Imitation-game-storia-vera

(U.S.A. / G.B., 2014; Genere: Biografico, Drammatico)

“Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare”

Appuntamento da non perdere: dopo aver vinto il “Premio del Pubblico”all’ultimo Festival Internazionale Cinematografico di Toronto e ricevuto alcune nomination ai prossimi Golden Globes, da alcuni giorni è nelle nostre sale la pellicola The Imitation Game, diretta dal norvegese Morten Tyldum. Ispirato al romanzo di Andrew Hodges, Alan Turing. Storia di un enigma (Bollati Boringhieri, 2012, pp. 762), il film racconta la vita di Alan Mathison Turing (Londra, 1912 / Wilmslow, 1954), illustre matematico, logico e crittografo britannico, considerato uno dei padri delle attuali Computer Sciences. La sua attività ebbe grande influenza sullo sviluppo dell’informatica, grazie alla formulazione del concetto di algoritmo tramite la cosiddetta “macchina di Turing”, ideata da lui, giovanissimo, nel lontano1936, che ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione degli attuali computer.

E’ stato anche uno dei migliori criptoanalisti tra quelli che operavano, sotto copertura, nel Regno Unito durante la Seconda Guerra Mondiale per decifrare i messaggi che si scambiavano militari e diplomatici tedeschi. Lavorò infatti, insieme ad un ristretto gruppo di persone, a Bletchley Park (la cosiddetta  Stazione X), una tenuta posta a 75 km a Nord Ovest di Londra, dov’era situata la principale unità inglese di criptoanalisi. Là infatti furono decifrati codici e messaggi nemici, il più famoso dei quali era quello ottenuto con la macchina Enigma, un complesso apparecchio a cilindri, in apparenza simile ad  una macchina da scrivere. Turing ideò, per violare i cifrari tedeschi, una serie di tecniche, incluso il metodo della “Bomba”, un’apparecchiatura elettromeccanica, inventata dai polacchi diversi anni prima ma da lui perfezionata, in grado quindi di decodificare i codici creati mediante Enigma.

Al termine del conflitto la compagnia fu sciolta e ognuno dei membri fu vincolato dal segreto (di Stato) di non rivelare a nessuno l’attività svolta nel periodo della guerra.

Il matematico morì suicida a 41 anni, in seguito alle persecuzioni subite dalle autorità del proprio Paese a causa della dichiarata omosessualità, perseguita come reato fino al 1967 (!!!).

Tutto comincia con un banale episodio. Nell’inverno 1952 le autorità di polizia entrano nella casa di Turing per indagare su una segnalazione (fatta da lui stesso) di furto con scasso Ma, causa le assurdità della vita, gl’intervenuti finiscono per fermare proprio l’interessato, il quale desta subito i sospetti dei poliziotti, ignari della sua identità. Dapprima infatti essi ipotizzano di trovarsi di fronte ad una spia sovietica -siamo negli anni della Guerra Fredda-; indi, nel seguito dell’interrogatorio, durante il quale egli spiega di che cosa si occupa all’Università e che cos’è il cosiddetto test di Turing (di cui dirò tra breve), lo scienziato dichiara senza infingimenti la propria omosessualità. Ciò significherà per lui, trascinato in tribunale, una terribile condanna. Posto di fronte ad un angosciante dilemma: il carcere -con conseguente l’impossibilità di proseguire gli studi presso l’Università di Manchester- e la cosiddetta castrazione chimica, egli “sceglie” quest’ultima.

L’obbligatoria assunzione di estrogeni gli sconvolgono il corpo e la mente al punto che, nel giugno 1954, egli viene trovato senza vita nella sua casa di Wilmslow. Accanto al corpo, una mela morsicata, imbevuta di veleno. Si è verosimilmente suicidato, stanco della vita e dell’ipocrisia che lo circonda; anche se sulle cause della morte i pareri non sono unanimi.

