Quando, alcuni mesi fa, lessi su un quotidiano che, a settembre, sarebbe stata inaugurata una mostra dedicata a Oriana Fallaci, confesso che la mia reazione fu un misto di gioia e di perplessità.
Gioia perché finalmente veniva riconosciuta l’importanza di questa scrittrice (pardon scrittore, come lei amava definirsi) dopo il vile ostracismo, privo di fantasia, comminatole dalla pseudo intelligentia nostrana per le dure posizioni assunte da lei dopo l’11 settembre 2001 (ma vedremo come dette posizioni risalgano ad un tempo assai più lontano); perplessità perché inevitabile, almeno per me, domandarsi come fosse possibile incasellare, o se preferisci consacrare, in un’esposizione un personaggio sfaccettato come lei, pronta a scapparti di mano non appena credi di averne compreso il mistero.
Mi segnai subito in matita sul calendario di cucina, all’inizio di settembre, ben evidente in stampatello: MOSTRA ORIANA e attesi che la stampa comunicasse la data esatta dell’evento.
E infatti ecco il Corriere della Sera annunciare, pochi giorni prima dell’inaugurazione: “Milano rende omaggio a Oriana Fallaci con l’esposizione Intervista con la Storia [dal titolo di uno dei suoi libri più conosciuti], Immagini e parole di una vita, dal 15 settembre [primo anniversario della scomparsa] al 18 novembre a Palazzo Litta………per passare poi il 14 dicembre a Roma nel complesso del Vittoriano”.
L’iniziativa, promossa dal Ministero dei Beni Culturali, in collaborazione con RCS Rizzoli, Corriere della Sera, l’Europeo, con la partecipazione di Arcus-Arte Cultura Spettacolo e la collaborazione tecnica di RAI TECHE e RAI EDUCATIONAL (per i filmati), intende presentare la vita e le opere di una testimone del nostro tempo, protagonista ed interprete degli avvenimenti più importanti del secolo trascorso e di quello appena iniziato, la sua personalità e la sua storia. Sono previsti, in contemporanea, interessanti eventi culturali non solo concentrati su di lei, ma anche sui diversi aspetti del giornalismo; ad esempio i réportages di guerra: in un confronto ideale, l’esperienza di Oriana e quella, ad esempio, di Toni Capuozzo o Ettore Mo.
Il 4 ottobre scorso, di buon mattino, ho preso il treno per Milano, accompagnata dal mio caro Mauro, con il quale mi sono presa un giorno di vacanza, approfittando del fatto che Bologna festeggiava il Patrono, S. Petronio.
Milano risplendeva al sole, ricca di tram e turisti; in Piazzale Cordusio ho visto subito la tradizionale Sukkah preparata per la festa delle Capanne. Ho messo dentro la testa: al mio saluto, da quel turbinìo di bicchieri tintinnanti barbe kippot è stato tutto un rispondere con sorrisi e Shalom Shalom!!!!
Mi è sembrato di buon auspicio e ho sentito la tensione allentarsi.
Eh sì, perché visitare un’esposizione dedicata a Oriana Fallaci non era per me come andare ad una manifestazione tra le tante, sia pure di rilievo.
Sono cresciuta leggendo i suoi libri e le sue corrispondenze per il settimanale l’Europeo. Mi ha fatto compagnia durante un’adolescenza e prima giovinezza, per vari motivi, solitarie e tristi; l’amore per la scrittura me lo ha insegnato lei, dopo che ero stata, per così dire, svezzata dalla mia insegnante delle scuole elementari. Costei era una suora, donna eccezionale, romana, che amava la letteratura e lo scrivere bene; tra l’altro, per prima, ci aveva parlato di Herbert Kappler, dei 50 chili d’oro e della razzia al Ghetto del 16 ottobre 1943; forse il mio amore per gli Ebrei e la loro drammatica storia nasce da lì.
Nel cortile di Palazzo Litta ci ha accolto il manifesto dell’esposizione: la celebre foto di Oriana, che fa da copertina a Niente e così sia (il diario dell’anno -dall’autunno 1967 al maggio 1968- trascorso in Vietnam, come corrispondente di guerra), scattata nel 1968 a Phu Bai; è in assetto operativo, pantaloni e camicia militare, occhiali sul capo, i capelli biondi stretti in un paio di treccine e sembra guardare pensierosa di lato, verso qualcuno o qualcosa che ha destato la sua attenzione.
“Scrivo sulla guerra” dichiarava e su queste parole dovrebbero riflettere i saltimbanchi e gli strimpellatori, assurti, nel nostro mondo rovesciato, al ruolo di maîtres à penser “perché niente rivela l’uomo più della guerra. Il coraggio o la vigliaccheria. Niente più della guerra ne esaspera la bellezza o la bruttezza; il coraggio o la bestialità. L’Enigma”.
