(Titolo originale Machzir ahavot qodmot)
 
Trad. Elena Loewenthal, Ed. Giuntina, collana Israeliana, Febbraio 2010, pp. 253
 
“Un uccello fece il nido sulla riva del mare…L’uccello rispose: Non mi muoverò di qui finché non avrò reso il mare terra e la terra mare”    “Si ripristinano antichi amori……”.
 
Nel maggio scorso ho commentato Paesaggio con tre alberi (Ed. Nottetempo, Febbraio 2009), emozionante racconto di Yehoshua Kenaz, una delle voci più rappresentative della letteratura israeliana, nonché fine traduttore in ebraico dei classici francesi dalla lingua originale.
Ora la Casa Editrice Giuntina, per i tipi di “ISRAELIANA”, ne pubblica un terzo romanzo (dopo La Grande donna dei sogni e Voci di mutuo amore), uscito in Patria nel 1997.
Anche questa storia, come le precedenti, si svolge in un ambito circoscritto, simbolo di una realtà più vasta, dove le vicissitudini dei singoli, all’inizio lontane, via via si avvicinano, in un mondo composto solo in apparenza di ambienti non comunicanti. Il teatro è un Condominio (nella zona nord di Tel Aviv), del quale s’intravvedono, qua e là, i segni di un inarrestabile degrado. 
Seguiamo alcune vicende.
Gabi, fascinosa e sognante giovane donna dal temperamento passionale, alla perenne ricerca di un amore autentico, instaura con Hazi, un uomo di qualche anno maggiore di lei, che lavora nel suo stesso ambiente, uno strano rapporto basato unicamente sul sesso; tant’è che, per volere di lui, sul luogo di lavoro, i due non si parlano mai, anzi fingono addirittura di non conoscersi.
Gli incontri si svolgono nell’appartamento n. 17 -posto nel condominio in questione- che l’uomo ha preso da qualche tempo in affitto. Le pareti dell’immobile lasciano passare voci, suoni, rumori: durante gli amplessi tra Gabi e Hazi le urla di piacere di lei vengono udite da Abiram, che abita lì a fianco. Questi è un uomo solitario, sciatto nel vestire e goffo nel comportamento: la sua tenuta preferita sono camicie a scacchi e vecchi pullover, il viso nascosto da una barba mal tenuta. L’unica creatura che lo ama davvero è un vecchio cane, che aspetta con pazienza il suo ritorno dal lavoro per essere condotto a fare una passeggiata nel vicino parco pubblico. Abiram, pur senza averla mai incontrata, se non di sfuggita, si è follemente innamorato di quella donna che dà libero sfogo alla propria sessualità. Egli lavora presso un’agenzia immobiliare in società con il più giovane Ilan, al contrario di lui, brillante, sempre inappuntabile nell’abbigliamento, battuta pronta, indiscutibile capacità nel trattare i clienti e…il progetto, non particolarmente nascosto, di ampliare l’oggetto dell’attività, magari liberandosi di quel collega così demotivato.
C’è poi Ariel Schwartz, l’anziano condomino che funge da amministratore del palazzo; perennemente alle prese, oltre che con i propri acciacchi dovuti all’età, con i guai procuratigli dagli abitanti dello stabile, i quali si rivolgono per qualsivoglia evenienza a lui, che, tra l’altro, immigrato dall’Est Europa, ha scontri quotidiani pure con la lingua ebraica.
In un altro appartamento, accudito da una giovane e silenziosa cameriera filippina, Linda, vive un anziano, l’unica “voce“ narrante del romanzo: l’uomo, il cui nome è Yakov (come veniamo a sapere dopo qualche tempo) è, per cause non precisate, immobilizzato su una sedia a rotelle e con gravi difficoltà nella parola. Tuttavia tale situazione non gl’impedisce di vedere con ruvida chiarezza, senza illusioni il mondo e le persone -a cominciare dai figli, inevitabilmente freddi e lontani, desiderosi solo di rinchiuderlo in un istituto per poter utilizzare al meglio quell’appartamento-. E’ proprio tale stato di malattia a regalargli quella porzione di lucidità, insieme ad una buona dose di (auto)ironia, che manca spesso ai suoi simili.
Mens sana in corpore infirmo: con questa battuta sarcastica Oriana Fallaci, negli ultimi anni, descriveva la propria esistenza di donna ammalata senza speranza, ma, nel contempo, armata di adamantina consapevolezza. Yakov sa che Linda, della quale forse è segretamente innamorato (pur conoscendone i difetti), è per lui l’unica, flebile speranza di una vita dignitosa, nella propria casa, la salvezza contro la terribile, tristissima sorte che “il nemico” medita -di lontano- a suo danno.
