VOGEL Romanzo Viennese
(Titolo originale Romàn vinaì, Am Oved, Tel Aviv, 2012)
 
Traduzione di Alessandra Shomroni; Postfazione di Lilach Nethanel; Nota sul testo di Youval Shimoni e Lilach Nethanel, Ed. Giuntina, collana Diaspora, Marzo 2014, pp. 272, €.16,50
“Camerieri versavano champagne con gesti plateali, uomini anziani con grossi sigari piantati in mezzo alle facce grasse palpeggiavano giovani donne dalle mire oscure che non vedevano altro che i loro soldi e nell’aria aleggiava un aroma indescrivibile di tabacco, di profumi, di alcol e di sudore”
“La vita pulsava sia nel movimento che nel riposo. Anche una montagna immobile era piena di vita. E se un giorno lui fosse arrivato al punto in cui non avesse percepito la bellezza, quel suo eterno palpitare, l’avrebbe fatta finita”
Autentico capolavoro scoperto grazie ad un graditissimo regalo.
Il mio immediato interesse verso l’opera di un Autore per me sconosciuto, David Vogel, è nato il mese scorso dopo aver adocchiato, sul sito web di Giuntina , l’annuncio dell’uscita di Romanzo viennese, pubblicato in Israele nel 2012.
Dalle brevi righe di presentazione, è nato subito il programma: sarà tra le prossime letture.
Pochi giorni dopo…sorpresa! Un pacco postale proveniente dall’amico editore fiorentino conteneva nientemeno che quel volumetto color arancione dalla copertina intrigante.
E’ cresciuta così la passione per questo scrittore. La vita un po’ misteriosa, la produzione letteraria; confesso che pure ora, a lettura completata, fatico a distaccarmene, poiché, tra l’altro, è difficile per me mettere in ordine pensieri, notizie, tematiche, tanti sono i piani che si intersecano.
Proverò a farlo nel modo più chiaro possibile, augurandomi che coloro i quali avranno la pazienza di leggermi saranno indotti a condividere poi, di persona, quest’avventura.
In primo luogo, la figura di David Vogel.
                                                                                                    david_vogel
              Nato il 15 maggio 1891 a Satanov in Podolia (ora Ucraina) da una famiglia ebraica religiosa, ben presto incominciò a viaggiare per motivi di studio, dapprima nell’Est Europa; poi nei Paesi vicini. Nel 1914 si trovava a Vienna, quando fu arrestato, all’inizio della Grande Guerra, quale cittadino di un Paese nemico. Soggiornò poi, per un certo periodo, a Parigi; ivi cominciò la sua attività di scrittore. Successivamente lo troviamo in Terra di Israele, a Tel Aviv, nel 1929, ma, temperamento inquieto, vi restò solo un anno: il torrido clima mediorientale infatti non gli garbava.
Ritornato nel Vecchio Continente, visse sempre in ristrettezze economiche, abitando in diverse città.
Allo scoppio del secondo conflitto fu ancora arrestato; ma dai francesi, quale cittadino austriaco, indi dai tedeschi, in quanto ebreo. Deportato nel 1944, morì ad Auschwitz.
Della sua vita conosciamo poco -perfino sulle circostanze tragiche della morte non c’è uniformità di notizie-, se non che ebbe due grandi passioni: la scrittura e le donne.
Per la profondità e la capacità di introspezione psicologica le sue opere sono state paragonate a quelle di scrittori sommi e celebrati, quali Franz Kafka, Thomas Mann, Joseph Roth.
La prosa di Vogel rappresenta un insolito anello di congiunzione tra Europa e Israele: scelse infatti di esprimersi in ebraico, una lingua all’epoca riscoperta da poco tempo che egli, al pari degli altri autori, contemporanei e successivi, modellò ed arricchì; ma lo fece -questo è l’aspetto originale- restando nell’ambito europeo.
Fino a pochi anni or sono di lui si conoscevano, oltre ad alcune raccolte di poesie e diari: un romanzo, Vita coniugale (ambientato a Vienna negli anni ’20; che vide la luce a Tel Aviv nel 1929, pubblicato in Italia da Adelphi diverso tempo fa); e due novelle, edite nel 2010 e 2011 da Passigli, Davanti al mare e La cascata.
