(Titoli originali: Un déjeuner en septembre; Les rivages heureux; Un amour en danger ; Epilogue ; Nous avons été heureux ; …et je l’aime encore ; Les revenants ; Comme de grands enfants ; Les vierges)

Trad. Maurizio Ferrara e Gennaro Lauro, Passigli Editore, Bagno a Ripoli (Firenze), 2013, pp. 157 , €. 14,50
“In punto di morte rimpiangerò di più l’amore per Hervé, l’ansia sofferta dell’amore, o questo?…un attimo di piacere?”
“..il vento soffiava tra i rami, cavandone fuori una vibrazione continua, musicale e lamentosa, come quella che corre sui fili del telegrafo nei freddi giorni invernali”
 
Siamo stati felici . Con questo evocativo titolo sono riuniti nel presente volume nove racconti di Irène Némirowsky,  oggi fatti conoscere al grande pubblico da Passigli Editori, tutti incentrati su una figura femminile. Apparvero su alcune delle principali Riviste francesi nel periodo 1933/1942, anno della tragica scomparsa della grande scrittrice ebrea di origine ucraina, arrestata in luglio a Issy-l’Évêque, un villaggio situato nel Morvan (Borgogna), dove si era rifugiata con la famiglia, ed uccisa ad Auschwitz, come sappiamo, nel successivo agosto. Essi sono contemporanei di opere più impegnative e famose, quali L’affare Kurilov (1933); Il vino della solitudine (1935); Jezabel (1935); I cani e i lupi (1940).
Alcune novelle sono brevissime, quasi delle istantanee, ma dense di significato. Una prosa lieve e drammatica al tempo stesso, talora intrisa di amarezza, in grado di evocare sentimenti profondi, mai intimista o sentimentale. Particolare doloroso e curioso: l’ultima di dette novelle (Les vierges) apparve sulla Rivista  Présent  il 15 luglio 1942, due giorni dopo l’arresto di Irène.
Indimenticabili i ritratti delle protagoniste, donne assai diverse tra loro come età, esperienze, sensibilità, ma tutte colte dalla penna dell’Autrice negli attimi in cui riflettono sulle proprie esperienze d’amore. Amore incontrato e perduto, per lo più rimpianto, in quel tempo di felicità che non ritorna; desideri travolgenti, ma pure aspirazione ad un attimo di piacere quieto e sereno preferito, ma solo per poco, alla passione che ti prende l’anima. Una scrittura limpida, dalle mille sfumature, che parla al cuore, all’intimo, rivelandolo come un universo senza confini. Vediamo alcune figure.
Profili femminili venati di mistero, degni di Modigliani, come quello di Olga, seducente esule russa, la quale rimpiange, insieme al suo grande amore perduto (un pittore famoso, Serge), il ruolo da lei ricoperto nella società pre-rivoluzionaria: “…a Mosca, la gente si voltava al suo passaggio, bisbigliava il suo nome. Qui invece niente! Era una passante fra le altre, peggio vestita delle altre, poiché non aveva soldi…”. Dimenticare il passato e vivere nell’oggi. Ci si può provare, lei vagheggia. Ma basta prendere tra le mani una sciarpa in mussola rosa ricamata di sottili lustrini d’argento a forma di stella, quella stessa indossata in un indimenticato quadro, perché il passato accampi i suoi diritti. E lo amo ancora… Questa è la semplice verità.
L’ambiente: per lo più la media borghesia francese, che parrebbe vivere in una realtà autoreferenziale. Ma ecco, di colpo, il brusco richiamo agli eventi drammatici che incombono: Come grandi bambini.
L’Autrice ti cattura con la sua indulgenza ironica verso una certa doppiezza morale tipica dell’epoca, oggi quasi del tutto superata nei rapporti tra le persone, ma di sicuro non scomparsa.
E’ facile comprendere che siamo circa un’ottantina di anni fa: infatti, anche se le protagoniste hanno un’età compresa solo tra i 40 e i 47 anni, la loro pelle è già “stanca” e sono piene di rimpianti per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Così la protagonista della prima novella, Un pranzo in settembre, Thérèse Dallas.
