(Titolo originale: Hugo; USA, 2011;   Genere: Fantastico)

“Chi lo ha costruito?” “Io direi un mago”
“Mi piace immaginare che il mondo sia un unico grande meccanismo…le macchine hanno esattamente il numero e il tipo di pezzi che servono…Se il mondo è una grande macchina, io devo essere qui per qualche motivo”.
 
Parigi, Inizio anni Trenta, ma, sotto certi aspetti, potremmo essere pure un quindicennio prima.
Nella grande stazione di Montparnasse vive un ragazzino dodicenne, Hugo Cabret. Egli trascorre il tempo occupandosi dei numerosi orologi ferroviari, dapprima come aiutante di un anziano zio ubriacone, indi, quando questi scompare (verrà, ad un certo punto ritrovato morto nella Senna), arrangiandosi da solo, sempre attento a non farsi catturare da un inflessibile, baffuto ispettore, il quale, con l’aiuto del suo feroce doberman, è impegnato a tempo pieno nell’inseguire tutti i bambini senza genitori che incontra per spedirli in orfanotrofio.
La madre era morta tempo addietro e, grazie al padre orologiaio -l’unico affetto rimastogli-, Hugo si appassiona ai meccanismi e all’ordine che regge ogni cosa al mondo. Il genitore aveva trovato un giorno, nella soffitta di un museo, una sorta di automa con sembianze umane, lasciatovi chissà quando e da chi. Una sorta di robot a cuore aperto dai meccanismi visibili, con un “quasi sguardo” vagamente inquietante. Al centro, una piccola serratura a forma di cuore.
L’oggetto tuttavia non è integro; l’uomo allora con pazienza e precisione comincia ad aggiustarlo sotto lo sguardo partecipe del figlio; è convinto che, se si riuscirà a trovare la chiave a forma di cuore in grado di aprire quella serratura, il problema sarà risolto. Purtroppo, poco dopo, egli muore in un incendio.
Rimasto solo al mondo, il giovanissimo orfano torna nel luogo che aveva condiviso col padre, una sorta di vasta stanza delle meraviglie, dalla quale può osservare, non visto, tutta la brulicante umanità che ad ogni ora si affanna all’interno della stazione e attorno ai binari. Hugo è riuscito a recuperare, dai resti dell’incendio, sia il misterioso automa, sia un taccuino nel quale il genitore aveva scritto degli appunti su come ripararlo. Riparare e riportare, in qualche modo, in vita quella “creatura” diventa il suo compito imprescindibile; tanto più che, ad un certo punto, egli scopre che il padre vi aveva modificato alcuni ingranaggi forse per cambiare un certo messaggio che il robot poteva scrivergli. Nel suo tentativo di scoprire il mistero, il ragazzo decide di appropriarsi di pezzi ed minuscoli meccanismi che solo i giocattoli possiedono. Tra il furto di una mela o di una brioche e nel perenne rischio di essere acciuffato dall’inesorabile ispettore ferroviario, egli si dirige verso un negozio di giocattoli posto all’interno della stazione, ma l’anziano proprietario lo coglie sul fatto; anzi riesce a portargli via il mitico taccuino cui Hugo tiene tanto.
Lo scontro con quell’uomo dallo sguardo severo venato di profonda tristezza è l’inizio di una fantastica avventura.
Martin Scorsese, uno tra i più celebri registi di Hollywood, ci accompagna in un universo fantastico, in grado di tenere incollati allo schermo bambini e adulti.
Prende lo spunto dal romanzo -meglio ancora, graphic novel o picture book- di Brian Selznick (geniale scrittore statunitense, nato in New Jersey nel 1966), La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, uscito in Italia nel 2007 con Mondadori, per rendere omaggio, in primo luogo, a George Méliès (1861/1938): è lui il proprietario del negozio di giocattoli. Regista ed illusionista, è considerato, dopo i più celebri fratelli Lumière, il padre del cinema per l’introduzione e la sperimentazione di numerose novità tecniche e narrative, come, ad esempio, l’invenzione del cinema di finzione -pensiamo alle bellissime pellicole che hanno come tema i viaggi sulla Luna-.
Méliès fu pure uno dei primi registi a usare l’esposizione multipla e la dissolvenza; nonché il colore, dipingendo a mano, lo verremo a sapere nel corso del film, fotogramma dopo fotogramma.
