[Segue 30 Aprile]
Non c’è tempo, come detto, di visitare il kibbutz, ma sappiamo che, oltre al Museo all’aperto, c’è, all’interno, un Centro di documentazione sulle vicende del Popolo Ebraico, nella Diaspora e in Israele, concentrato soprattutto sul Novecento.  Oltre a fotografie, oggetti e documenti vari, si può vedere una riproduzione del bunker di Via Mila 18, a Varsavia, dove Mordechai e i suoi amici si suicidarono per non cadere nelle mani dei nazisti.
E per ripercorrere la storia della comunità, un breve filmato sui primi anni eroici.

Vi è poi un ambito del tutto diverso per cui Yad Mordechai è parimenti noto: esso ricopre il ruolo di azienda leader nel campo dell’agricoltura biologica e dell’alimentazione naturale: olio extravergine d’oliva, conserve di frutta e, soprattutto miele (il primo alveare nacque nel 1936!) lo hanno fatto conoscere ed apprezzare in campo internazionale. Peccato davvero non aver tempo: avevo letto infatti su un dépliant che qui è possibile, previi i necessari accordi, assistere al processo di produzione del miele, esperienza che porta con sé un che di misterioso e primordiale.

APIARY

A poca distanza sostiamo per il pranzo in un locale davvero piacevole, nel quale la cortesia del personale è pari alla qualità dei cibi: semplici, ma molto raffinati: insalate croccanti, pomodori sodi e dolci, grosse olive valorizzate da mille spezie. E non manca la gustosissima pita!
Il tutto innaffiato da un vinello che va giù che è un piacere! Il miglior pranzo di tutto il viaggio; e non sono l’unica a pensarlo.
Ambiente sereno, clima tranquillo, volti distesi e sorridenti: quanto di più lontano da guerra, missili, odio, terrorismo. I paradossi dell’esistenza.
All’interno c’è un supermarket -che non ha nulla di “massificato”- dov’è possibile acquistare i prodotti di Yad Mordechai. Ne approfitto, come al solito, per rifornirmi delle mie amatissime “delizie”: per la prima colazione sì, ma non solo, poiché il miele ha infinite applicazioni in cucina.
E’ ora di tirare i remi in….autobus.
A proposito di autobus. C’è, nel nostro gruppo, una persona che, finora, non ho mai nominato.
Eppure, nel suo ruolo, è importante quanto Angela e Chicca; anzi entrambe concorderebbero, ne sono certa, nel sostenere che, da un certo punto di vista, lo è perfino di più.
Si tratta di Elie, il nostro autista.
ELIE(1)
               Scusate se la foto, così scannerizzata, non rende molto l’idea!
Di famiglia originaria dell’Iraq -per la verità, non ricordo se sia un sabra o una delle tante persone di fede ebraica fuggite (o cacciate) da un giorno all’altro dal Paese arabo nel quale i loro parenti magari vivevano da secoli, ciò per lo più a titolo di ritorsione per una delle vittorie di Israele sui suoi nemici-, Elie ci ha condotto per dieci giorni a spasso lungo tutto il Paese, guidando il suo mezzo con notevole perizia, aspettando con pazienza i ritardatari (siamo stati bravi, d’accordo, ma nessuno è perfetto), sia districandosi, senza mai imprecare, tra il traffico intenso delle città, a cominciare da Gerusalemme, con i suoi saliscendi, sia inerpicandosi su stradine piene di curve nel sud, sopportando il sole che, a volte, era piuttosto insistente.   Nel suo inglese, magari un po’ elementare, ma scorrevole, ha chiacchierato con noi, ci ha parlato con orgoglio delle sue due figlie adolescenti.
Egli è un autista assai ricercato dalle comitive -come ci ha confidato Chicca-, ma, per accaparrarselo, è necessario mettere insieme una compagnia di almeno trenta persone, come del resto siamo noi. Lo saluteremo a breve, insieme a Chicca e Angela, dopo che saremo ritornati a Tel Aviv: domani, al Ben Gurion, ci accompagnerà qualcun altro.
Grazie Elie, alla prossima!
Comunque ancora viaggiamo insieme, sia pure per poco.
Lungo la strada intravvediamo -sulla sinistra- alcune città poste sulla fascia costiera.

Ashkelon (111.000 abitanti e 5000 anni di storia alle spalle), notevole centro turistico, portuale ed archeologico, anch’esso obiettivo dei missili sparati dalla Striscia da parte di Hamas. Eccone il “logo”.

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Nell’antichità Ashkelon costituiva, insieme con Ashdod, Gaza, Gat (non esattamente identificata) ed Ekron, la celebre “Pentapoli”, il nucleo delle città filisteee più importanti.
Oltrepassiamo un insediamento di caravan: si tratta, spiega Angela, di persone evacuate nell’agosto 2005 da Gaza e ancora in attesa di una sistemazione. Molti non hanno un lavoro; magari si tratta di gente che, per quarant’anni, ha lavorato la terra con dedizione, coltivato, piantato.
E adesso?
 