Nel 2010, la grande scoperta. In Israele, magie della vita. Ma di questo dirò più avanti.
Il prologo e l’epilogo di Romanzo Viennese -che appaiono quasi slegati tra loro- si svolgono a Parigi in anni non lontani dalla fine della Prima Guerra Mondiale.
Il protagonista è il quarantenne Michael Rost, figura a tratti autobiografica, una sorta di dandy che trascorre le sue giornate tra amplessi amorosi con femmes fatales più o meno occasionali e la compagnia di stravaganti personaggi. Una varia, per lo più sgangherata, umanità.
La spregiudicata Emmy Vitler, snella e vestita di nero; Gregor, pittore scrittore; e soprattutto un ex attore divenuto -a tratti- balbuziente, i cui racconti risvegliano in Michael, sia pure per un istante, un ricordo sepolto sotto “macerie di anni e di eventi…accompagnato da un’immagine dai contorni sfocati…..Ma a Rost non piaceva scavare nel passato”.
E poi una notte con Janet la rossa, prostituta e ragazza madre dalla vita drammatica.
Dissolvenza.
Il cuore del romanzo è ambientato a Vienna (dove effettivamente Vogel visse, in precarie condizioni economiche, dal 1912 al 1925) a inizio ‘900, circa un ventennio prima del soggiorno parigino. Anzi lo scrittore, con un geniale coup de théâtre, fa entrare in scena  Michael -alto, biondo, diciottenne ebreo senza un soldo-, di punto in bianco, senza nominare direttamente né la capitale austriaca, né la destinazione -peraltro ben presto abbandonata- scelta da lui in un primo momento, allorché aveva lasciato i luoghi d’origine nell’Impero zarista in cerca di fortuna. Il linguaggio è concreto ed evocativo: “…era comparso in una capitale europea il cui re [sic], con il mento ben rasato incorniciato da una folta barba, era ormai vecchio e un po’ rimbambito…..una città antica, sortita dalle nebbie del Medioevo con guglie e cattedrali…..Era un ragazzo…..in viaggio verso una terra del Vicino Oriente, una terra desolata, abbandonata da migliaia di anni, che un pugno di idealisti legati a un lontano passato cercava di far rivivere con entusiasmo e col duro lavoro manuale”.  
Michael è mosso da una straordinaria voglia di vivere, dall’ansia di cogliere fino in fondo qualsivoglia occasione la vita possa offrirgli. “Era avido di tutto, sazio e affamato a un tempo, ansioso di sondare la vita in tutti i suoi anfratti…di esaurire tutte le possibilità che aveva dentro.”
La prosa, pur a tratti carica di risvolti assai amari, è ricca di paradossi, suggestioni, Witz. In una parola: piacevolissima.
A cominciare dal biglietto di presentazione che Vienna offre, con quel locale, “rigorosamente kosher”, chiamato “L’Unità”, frequentato per lo più da ebrei immigrati dall’Est Europa: una via di mezzo tra locanda, caffè, ristorante; dove il nostro eroe trascorre molte ore, specie nei primi tempi del suo soggiorno.
Lì puoi incontrare di tutto: sedicenti grandi tenori, come Arnold Kroin; anche se, a detta di alcuni maligni in ascolto delle sue prodezze canore, parrebbe essere rauco come una gallina. O Yasha, originario di Odessa, con un passato -chissà… la cosa non è del tutto certa- da capo di una banda di ladri, macchiatasi perfino di alcuni delitti; ora adattatosi a far l’imbianchino. Oppure Misha, l’anarchico, che medita un esemplare attentato. Per non parlare di Jan: un tipo rude, ossuto, orbo da un occhio “ma che aveva quello sano nero e penetrante come un ago”. O Marcus Schwarz, eterno aspirante drammaturgo.
Il proprietario dell’esercizio è Chaim Stock, “un rispettabile ebreo con una magnifica barba bianca….” il quale….Lascio al lettore il piacere della scoperta. Qua e là emergono in Michael i ricordi del suo paese natale. Rimossi poco dopo.
