(Titolo originale Extremely Loud and Incredibly Close; USA, 2012;   Genere: Drammatico)

“Ora dimmi, che cos’ha di speciale quella busta?” “Di preciso, niente. E’ quello che c’è dentro la busta”.
“Poi ho sentito la voce di papà……Ci sei? Ci sei? Ci sei?……”
Oskar Schell è un decenne newyorkese che, dopo la tragedia dell’11 Settembre 2001 (“Il Giorno più brutto”), deve fare i conti con la morte del padre Thomas, un gioielliere rimasto ucciso quella maledetta mattina in una delle Twin Towers, dove si era recato per una riunione di lavoro.
Oskar è un ragazzo intelligente e sensibilissimo, appassionato di invenzioni e di ricerche su realtà immaginarie (o forse tali solo in apparenza, come il VI distretto di New York); col padre aveva un legame molto forte, irripetibile, fatto di affetto, complicità, esperienze vissute insieme, risate.
Ora egli è molto solo, poiché la mamma non parrebbe in grado di aiutarlo, chiusa a sua volta nel proprio dolore. I due comunicano poco tra loro.
Per non cedere di fronte ad un trauma irreparabile e nel tentativo di recuperare in qualche modo la figura amata ed essere degno delle sue aspettative, Oskar cerca, cerca, cerca tra gli oggetti di casa. E un giorno…..in un vaso azzurro rinvenuto nell’armadio del genitore, scopre una busta all’interno della quale è contenuta una CHIAVE. Sul retro della busta solo un nome: “Black”.
Quale serratura apre quella chiave? E se “Black” è un cognome, di quale “Black” si tratta? E che c’entra tutto ciò con suo padre?
Per venire a capo dell’enigma il nostro protagonista decide di bussare alle porte di tutti i Signori Black della città -e nella sola New York ce ne sono oltre 400!-: egli infatti è convinto che tra loro ci sia qualcuno in grado di svelargli il Messaggio, il Segreto che il padre, ora ne è sicuro, gli ha lasciato.
Oskar inizia la sua indagine con animo determinato. Per non lasciarsi sopraffare dall’ansia -ansia che gli rende problematico salire su un treno della metropolitana o attraversare un ponte- fa tintinnare il suo tamburello, dal quale non si separa mai. La mamma non sa nulla delle escursioni del figlio, almeno così quest’ultimo crede.
Una persona con la quale il giovanissimo Schell ha un ottimo rapporto è la nonna paterna: tra loro comunicano attraverso un walkie talkie. Poi c’è quello strano personaggio, l’Inquilino (della nonna; abita in un appartamento accanto a quello di lei), un uomo piuttosto anziano -del quale si ignora il nome- che non parla e si relaziona con il prossimo solo tramite la scrittura sintetica di bigliettini. Anche l’Inquilino, almeno per qualche tempo, è coinvolto nella ricerca di…Black, con conseguenti situazioni paradossali.
Il piccolo eroe percorre tutti i quartieri della metropoli incontrando una variegata umanità e, alla fine, riuscirà a venire a capo del mistero. L’esperienza non gli renderà certo suo padre, ma lo riavvicinerà al prossimo, facendo cadere quel muro sorto attorno a lui dopo il “Giorno più Brutto”e gli farà conoscere il passato che ha sconvolto la vita dei nonni paterni a Dresda, nell’Europa devastata dalla Seconda Guerra Mondiale. Ma soprattutto gli restituirà la mamma. E lui a lei.
Circa quattro anni dopo l’11 Settembre 2001 Jonathan Safran Foer, uno dei più rilevanti scrittori statunitensi della nuova generazione, si è cimentato in un’impresa difficilissima: raccontare i sentimenti e la vita dei sopravvissuti, in particolare bambini e ragazzi rimasti orfani a seguito di quella tragedia. Ne è uscito un originale, stupendo romanzo dal titolo Molto forte, incredibilmente vicino, pubblicato in Italia da  Guanda  nel 2005. Un’opera problematica, in grado di suscitare tensioni, domande e lacrime, di parlarti dell’amore e di rammentarti quella celebre, terribile immagine della caduta -dalla finestra di una torre fino al suolo- di un uomo sconosciuto, del quale s’intravvedono appena le sembianze. Si tratta forse di Thomas Schell?