Ashdod (oltre 200.000 abitanti), poco dopo, nell’antichità era chiamata dai Greci Azotus.
Oggi è una rilevante città industriale, divenuta da alcuni anni, in buona sostanza, il primo porto del Paese.

ASHDOD

            Rishon Le Tzion (oltre 220.000 abitanti, la quarta città di Israele, per numero di abitanti e importanza, gemellata con la nostra Teramo), nacque, su un colle, il 31 luglio 1882 ad opera dei Pionieri della Prima Aliyah, provenienti da Ucraina, Moldavia, Polonia, capitanati da Zalman David Levontin, giunti qua in piccolo numero, ma fortemente motivati. E’ primario centro industriale, di servizi e culturale.

Il suo nome (di derivazione biblica) è programmatico: significa infatti la Prima di Sion. La comunità iniziale si sviluppò anche grazie agli aiuti del barone Rothschild.
Fu il secondo insediamento costituito in epoca moderna in Terra di Israele dopo Petach Tikva (Porta della Speranza), più a nord.
A Rishon lo Stato deve la propria bandiera e l’inno nazionale, quindi significativamente ideati e realizzati.
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Holon significa Piccola Spiaggia: infatti nacque sulle dune di sabbia nel 1935.
E’ una vivace cittadina di poco più di 100.000 abitanti, a pochi chilometrica Tel Aviv.
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E’ sede, tra l’altro, di una comunità ebraico samaritana, con relativa Sinagoga, ed ospita un “Museo dei Bambini”[1] di cui Yanshul, il simpatico Gatto/Gufo, riportato qui sotto, è l’emblema.
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               Cara Tel Aviv, siamo di nuovo qui.
Un affettuoso abbraccio di “Arrivederci” a Chicca, Angela ed Elie, che ci lasciano all’Hotel Metropolitan per ritornare a Gerusalemme.
In camera nostra suona il telefono: è Anita Olamy, da Gerusalemme. Gentilissima come sempre, vuole avere notizie e la rassicuro che stiamo bene. “Sì, oggi abbiamo avuto incontri davvero significativi…Pensa che siamo passati da Sderot…un passaggio soltanto, è vero, ma l’emozione era forte. Ancora adesso ho davanti agli occhi quei bunker in cemento armato tutti dipinti e la gente che proseguiva la vita quotidiana, il lavoro, la scuola, gl’impegni….”.
Ci prendiamo una breve pausa, Mauro ed io.
Il sole è ancora alto: usciamo per una passeggiata. A noi si aggiunge Daniela, che ci scatta questa foto in un piccolo, ma grazioso parco pubblico, quasi accanto all’Hotel.
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Ci dirigiamo verso l’Azrieli Center per poter ammirare le Torri. Forse è troppo tardi per salire, ma almeno le potremo vedere da vicino.
Salutiamo ancora il Teatro Habima e l’Auditorium Mann
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Doveroso fissarsi un attimo, anche se la foto non è irresistibile, su Rehov Toscanini, un omaggio al nostro grande Maestro, che qui suonò nel 1936.

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Ecco le Torri. Non è mai facile fotografarle tutt’e tre insieme, una almeno è solita giocare a nascondino.
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Il complesso, ideato e progettato da David Yehoshua Azrieli, il celebre costruttore, architetto e filantropo israelo-canadese (nato in Polonia nel 1922), è stato costruito negli anni ’90 e completato tre anni fa. Esso comprende alla base uno spazio pedonale con un numero notevole di esercizi commerciali ed è collegato da un ponte, sotto al quale sfrecciano mezzi veloci, alla Stazione Ferroviaria Tel Aviv Ha Shalom.

Alcune cifre sull’altezza delle Tre…Grazie: la Torre Circolare, forse la più bella ed originale -infatti, al 48 piano c’è lo studio personale di Mister Azrieli, ma anche diversi vip hanno posto qui il loro quartier generale- misura m. 187; quella Triangolare, m. 169; la Quadrata, m. 154. E’ comunque tutto l’insieme che è bellissimo e non ha nulla da invidiare, a mio parere, ai colossi USA.
Data l’altezza e i tragici “precedenti” americani le Torri sono tra gli edifici più sorvegliati di Israele dal punto di vista antiterroristico. Anche se, come sappiamo, la vicinanza col Ministero della Difesa è una buona garanzia.
Purtroppo, dato l’orario, tutti gli uffici e i negozi hanno già chiuso i battenti.
Invano tentiamo di individuare un ascensore o una scala….Niente da fare. E intanto, dai tanti garages sotterranei, escono un’automobile via l’altra, indifferenti alla nostra sorte.
Solo un portiere, grazie soprattutto ai sorrisi accattivanti di Daniela, si…commuove, per quanto sta in lui. Ci concede di compiere un giretto alla base -breve, mi raccomando! E qui attorno-, dove partono ascensori e scale mobili.
Un sogno col naso all’in su.
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Ritorniamo all’Hotel, dopo le ultime foto della giornata.

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