Egli, tra una chiacchiera e l’altra, se ne sta in attesa come un cane da caccia; aspetta l’occasione fortunata con pazienza, senza scoraggiarsi. La buona sorte giunge nelle sembianze di Peter Dean, un…riccone americano, come tale spregiudicato oltre ogni dire, quarantenne o giù di lì, conosciuto per caso, in strada. Viso intelligente, baffi curati, aria decisa, questi vede in Rost se stesso in anni ormai lontani. Intende metterlo alla prova, intuendone le capacità. Alla confessione fattagli da Michael di poter fare a meno delle convenzioni sociali, l’uomo insegna al giovane una massima fondamentale di comportamento: “Chi ignora le leggi della società deve essere in grado di darsene delle proprie”.
Grazie alle discreta somma di danaro donatagli dall’insolito benefattore, il protagonista, lasciate le meste, precarie sistemazioni cui era abituato, affitta una stanza in una rispettabile casa borghese, quartiere tranquillo, a poca distanza dal centro storico. La padrona è un’affascinante trentancinquenne, Frau Gertrud Stift. Il marito, proprio in quei giorni, è assente per lavoro e lei studia subito l’ospite con evidente interesse. La donna è consapevole di avere notevoli frecce al suo arco, anche con chi ha tanti anni di meno di lei, e non intende perdere tempo: è troppo desiderosa di evadere dalla vuota routine impostale dal consorte. Questi è il tipo abitudinario, immarcescibile coniuge vecchio stampo, con corollario di periodiche visite ad un’amante occasionale residente in altra città, poco interessato alle esigenze sessuali della moglie; ma, inevitabile conseguenza, solito vantarsi dell’assoluta fedeltà della medesima, come uno stupido pavone. E’ il consueto, stucchevole borghese gioco delle parti; ridicolo specie se si pensa che il primo con cui Herr Stift, ritornato al desco familiare , si vanta è proprio Michael!
Nella casa vive pure Erna, figlia quindicenne della coppia, capelli corvini e incantevoli occhi azzurri: assai graziosa, pur ancora un po’ informe. Ma pare promettere bene, quanto a vivacità e spregiudicatezza. Nei confronti del nuovo arrivato prova un irresistibile, quanto ambivalente, sentimento. Da una parte, è attratta da quel bel giovanotto educato sì, ma ironico, disincantato e per questo oltremodo affascinante; dall’altra, è infastidita dalle battute di spirito che questi le rivolge, trattandola, a bella posta, come una bambina. Ha capito al volo la tresca che egli ha instaurato, appena giunto, con l’intraprendente madre; e dunque prova un’irrefrenabile gelosia. Che accadrà? Facile immaginarlo!
Le giornate trascorrono tra caffè e parchi pubblici dove c’è sempre un’orchestrina che suona, un valzer o una czarda. E nella Ringstraße [1] il ritmico battere degli zoccoli dei cavalli sul selciato si alterna allo sferragliare dei tram. Tutto è quasi sempre  avvolto da una leggera pioggerellina.
Ecco le prime automobili.
Si va dal  rispettabile (…..) salotto al bordello, senza soluzione di continuità.
Le immagini paiono nascere dai pittori dell’epoca. “La via era deserta, poco illuminata dai lampioni. Un gatto emerse dal buio, si fermò nel cerchio di luce e girò la testa di qua e di là, come in cerca di qualcosa. Poi attraversò la strada in diagonale, senza fretta, con passi felpati.
L’intera scena sembrava immersa nell’irrealtà di un sogno. Faceva un po’ freddo”.