Di fianco alla foto la scritta programmatica: “La libertà è un dovere. Prima che un diritto è un dovere”. Regola di vita, cui si è sempre sforzata di obbedire: se non la si tiene presente si capisce ben poco di lei, della sua anima, della sua storia.
La mostra consiste in un percorso espositivo, articolato in diverse sale, ricco di immagini fotografiche, di filmati (molti dei quali, drammatici, la vedono protagonista), di oggetti che le sono appartenuti, definito in dodici sezioni: si va dal racconto della vita giovanile a Firenze (la “città-madre” dov’era nata il 29 giugno 1929, e dov’è voluta morire, dopo aver lasciato la “città-marito” New York), agli esordi nel giornalismo, alle prime importanti inchieste; la corsa alla Luna, il Vietnam; il Libano, il Golfo; le grandi interviste; i libri; la storia d’amore / passione politica (“una scelta morale”) condivisa con l’eroe greco contro i Colonnelli Alessandro Panagulis -Alekos!- e la testimonianza “Un uomo”; il toccante racconto espresso in “Lettera a un bambino mai nato”, non compreso dalle femministe; la tanto contestata, dalle anime belle, denuncia del nuovo totalitarismo che l’Occidente si ostina a non voler vedere (l’Islam fondamentalista, antisemita e, di conseguenza, genocidario)……..
Puoi tranquillamente passare da una sezione all’altra, da un tema all’altro, ripetere i percorsi, saltare qua e là a seconda dell’ispirazione del momento. Quest’ultima è la strada che abbiamo seguito; e con noi i visitatori, abbastanza numerosi, giovani e meno giovani, tutti attenti e partecipi.
Con una certa commozione ci siamo introdotti nel mondo infantile e giovanile di Oriana. le sue prime letture, per cominciare: Jack London (“Zanna Bianca”, “il Richiamo della Foresta”) e poi Pearl Buck (c’è una copia de “La Buona Terra” con dedica di mamma Tosca, 1948)…..
Mentre guardi il filmato d’epoca, coi fiorentini che passano, aiutandosi con le barche, da una riva all’altra dell’Arno, i cui ponti (tranne il Pontevecchio) erano stati fatti saltare dai tedeschi in ritirata, vedi una sua foto, quattordicenne, con le treccine -non molto lontana, in definitiva, dall’immagine di diversi anni dopo in Vietnam-, in bici, l’aria da furbacchiona, visto che ben in mostra, sulle ruote, ci sono due gagliardetti: uno dei Savoia e uno con….la croce uncinata. Garanzia, per una piccola staffetta partigiana, di non venir fermata ai posti di blocco!  
“La Resistenza è caduta su di me come la Pentecoste sugli Apostoli”.
Ci sono, a testimoniare ciò, la tessera del Partito d’Azione e il manifesto di un comizio antifascista (Antifascist meeting), promosso dal Gruppo Giustizia e Libertà, tenutosi il 7 maggio 1933 all’Irving Plaza di New York. Tema: Hitler e Mussolini; Oratore: il Prof. Gaetano Salvemini.
Li conservava come due documenti nella sua casa, come reliquie.
Ci sono alcuni suoi disegni e dipinti, eseguiti con tratti fini e precisi; da incorniciare quello di Oriana seduta davanti a una “Lettera 22”, che la sovrasta di parecchio, l’immancabile sigaretta accesa da una parte e la scritta programmatica Writing for freedom and disubbidience con la firma per esteso; una buona serie di macchine da scrivere, diverse abat jour, libri antichi, di famiglia o collezionati da lei……tanti copricapi ….rammenti l’immagine, scattatale da Oliviero Toscani a New York nel 1990, con gli occhialoni da sole e il cappello a tesa larga, stile Garbo-ma-più-bella?
Ci sono, poi, nella saletta dedicata all’esperienza vietnamita: la borraccia, l’elmetto e lo zaino, col nome, la qualifica, nonché le indicazioni relative a chi recapitare questi effetti nel caso di morte.
