. 30); E Susanna non vien. Amore e sesso in Mozart (con Leonetta Bentivoglio, Ed. Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 288, €. 16)

[6] Come scrive pure Corina Kolbe -divenuta cara amica per me- Berlino è la città di adozione nella quale il Maestro milanese ha potuto operare con maggiore apertura culturale: v. Corina KOLBE, Gli anni berlinesi di Claudio Abbado in MUSICA, giugno 2010, pp. 36-37; articolo prezioso, tra l’altro, per alcune testimonianze dirette dei musicisti sul loro Direttore, espresse nella gioia di ritrovarsi con lui -ogni volta che era possibile- per “fare musica insieme”. Sapore di vita vissuta.

[7] Riferimenti leggibili nel saggio di MANIN, cit. L’impegno proseguirà anche con l’Orchestra Mozart, istituita, com’è noto, nel 2004 a Bologna, divenuta una realtà di eccellenza grazie ad Abbado, che la diresse con straordinaria passione fino agli ultimi mesi di vita. Nel mio elaborato su detto saggio ho cercato di mettere in evidenza: sia la concezione, cara al Maestro, del “Fare Musica Insieme”, sia la visione interdisciplinare che caratterizza tutto il suo percorso: la Musica come elemento unificante delle diverse espressioni artistiche; nonché, aspetto di rilievo, gl’incontri avuti  con personalità del cinema, del teatro, della letteratura, con alcune delle quali sono poi nate solide amicizie (pensiamo ad Andrei Tarkowski; sodalizio purtroppo interrotto dalla precoce scomparsa del regista russo); sia infine l’attenzione nell’adeguare “le proposte al contesto”. A Milano -programmi della Scala rivolti a giovani, lavoratori, studenti, anziani, nonché proposizione, accanto ai classici, di autori nuovi o poco conosciuti, concerti nelle fabbriche, prove gratuite aperte a tutti, ecc.-, come a Vienna: Festival Wien Modern istituito da Abbado nel 1988, dedicato al repertorio contemporaneo e magari inedito, con ulteriore arricchimento per la città. O a Salisburgo, dove il ciclo Kontrapunkte (inaugurato nel 1994) ha ospitato esecuzioni di autori pure contemporanei nell’ambito del Festival musicale di Pasqua.

  [8] Plurale di Lied, lett. “canzone” (o “romanza”). Tipicamente i Lieder sono composizioni per voce solista e pianoforte. Talvolta più Lieder sono uniti in Liederkreise, o “cicli” di Lieder, ossia una serie di canzoni (generalmente tre o più) legate da un singolo tema narrativo.

[9]  Tematiche sviluppate soprattutto nel celebre Winterreise (Viaggo d’inverno). Si tratta di un ciclo di 24 Lieder su testi di Wilhelm Mueller:  insieme a Die Schoene Muellerin, è il più famoso ciclo di lieder di Franz Schubert e tra i più conosciuti in generale nella storia della musica. Composto solo un anno prima della morte dell’autore, rappresenta la summa di questo genere assai diffuso nella cultura musicale tedesca. L’eroe è il prototipo del Wanderer, il viaggiatore in senso romantico.