Il regista Morten Tyldum e lo sceneggiatore Graham Moore ci donano un’opera notevole. Il film si struttura su tre piani diversi secondo modalità espressive davvero coinvolgenti.

Il passato: gli anni del college, dove Alan, affascinato dalla matematica e dalle scienze esatte, timido, deve vedersela con il bullismo dei compagni, tra i quali uno solo gli è amico, Cristopher, morto anzitempo e sempre ricordato con affettuoso rimpianto; infatti chiamerà così quella macchina ideata a soli 24 anni.

Il periodo della guerra, a Bletchley Park: il gravosissimo compito cui lo scienziato e i colleghi si trovano di fronte, mentre il conflitto incalza e la Germania sembra invincibile. “Tutti ritengono Enigma indecifrabile!” rammenta duro l’ufficiale di Marina Denniston, responsabile del gruppo, cui dà corpo e voce uno dei più simpatici….burberoni del cinema, l’inglese Charles Dance. Le difficoltà di rapportarsi con gli altri, restii, d’altro canto, ad ammettere di trovarsi di fronte ad una mente superiore, creano in Alan non pochi problemi. Poi, un giorno, la scoperta, quasi casuale, che consentirà di decrittare i messaggi di Enigma. E di salvare milioni di vite umane, accorciando, sembra (è l’autorevole opinione di Winston Churchill), di due anni la durata del conflitto.

I dilemmi morali: una volta decifrati i messaggi di Enigma, è necessario che il nemico non scopra tale novità e nemmeno la sospetti; pena il dover ricominciare tutto daccapo. Ma conoscere in anticipo l’esistenza di prossimi attacchi tedeschi contro gli Alleati -britannici in primo luogo- può porti di fronte all’angosciosa realtà e consapevolezza che talora detti attacchi, proprio per esigenze strategiche, non verranno fermati; ciò per non scoprire le carte di quel gioco mortale.

Dilemma terribile, reso ancora più lacerante nel caso in cui, ad esempio, su un certo convoglio, in procinto di essere distrutto, ci fosse una persona conosciuta, un amico, un fratello. Che fare in simili casi?

Il dopoguerra, il ritorno alla vita ordinaria, le terribili sofferenze causate da una società ipocrita, ancora legata a modelli medievali. Una riflessione s’impone per coloro che ritengono gli omosessuali “soggetti ammalati da curare”: con la castrazione chimica, magari?

La riabilitazione postuma, per la verità tardiva. Le scuse ufficiali del Governo, espresse dall’allora Primo Ministro Gordon Brown (2009), poi la grazia concessa dalla Regina Elisabetta (2013).

La vicenda non solo è la storia del rilevante contributo di uno scienziato dapprima alla vittoria su avversari apparsi a lungo davvero imbattibili; indi allo sviluppo delle attuali scienze informatiche, parte essenziale della nostra esistenza quotidiana. Ma anche la vicenda di un uomo, dal carattere certo non facile, aspro, ma “dalla personalità unica, intraprendente e disarmonica, ma…..con una capacità [con chi aveva la pazienza di mettersi in sintonia con lui] illimitata di comunicare con la gente senza sentirsi confinato nei soliti luoghi comuni”. Così afferma Benedict Cumberbatch, giovane attore britannico che ci regala un Alan molto efficace, mai scadente nell’istrionico o nel patetico.

Accanto a lui la connazionale Keira Knightley, già intensa Anna Karenina nell’omonimo -ed originalissimo- film di Joe Wright (2012), fa conoscere la figura di Joan Clarke, la matematica assai vicina a Turing, nel lavoro e nella vita, che fu ad un passo dal diventare sua moglie, nonostante egli le avesse confessato la propria omosessualità; ma lei era pronta ad accettarlo com’era, non ritenendolo affatto un malato da curare o magari  un peccatore da redimere.