Vienna è la protagonista del romanzo, non a caso omaggiata nel titolo. Capitale di un Impero ormai prossimo al disfacimento, ma ricca di fermenti culturali in tutte le direzioni: arti figurative, neuroscienze, filosofia, musica, medicina -pensiamo alla psicanalisi, ma non solo-. Un ambiente definito “Gaia Apocalisse”, in grado di creare un collegamento, tuttora attuale, tra scienze biologiche e letteratura; la Vienna Jugendstil di Sigmund Freud, Egon Schiele, Oskar Kokoschka, Gustav Klimt. Un movimento che esprime ed incarna, oltre ad una nuova estetica, un’autentica concezione di vita. In Italia sarà detto Liberty; in Francia e Belgio Art Nouveau; nei Paesi anglosassoni Modern Style. [2]
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                 Attentissimo lo studio dei caratteri e degli ambienti, avvolti da un raffinato erotismo -non a caso il libro è stato definito “romanzo erotico”- che non scade mai nella compiacente volgarità fine a se stessa.
Un pulsare irrefrenabile di vita: “Ogni momento possedeva una propria bellezza, ogni giorno, ogni notte, ogni goccia di pioggia, ogni soffio di vento…”
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Ma accanto al desiderio di Vita, di Eros emerge, in modo talora esplicito, talora velato, un irrefrenabile istinto di Morte. Perfino in una persona disinibita come Peter Dean: “Un uomo è sempre solo nel dolore, nella noia, nella gioia, ed è questa solitudine a spingerlo a evadere da se stesso alla ricerca di qualcosa, di qualsiasi cosa, talvolta anche della morte”.
La stessa filosofia esistenziale che caratterizza un amico di Erna (segretamente innamorato di lei), Fritz Anker, il giovane ricchissimo e complessato, con periodiche smanie suicide, desideroso dell’altrui compagnia, ma, nello stesso tempo, occupato a fuggire i suoi simili, a proprio agio solo nei bordelli, in compagnia di ragazze che ritiene facili.
In quest’ansia di disfacimento c’è la consapevolezza della finis Austriae, messa in luce da Felix von Bronhof, ufficiale, ma in procinto di…appendere la divisa al chiodo -forse-: “Noi [l’aristocrazia] siamo un popolo antico destinato a cadere….Tutta questa struttura monarchica crollerà inevitabilmente…tutto è marcio e corrotto nelle alte sfere”.
Sotto la superficie di quel mondo vellutato intuisci quindi il dramma, l’imminente sfacelo, che continuerà anche dopo la Prima Guerra Mondiale, fino all’Irreparabile.
Ma di tutto questo paiono non curarsi Michael ed Erna. Assistiamo ad un elegante duello amoroso / erotico tra i due giovani, entrambi inesperti e palpitanti. Allorché si accorge che tra i due sta nascendo qualcosa, Gertud prova un profondo sentimento di ostilità nei confronti della figlia, unito alla consapevolezza che il tempo corre inesorabile, nel vuoto di un’esistenza trascorsa in solitudine accanto ad un marito mai amato e che non la ama.
Tra le braccia di Rost ella aveva provato l’illusione di poter ricominciare una nuova esistenza, ma quella speranza sta rapidamente svanendo. Per di più si è resa conto di come, in un lasso di tempo tanto breve e proprio grazie all’incontro con lui, Erna, da insicura adolescente, si sia trasformata in una giovane donna, consapevole della propria forza, in grado di tener testa -con calma olimpica- alla madre.
L’aver conosciuto e, sia pure a suo modo, amato la ragazza non rappresenta invece per Michael, all’apparenza preso da lei, un motivo di crescita e di maturazione affettiva. Egli non trova di meglio che lasciare la casa, non appena inizia il tempo delle vacanze.
Una nuova sistemazione gradita non tarda a presentarsi. Non lontano da casa di Friedel, amica di Erna, lo aspetta una sistemazione ancora più confortevole: una camera da letto e un salotto. “Rost si sentiva bene in quell’ampio e tranquillo appartamento”.
Lo ritroviamo alla fine del romanzo vent’anni dopo il soggiorno viennese, a Parigi, quarantenne, invecchiato, sempre ramingo. Dopo una nottata trascorsa al tavolo da gioco a seguito della quale ha perduto tutto il suo danaro, annuncia alla compagna di turno, certa Marie Anne (comparsa solo nelle ultime pagine), giovane e viziata, di volerla lasciare per “ricominciare da capo”.
Dubito che si sarebbe trovato qualcuno disposto a credergli.