Di riportarti a Dresda incendiata dalle bombe inglesi e a Hiroshima dopo la catastrofe atomica; New York ne diventa una sorta di…immagine riflessa.
Ora il regista Stephen Daldry -Billy Elliot (2000); The Hours (2002); The Reader  A voce alta (2008) [1]- ci dona, tratto dal romanzo di J.S. Foer, un film dolcissimo e profondo; il tentativo, a mio parere riuscito, di far rivivere l’amore di un figlio per il proprio padre, l’impegno a non deluderlo, il tentativo di allontanare il più possibile il momento del distacco, proprio attraverso la ricerca di “quella” serratura che solo “la” chiave può aprire. Lo sforzo di superare il sentimento di colpa per non aver risposto alle telefonate che l’uomo aveva fatto dalla torre, sicuro che il figlio lo stesse ascoltando…E quelle chiamate alla segreteria telefonica, sempre più disperate ed angoscianti.
La pietosa bugia alla moglie, per tranquillizzarla: “Ci hanno fatto uscire…”
Oskar vuole catturare l’immagine paterna, nella paura che essa svanisca: “Puoi descrivermelo, per favore?” domanda a chi si rivelerà come il personaggio fondamentale della storia (figura emblematica, come la chiave o la segreteria telefonica); e il personaggio, di rimando: “Cavolo, non mi ricordo quasi niente” “Per favore!”. Emerge poi dallo sforzo di ricordare l’indimenticabile istantanea di Thomas, che questa persona regala al ragazzino: “Aveva una magnifica risata. Quello me lo ricordo. E’ stato bello che abbia riso, e mi abbia fatto ridere. Ha riso per me”.
Il cast è davvero…stellare. Tom Hanks -e non mi fa velo la grande simpatia che provo nei suoi confronti- è il Padre che qualunque bambino o ragazzo vorrebbe avere, una persona in grado di riempirti la vita e di lasciare una forte presenza dentro il tuo cuore, anche dopo la sua scomparsa.
Sandra Bullock sa rendere con efficace delicatezza il personaggio della Madre all’apparenza assente, troppo stretta tra dolore lancinante per la morte del marito e lavoro, per occuparsi di un figlio fragile e forte al tempo stesso. Scopriremo tuttavia una realtà molto diversa.
Per interpretare il ruolo dell’Inquilino senza scadere nel macchiettistico era indispensabile scegliere un attore in grado di rendere dramma e ironia, presente e passato: il grande Max Von Sidow.
Ma, senza togliere nulla agli altri, a commuoverti fino alle viscere è Thomas Horn, classe 1997, un Oskar perfetto. Un adolescente, oltre che abilissimo a recitare, dal carattere forte, deciso, una personalità serena, con una solida famiglia alle spalle, come rivela il regista.
Tre film, visti da ultimo, dove la vicenda ruota intorno ad una chiave -La chiave di Sarah, Hugo Cabret e Molto forte, incredibilmente vicino- ci presentano giovanissimi e ottimi attori: Mélusine Mayance; Asa Butterfield e Chloë Moretz; Thomas Horn. Il cinema ha un avvenire.
Come lo stesso Daldry dichiarava in un’intervista di alcuni mesi fa, molti sopravvissuti ritengono che “…sia tempo di raccontare più storie personali su quel giorno…ci sono centinaia di vicende, non ancora rese pubbliche, su chi ha vissuto l’11 settembre. Dovremmo tornare a discutere di quell’evento che ha cambiato la storia”. Non come noi europei che, sopraffatti dalla melassa multiculturalista, non sappiamo andare oltre la facile retorica della “memoria” (espressione ormai abusata, come “radici”, del resto) e dimentichiamo in fretta.
E prosegue: “….E continua a cambiarla: con persone che muoiono e combattono in nome di quello che è accaduto l’11 settembre. La gente dovrebbe parlarne. Quella che abbiamo raccontato è solo una delle storie possibili di quel tragico giorno”.

 


[1] V. mio commento in Marzo 2009.