Ti sa conquistare con la capacità di trasformare un’intervista in un racconto, dove il resoconto giornalistico è in secondo piano, mentre i luoghi e, soprattutto, i personaggi si trasformano via via da immagini di carta in creature di carne. Ciò vale sia che si tratti di Henry Kissinger -il cow boy del mondo- o di Totò –tanto insopportabile con la “bufala” del principe di Bisanzio, quanto irresistibile come attore e protettore dei cani…-, di Leila Khaled -l’implacabile dirottatrice aerea palestinese degli anni ’70, che le raccontò senza problemi, suscitando un protestato orrore, di essersi mangiata con gusto tutta quella buona marmellata di albicocche contenuta in un barattolo che poi provvide a riempire di potente esplosivo, il quale produsse, di lì a poco, i suoi effetti in un supermarket israeliano zeppo di madri e bambini- o di un giovane attore teatrale irlandese, bellissimo quanto sconosciuto al grande pubblico delle sale cinematografiche, amante, in pari misura, di Shakespeare e del migliore whishy, che il mondo di lì a poco avrebbe ammirato nel colossal Lawrence of Arabia: Peter O’ Toole……O dell’Ayatollah Khomeini di fronte al quale, al momento giusto, si tolse, con aria di sfida, lo chador (“cencio da medioevo”), che le avevano ordinato di indossare per poter essere ammessa alla di lui augusta presenza e condurre così l’intervista, cui egli, tanto magnanimo lo sappiamo, aveva benevolmente acconsentito.
Si tranquillizzino coloro che mi stanno leggendo: non ho intenzione di rubar loro tutto il tempo per raccontare le “opere e i giorni” di Oriana al completo; suggerisco a chi la amava (e a chi la detestava, pure) di prendersi alcune ore di libertà ed entrare nel suo universo variegato, udire la sua voce -il lieve accento toscano senza sbavature; potresti sbobinare quello che dice-, condividerne i punti fermi e i contrasti.
Ne cito una, per tutte, di contraddizioni, della quale peraltro, mi meraviglio, ma ella va presa così com’è, lo sappiamo bene. L’ho sempre saputo.
Eccola. Nelle sue ultime opere, a cominciare da La Rabbia e l’Orgoglio, che meriterebbe d’esser messa in musica, nella sua appassionata denuncia, un’invettiva certo, contro la viltà dell’Occidente nei confronti dell’Islam terrorista (“la forza della profezia”, come la chiama con efficacia la sua concittadina e collega, quasi una ideale figlia, la mia cara Fiamma Nirenstein), Oriana è portata a vedere l’Islam come un blocco monolitico, non distingue tra la religione islamica, ferma (la “Montagna”), almeno a tutt’oggi, nella sua pretesa di superiorità razzista e volontà di conquista, e la cultura islamica, nell’ambito della quale si muovono gruppi e persone che, sia pure ancora in fortissima minoranza, lottano in tutto il mondo, con rischi gravissimi, per la libertà e in favore della Vita contro la cultura della Morte, ed aspettano solo il nostro fattivo sostegno. Arriverà mai, questo fattivo sostegno, prima che sia troppo tardi?
Nell’attesa penso a come avrebbe affilato le armi di fronte al recente episodio riguardante il Prefetto di Treviso, il quale ha affermato che, in base ad una normativa del 2004 (?!?!), una donna può, in Italia, circolare col burqa “per motivi religiosi” (?!?!), ottenendo il sostegno del Ministro per la Famiglia, Rosy Bindi, nonché il plauso immancabile della sinistra, più o meno radicale.
Non la ringrazierò mai abbastanza -e con me tanti amici che condividono le mie posizioni, oltre illustri personaggi, a cominciare, ma guarda un po’!, dalla Professoressa Rita Levi Montalcini- per l’articolo, intitolato Sull’antisemitismo, apparso sul settimanale Panorama del 18 aprile 2002. Una vera e propria “orazione”, ogni capoverso della quale inizia con l’espressione “Io trovo vergognoso”.
Era il periodo in cui lo Stato di Israele era oggetto di una guerra terroristica senza precedenti e l’Occidente, a cominciare dall’Europa, anziché denunciare le carneficine e solidarizzare con le vittime, sosteneva le ragioni dei carnefici. Sentite qua.
“Io trovo vergognoso che in Italia si faccia un corteo di individui che vestiti da kamikaze berciano infami ingiurie a Israele, alzano fotografie di capi israeliani sulla cui fronte hanno disegnato una svastica, incitano il popolo odiare gli Ebrei. E che, pur di rivedere gli ebrei nei campi di sterminio, nelle camere a gas, nei forni crematori……venderebbero a un harem la propria madre”.
E poi “….Lo trovo vergognoso ….e hanno la sfacciataggine  di chiamare guerrafondaio chi come me grida la verità. …Io col tragico e shakespeariano Sharon non sono mai stata tenera…….Con gli israeliani ho litigato spesso, di brutto, e in passato i palestinesi li ho difesi parecchio. Forse più di quanto meritassero. Però sto con Israele, sto con gli ebrei…..”