Proprio nel tentativo di vivere gli ultimi anni come desidera, egli accetta la compagnia di un amico e connazionale di lei, Pedro, uno sfaccendato che, tra una sigaretta, una lattina di birra e la visione di una partita di calcio alla TV, sostituisce la ragazza in occasione della sua giornata di riposo. Insieme, loro tre, medita Yakov, possono costituire una sorta di famiglia, sia pure insolita.
Gabi si ostina a mantenere il suo assurdo rapporto con l’ambiguo ed egoista Hazi, nonostante Eda, amica di lunga data che funge da voce della coscienza, la inciti a chiudere la relazione senza avvenire con quel “poco di buono”. Poco a poco anche Gabi comprende di dover riprendere in mano il proprio destino. Un pomeriggio, mentre è immersa nei suoi pensieri, assiste in autobus ad un colloquio tra due donne, una delle quali racconta la storia di una giovane, comune conoscente, Ricki, disperata perché abbandonata incinta dal fidanzato. Un giorno Ricki, di ritorno dal lavoro, aveva letto una scritta sul muro di una casa: “Si ripristinano antichi amori. Ingresso in cortile”.
Tale annuncio costituisce il motivo conduttore nascosto del romanzo: ciascun personaggio, a suo modo e magari inconsciamente, parrebbe domandarsi: è possibile “ripristinare” un amore antico e dunque prezioso? Tornare cioè a quel momento magico di gioia, prima che qualcosa o qualcuno (magari noi stessi) lo mandasse in frantumi o almeno lo sciupasse?
Anche Ezra, progettista e restauratore di immobili (tra i quali uno scantinato posto nel Condominio, fonte di un durissimo contrasto tra tutti gli abitanti, Schwartz compreso, e una coppia di nuovi arrivati), deve ripristinare un amore; quello più istintivo e primordiale.
Non siamo di fronte al classico scontro tra persone di età diverse, almeno non in primo luogo; ma piuttosto al Conflitto tra Padre e Figlio. Il primogenito diciottenne, Eyal, la “speranza di casa”, all’improvviso fugge dalla sua unità dove sta svolgendo il servizio militare e quando, dopo molte peripezie, la famiglia riesce ad avere notizie di lui, il ragazzo dichiara a viso aperto e con linguaggio colorito di non voler più saperne di tale incombente poiché della leva non gliene importa nulla e, men che mai, gli interessa il destino del suo Paese. Il mondo di Ezra, basato su forti ideali patriottici, sembra crollare. Con l’aiuto di Ruti, la moglie (tipo pratico e positivo), di Menashe, il saggio fratello maggiore, l’autorevolezza del quale è un richiamo positivo per Eyal, e soprattutto dell’anziana madre, affezionatissima al nipote che ricambia silenziosamente tale sentimento, egli riesce se non a penetrare fino al cuore del figlio, fendendo la scorza di mutismi, diffidenze, falsa -ma ben ostentata- freddezza di lui, almeno a persuaderlo a costituirsi e ad affrontare la difficile prova che lo attende davanti alle autorità militari.
Questa vicenda, illuminata da una nota di vita e speranza, chiude l’affascinante romanzo, nel quale, poco prima della conclusione, era entrata di colpo una nota tragica e imprevedibile, le cui conseguenze sono quanto di più amaro si possa immaginare.
Il linguaggio dell’Autore è piano, lo stile è talora appassionato, talora ironico, sempre coinvolgente: il lettore ravvisa ben presto nei personaggi incontrati figure conosciute nell’esperienza di tutti i giorni.
Lo sfondo è una Tel Aviv che indovini grigia, per lo più sotto la pioggia e dunque in quel suo aspetto trasandato che ne nasconde la misteriosa bellezza, invitandoti nondimeno a riscoprirla (cioè a….ripristinarla).
La varia umanità è descritta con levità sapiente nei comuni contesti quotidiani: pensiamo alle dispute condominiali o al clima di, sia pur momentaneo, affratellamento che si crea tra cittadini di differente estrazione sociale nei locali di una stazione di polizia, di fronte alle lentezze e alle incongruenze dalla pubblica autorità.
Le diverse vicende si alternano lungo la narrazione, avvicinandosi pian piano l’una all’altra fino a disegnare la trama di un piccolo grande Universo.
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