 

Una sintetica spiegazione sul titolo del film, The Imitation Game, il cui significato ritengo non sia noto al grande pubblico. Occorre partire dal cosiddetto Test di Turing, un criterio per determinare se una “macchina” sia in grado di “pensare”. Tale criterio era stato spiegato dallo scienziato in un articolo apparso nel 1950 sulla Rivista Mind (in precedenza Cartesio se n’era occupato nel suo Discorso sul metodo del 1637).

Nell’articolo il matematico prende spunto da un gioco, chiamato “gioco dell’imitazione”, elaborato da tre partecipanti: un uomo A, una donna B, un terzo soggetto C. Quest’ultimo è tenuto separato dagli altri due e, tramite una serie di domande, deve stabilire qual è l’uomo e qual è la donna. Ma anche A e B hanno dei compiti. Il primo deve ingannare C e portarlo ad un’identificazione errata, mentre la seconda deve aiutarlo. Affinché C non possa disporre di alcun indizio (come l’analisi della scrittura o della voce), domande e risposte debbono essere dattiloscritte.

Il Test di Turing si fonda sul presupposto che una macchina si sostituisca ad A. Se la percentuale di volte in cui C indovina chi sia l’uomo e chi sia la donna è simile prima e dopo la sostituzione di A con la macchina, allora quest’ultima dovrebbe essere considerata intelligente poiché, in tale contesto, non sarebbe distinguibile da un essere umano. Tale gioco può essere usato come test per smascherare i comuni pregiudizi sociali. Se si pongono le stesse domande a due persone, o gruppi di persone, che la società considera diverse -ad esempio, per sesso, colore della pelle, orientamento sessuale-, dalle risposte saremmo in grado di distinguere gli uni dagli altri?

 

Infine un ringraziamento ad una cara amica, Monica Dogliani.

E’ stato grazie a lei che ho fatto conoscenza con la figura di Alan Turing, del quale, fino ad allora, avevo sentito parlare in modo vago.

Nel romanzo -affascinante per le tematiche trattate, frutto di seri studi storici, l’epoca su cui è focalizzata la seconda parte e le figure, talvolta insolite, che entrano in scena- scritto da Monica insieme con Andrea Ronchetti, Oltre la cenere, uscito nell’ottobre 2009 (Paoletti D’Isidori Capponi, pp. 440), [1] Franz, giovane tedesco colto e sensibile, oppresso dal grave sentimento di colpa per avere un padre nazista (del quale, conclusa la guerra, ignora al momento la sorte), incontra, a inizio anni ’50, presso l’Università di Manchester, proprio il Prof. Turing, distrutto dalla sofferenza fisica e psichica, nell’ultimo periodo di vita di quest’ultimo. “Indossava un grosso maglione per celare un corpo martoriato dalla legge”. Leggiamo, in particolare, le pagg. 272 e ss. -e, prima ancora, per inquadrare il contesto, pp. 126-127-. Dopo un primo istante di comprensibile imbarazzo -il figlio di un ufficiale delle SS di fronte all’uomo che aveva decifrato Enigma contribuendo in modo rilevante alla sconfitta del Reich-, tra i due nasce una reciproca simpatia. Lo scienziato comprende il dolore del ragazzo, dà a questi, e pure a chi legge, la consapevolezza di comprenderlo fino in fondo, di sapere, per una misteriosa empatia, tutto di lui.

Lo incoraggia, con parole talora ruvide, venate di sarcasmo, talora affettuose, quasi paterne, a superare l’opprimente passato che Franz percepisce tuttora come parte di sé -“…sento ancora l’odore dei forni crematori, le urla che giungevano all’improvviso dal nulla”, confessa questi-, lo incita a guardare avanti e pensare di più alla sua ragazza e meno al padre e agli studi.

“Vivi! Devi vivere la tua giovinezza e non la tristezza. I numeri possono diventare una gabbia. Sei nato muto?”

                Ecco un trailer del film

 

 

 

 


[1]  V. mia recensione su questo sito, Dicembre 2009.