“Io trovo vergognoso….”
Mi limito a ricordare, tra i numerosi libri letti (tutti direi, tranne Inshallah, che ho comunque provveduto ad acquistare lo stesso giorno, a Milano), quello che mi impegnò un’estate lontana, nel 1965, facendo nascere in me i primi interrogativi di carattere etico sull’uomo, il futuro, il cosmo. Se il sole muore è il resoconto, divenuto romanzo, del lungo periodo trascorso (1964) negli U.S.A. tra gli scienziati e gli astronauti impegnati a Houston e a Cape Kennedy a preparare lo sbarco sulla Luna, che sarebbe avvenuto di lì a pochi anni.
Una sorta di appassionante dialogo a distanza tra l’Autrice e il padre Edoardo, figura chiave nella sua vita; una polemica, affettuosa, spesso divertente, a volte amara, tra il mondo tradizionale, tenacemente ancorato alla Terra -“A mio padre che non vuol andar sulla Luna perché….non ci sono né pesci né uccelli” scrive nella dedica- e i giovani, lanciati alla conquista di nuovi mondi perché il nostro pianeta sta diventando troppo piccolo. Una problematica che, ad un primo sguardo, potrebbe apparire, diciamo, datata, oggi che di viaggi sulla Luna, o altrove nel cosmo, non si parla con l’insistenza di alcuni decenni or sono, ma che riveste una drammatica attualità se riflettiamo sui dilemmi posti dalla ricerca scientifica, con le nuove sperimentazioni. Il sole della nostra vita tranquilla “muore” e ci costringe verso nuovi orizzonti: con quali costi in termini di vite umane? Dove portano le nostre esplorazioni, comprese -perché no- quelle spaziali?
In questo suo viaggio Oriana conosce e stringe amicizia con numerosi astronauti. Persone con pregi e difetti, grandezze e meschinità (poche), paura che sanno dominare, ma che confessano, con coraggio, come soldati in guerra, di avere; tutte impegnatissime nel loro lavoro, le responsabilità del quale le invecchiano anzitempo. Essi sono giovani, hanno poco più di trent’anni, ma sono tutti calvi o mezzi calvi; oppure hanno già i capelli grigi; in ogni caso i loro volti sono solcati da rughe, rughe di tensione, preoccupazione, fatica: inimmaginabili per chi non è dell’ambiente. Il libro è un continuo andirivieni tra presente e passato, tra il Texas o la Florida degli anni ’60 e la Firenze bombardata della Seconda Guerra Mondiale.
C’è anche un incontro con il passato più tragico. Chi è il papà di quell’enorme Razzo Saturno, destinato ad andar sulla Luna, una sorta di cero acceso per la gloria di Dio?
Herr Doktor Wernher von Braun, già direttore del centro di Peenemünde in Germania per la produzione delle famose V2, poi riciclato dagli americani come responsabile della missilistica. L’incontro tra la giovane giornalista e quel personaggio ingombrante, che la sovrasta di un bel po’e fa di tutto per metterla in soggezione, è difficile e lascia in lei un certo turbamento, anche perché l’uomo emana un qual certo fastidiosissimo odore di limone. Lei a lungo si domanda, invano, dove mai può averlo già sentito. Solo alla fine dell’intervista arriva, di colpo, la risposta: lo stesso odore stava addosso ai soldati tedeschi durante la guerra, quei soldati tedeschi tra le cui grinfie la piccola Oriana in bici (“Emilia”) cercava coraggiosa di non finire.
Ma c’è pure il tempo per il gioco, lo scherzo, in attesa del lancio verso il cielo.
Il personale più vivace e spiritoso di Houston è parte di un’insolita associazione, un po’ segreta: l’Associazione Internazionale delle Tartarughe, con tanto di esame di ammissione e, nel caso di suo superamento, di tessera. E chi sono mai le Tartarughe? Sono persone che sanno rispondere in modo pulito ed arguto alle domande più sporche. Secondo tale criterio sono formulate le domande oggetto di esame. Ad esempio. “Qual è quella cosa che una signora fa stando seduta, un uomo in piedi e un cane su tre zampe?” Risposta: “Stringere la mano!”. Chi supera l’esame, nuova Tartaruga, ha facoltà di porre a chi incontra il fatidico quesito: “Are you a Turtle”? Sei una Tartaruga? Chi non lo è ti guarda sbigottito e non capisce; chi lo è risponde positivamente tutto felice, con la parola d’ordine del gruppo: “Puoi giurarlo su….”(segue un’espressione assai colorita).
Anche Oriana viene sottoposta all’esame dalla sua amica Sally.
Credete che l’abbia superato?
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