Che ne sarà di questo cinico ed incosciente Peter Pan? Il Tempo passa ancora più rapido per tipi come lui, incapaci di comprendere le gravi derive della Storia. Diversi anni dopo l’avido Indicibile li coglierà impreparati.
La Scoperta.
Nel 2010 Lilach Nethanel -giovane docente presso l’Università Bar Ilan di Ramat Gan (vicino a Tel Aviv), traduttrice dal francese, nonché scrittrice a sua volta-, esaminando il fascicolo relativo a David Vogel (il n. 231), conservato presso l’archivio Gnazim [3], rinvenne, tra le carte dell’Autore, un manoscritto costituito da diverse cartelle, redatte in una scrittura dai caratteri piccolissimi, leggibile in modo agevole solo con la lente d’ingrandimento, ricca di correzioni e cancellature. Era quasi occultato da altri testi, mescolato ad oggetti diversi, testimonianze palpabili di un’esistenza errabonda e tormentata: lettere, cartoline affrancate, un appunto sull’ora di partenza di un treno, la chiave di una porta “che non chiude più nulla”, ecc., ecc.
Dopo attento esame la studiosa comprese di trovarsi di fronte non a semplici appunti, bensì ad un’opera del tutto autonoma; giovanile, poiché alcuni motivi e temi ivi abbozzati si ritrovano nei romanzi posteriori più noti; sicuramente incompiuta: probabilmente l’Autore -in un momento non ben precisato- l’aveva messa da parte col programma di lavorarvi ancora in un periodo successivo.
Ma la Storia, tragica ed inesorabile, aveva deciso altrimenti.
L’appassionante vicenda del manoscritto trovato per caso, spesso presente in letteratura quale finzione, qui si colora di verità, con mille sfaccettature; a cominciare dal mistero concernente il percorso compiuto da esso prima di arrivare all’archivio Gnazim, per continuare nei rapporti con le altre opere, nonché con l’esigenza di dare forma plausibile a questa Splendida Incompiuta.
Un “romanzo nel romanzo”, complesso ed affascinante, di cui Nethanel dà conto sia nella “Postfazione” che nella “Nota sul testo”, scritta con Youval Shimoni. Anzi proprio in detta breve nota i due curatori si assumono una seria responsabilità di fronte al lettore: la scelta di aver lasciato il romanzo “a uno stato grezzo” (come essi affermano), in cui la cornice parigina -che vede un Rost maturo e disincantato- sostiene il nucleo centrale della storia -col protagonista giovane ed esuberante-, fa emergere, in modo concreto, palpabile un mondo ricco di vitalità, sensualità,  sentimenti forti che ti accompagnano a lungo, anche dopo che hai terminato l’ultima pagina.

 


[1] Nel 2015 Vienna festeggerà i 150 anni di Ringstraße, l’anello di viali, inaugurato l’1 maggio 1865, sorto sul tracciato delle antiche mura abbattute per volontà di Francesco Giuseppe. Con quel gesto l’Imperatore avviò una politica urbanistica di espansione della città vecchia (Innere Stadt) che si sarebbe collegata ai quartieri esterni alle mura, e diede impulso ad un rinnovamento d’immagine capace di testimoniare, in un colpo d’occhio, con l’assetto scenografico del nuovo viale, la potenza dell’impero austroungarico.
[2] Anche per entrare nel clima dell’epoca affascinante in cui è ambientato il romanzo consiglio la visita di due notevoli mostre d’arte. La prima a Milano: Klimt. Alle origini di un mito, a cura di Alfred Weidinger ed Eva di Stefano, aperta a Palazzo Reale fino al 13 luglio 2014 (www.klimtmilano.it); la seconda a Forlì: Liberty-Uno stile per l’Italia moderna, a cura di Maria Fiora Giubilei, Fernando Mazzocca, Alessandra Tiddia (Direzione generale di Gianfranco Brunelli) presso i Musei S. Domenico fino al 15 giugno 2014 (www.mostraliberty.it)
[3] Archivio creato in Israele negli anni ’50 del ‘900 per la preservazione delle opere degli scrittori ebrei.