Un artista tuttavia ben ancorato alla realtà del suo tempo, tanto da portare sullo schermo il celebre Affaire Dreyfus. Come Emile Zola con la scrittura, egli mise il suo genio cinematografico al servizio della verità. Méliès filmò una serie di “corti” sulla storia dell’ufficiale accusato di tradimento, che rievocavano, utilizzando le tecniche più avanzate dell’epoca, le tappe del dramma, dal processo-farsa all’esilio sull’Isola del Diavolo. Grande fu l’impatto sul pubblico, che si divise ancor di più tra innocentisti e colpevolisti. Scoppiarono tafferugli e ciò dette alle autorità il pretesto di censurare il regista: il cinema doveva essere puro divertimento e non toccare questioni politiche!
Nella nostra storia Méliès vive dimenticato -da tanti è creduto addirittura morto- e triste con la moglie Jeanne e la figlia adottiva Isabelle (coetanea di Hugo); egli stesso racconta che la guerra lo aveva mandato in rovina e che i suoi due principali collaboratori, i genitori di Isabelle, erano morti in un incidente d’auto. Sarà l’incontro tra la stessa Isabelle -divoratrice di romanzi, ma digiuna di cinema- e Hugo -innamorato del cinema, passione trasmessagli dal padre- a ridare significato alla vita sua e della fedele Jeanne.
La vicenda segue con partecipazione la storia di Hugo: il suo desiderio di casa, di famiglia, il rimpianto per il giovane padre perduto troppo presto. E la sua costanza nel voler decifrare, attraverso la riparazione dell’incredibile automa, il messaggio lasciatogli da lui.
Martin Scorse si avvale dei più moderni mezzi espressivi, a cominciare dalla tecnologia 3D (la pellicola ha vinto cinque premi Oscar “tecnici” all’ultima edizione degli Academy Awards) e sa ricostruire con la precisione e l’amore per i dettagli che gli sono caratteristici l’ambiente vivace e multiforme della stazione, ricco di storie e poesia: l’orchestrina che allieta i viaggiatori; gli approcci amorosi del maturo signore nei confronti della dama col cagnolino, andati regolarmente a vuoto finché…idea!….E la dolce fioraia, il cui fratello è morto nella Grande Guerra, che saprà conquistare il cuore dell’ispettore ferroviario, a sua volta, offeso ad una gamba a causa del conflitto (un burberaccio in fondo dal cuore d’oro, reso benissimo dall’impareggiabile Sacha Baron Coen).
C’è la simpatica Isabelle (Chloë Moretz), cui si apre un mondo di meraviglie e segreti grazie all’incontro con quell’insolito coetaneo. Lì per lì, lei non comprende come mai il ciondolo a forma di chiave che porta al collo dovrebbe servire a riparare lo strano pupazzo meccanico che tanto sta a cuore a Hugo e che l’ha fatta restare a bocca aperta allorché questi glielo ha mostrato per la prima volta. Ma condividerà l’avventura con crescente passione.
Le chiavi (e il loro legame con giovanissimi protagonisti) sono personaggi di rilievo in alcuni film usciti da ultimo. Dopo quelle legate a Sarah Starzynsky e a Hugo Cabret, ne incontreremo un’altra, tra poco…..
Le ammiratrici del fascinoso -e simpatico- Jude Law si debbono accontentare di una rapida apparizione del loro beniamino, quale padre di Hugo, dopo le ultime performances come Dr. Watson, il braccio destro di Sherlock-Robert Downey junior-Holmes. Pazienza: è dalla morte del giovane orologiaio che parte la nostra storia.
Ma soprattutto ci sono i due protagonisti. Hugo è il quindicenne Asa Butterfield, dai grandi occhi grigi, carichi di tenerezza, intelligenza, astuzia, paura, coraggio…Susciterebbe torrenti di amore materno anche in una stalattite.
Sir Ben Kingsley dà corpo e anima a George Méliès grazie alla fantastica capacità espressiva che ben conosciamo: George, un autentico artista che ha dato tanto al mondo e che è stato ripagato con l’oblio e l’indifferenza.
“La vita mi ha insegnato che il lieto fine esiste solo nei film…” osserva sconsolato; ma Hugo ribatte sicuro “Questo film non è ancora finito”.
Grazie, Mago Scorsese, per averci donato un mondo di sogni.
Ecco il link a un trailer del film