Coniugata con François, incontra dopo molto tempo, per puro caso, certo Raymond, un amore vagheggiato in epoca lontana, mai concretizzatosi. In precaria assenza del marito di lei, i due si recano a pranzo in un luogo dov’erano stati diversi anni prima.
Il menu, il susseguirsi delle portate, lo spumante di ottima qualità, la cupola di gamberetti, il gallo “allo chambertin”, lo spumante, le fragole all’acquavite di champagne e panna…Raccontarsi l’un l’altro frammenti della propria vita….Il fascino immutato di lei, il viso pallido e appesantito di lui, ma con le labbra che continuavano a essere quelle di un tempo, crudeli (e amabili). Tuttavia nulla si era realizzato “allora”, nulla prende corpo adesso.
Mondi lontani anni luce, che si sfiorano un istante e subito si perdono. Christiane è una ragazza ricca, arrogante e, ovviamente, un po’ annoiata. Sua madre, anziana e assai permissiva, è in perenne contemplazione della fredda figlia, incapace di vero calore, i cui baci leggeri sono “bruschi come una beccata”. La giovane ha un fidanzato (non ufficiale), Gerard, il quale peraltro non riesce a troncare la relazione che ha intessuto da tempo con la moglie di un personaggio importante della politica.
Il locale dove si danno appuntamento Christiane e Gerard (cioè Cri e Jerry) è frequentato da una donna di mezza età, Ginette, una sorta di “prostituta da bar”, persona sensibile, ricca di umanità, che vive nel ricordo del compagno Maurice, deceduto anni prima. Dopo averla osservata, Ginette attacca discorso con Cri e le parla dell’unico uomo che ha amato.
Tra le due pare crearsi una certa intesa; ma è questione di pochi attimi: troppa è la distanza esistenziale tra le due. Christiane si trova a suo agio con le amiche insensibili e distaccate come lei.
Non sa che farsene di quella donna matura e delle sue malinconie.
Ginette osserva le ragazze con una certa indulgenza, vedendole come Sponde felici che mai saranno toccate dalla tempesta dell’esistenza.
Non manca il gioiellino nostalgico con un pizzico di..noir grazie ad Epilogo, dove facciamo la conoscenza di  Alice Maynell, una suggestiva -pur anziana, almeno all’apparenza- signora americana, solitaria, amante del whishy e delle buone letture, specie dei romanzi polizieschi, ma pure dei classici. Ella siede nell’angolo più appartato di un “piccolo bar inglese” (siamo sempre a Parigi), meta prediletta di una clientela britannica o americana. I frequentatori del locale sono uomini soli, soprattutto nell’animo, che “consideravano il bar come la propria casa e le donne che lo gestivano come la propria vera famiglia”. La padrona è dolce e discreta, la giovane barista Doris mostra con orgoglio la fotografia del proprio fidanzato, ora sotto le armi, ad Alice. Ma quest’ultima, dopo aver osservato il volto di lui, sconsiglia a Doris di sposarlo: è un uomo col volto di ragazza, capriccioso e crudele, garanzia d’infelicità, afferma sicura. La signora custodisce un paradossale segreto.
Susanne Lagrange, due figli adolescenti, vuol mettere fine al proprio matrimonio, che giudica sbagliato. Troppi i tradimenti subiti, troppe le delusioni patite. Nel predisporre l’inventario di mobili e suppellettili di cui sente l’insopprimibile esigenza di disfarsi, pensa ai momenti felici racchiusi in quella realtà (Siamo stati felici è il racconto che dà il titolo all’opera), all’apparenza inanimata, ma, viceversa, parlante, capace di rievocare tutti gli anni passati insieme, tristezza e pace, liti, lacrime e dolcezze e passione.
Finché…..All’amore, pur tormentato, non si rinuncia.
E si è perfino pronte, al momento giusto, con calcolato distacco e una discreta dose di cattiveria, a spiattellare la propria ricchezza affettiva e di vita, goduta pur a prezzo di sofferenze indicibili, anche a chi riteneva invidiabile una tranquilla quotidianità perché tutta al riparo dei dolori d’amore.
“Sono stata ricca, capite, sono stata appagata, e voialtre, voi non avete mai avuto nulla”. Non a caso si tratta di Les vierges; tali non certo per libera scelta!