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Ritorna l’Orchestra Mozart, dopo la scintillante esibizione di primavera.

Il prestigioso gruppo eseguirà l’integrale delle Nove Sinfonie di Beethoven, con il Direttore musicale Daniele Gatti, in cinque concerti distribuiti nell’arco di tre anni.

Il progetto -che il Maestro aveva già realizzato a Bologna nell’autunno del 2004 quando era Direttore musicale del Teatro Comunale-, anticipato dal concerto del 18 aprile scorso, conclusosi con la Settima Sinfonia, vede ora La Terza (Eroica), abbinata a Metamorphosen di Richard Strauss:

al Teatro Comunale di Ferrara (28/09), al Teatro Verdi di Salerno (29/09), al Teatro Filarmonico di Verona (30/09), all’Auditorium Manzoni di Bologna (1/10) e alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano (2/10).

Per la realizzazione della rilevante iniziativa l’Associazione Ferrara Musica [1], in persona del direttore Enzo Restagno, ha offerto la residenza artistica all’Orchestra Mozart, che sarà quindi sua ospite per tre anni, fino al 2024.

L’esecuzione delle meraviglie beethoveniane proseguirà: nel settembre 2023 con due concerti che prevedono la Quarta e la Quinta Sinfonia, il primo; la Seconda e la Sesta Sinfonia, il secondo, e si concluderà nel settembre 2024 con gli ultimi due concerti, nei quali saranno eseguite la Prima e la Settima Sinfonia e, a chiusura del ciclo, l’Ottava e la Nona Sinfonia.

 

Veniamo alla nostra serata.

Chi sono di scena?

 

Richard Strauss Metamorphosen, Studio per 23 archi solisti

 

Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore op. 55, Eroica

 

Un programma ambizioso, ricco di fascino con due composizioni lontane in apparenza, ma in realtà legate nel profondo.

Dell’accostamento tra loro ho scritto nel commento al Festival dell’Orchestra Mozart del 2019 [2], prima parte; ora riprendiamo l’argomento.

L’Accademia Filarmonica di Bologna che sa bene come coccolare il suo pubblico, ha previsto due incontri preparatori; due podcast (termine di moda per indicare una registrazione ascoltabile on line) a cura di Virginia Carolfi, una delle “anime” dell’Orchestra Mozart, e Guido Giannuzzi, ottimo musicologo e compositore [3].

Proverò a riassumere quanto emerso dal loro dialogo, ricco di spunti.

 

Metamorphosen, Studio per 23 archi solisti

 

Di Richard Georg Strauss (Monaco di Baviera, 11 giugno 1864; Garmish-Partenkirchen, 8 settembre 1949) [4], uno dei più rilevanti compositori del Novecento, noto soprattutto per i Poemi sinfonici e le opere liriche, non racconterò la vita, limitandomi ad osservare, con Virginia, che egli vive in un’epoca ricca di grandi innovazioni scientifiche e tecniche (basti pensare all’invenzione del cinema ad opera dei fratelli Lumière); di fermenti in ogni campo dell’arte, a cominciare dalla Pittura (Impressionismo, Espressionismo) e dalle Arti figurative in genere, per non dire della Letteratura e della Musica: senza abbandonare la tradizione, si intende superarla nella ricerca di nuove strade espressive.

Il culmine è quel periodo noto come Belle Epoque, destinato a concludersi nelle trincee della Grande Guerra. Va così in frantumi un mondo che ci si illudeva sarebbe durato per sempre.

Accanto alla vita, alla serenità, ecco il dramma, le infinite tragedie; i movimenti totalitari, quali Comunismo, Fascismo, Nazismo e i governi dei quali essi furono espressione; l’orrore della Seconda Guerra Mondiale, a poco più di vent’anni dalla conclusione della Prima; la Shoah…..

Come vive Strauss quei tumultuosi decenni?

Nonostante gli inizi artistici all’insegna di una certa innovazione, egli è considerato un conservatore, ma, sottolineano i nostri due amici, proprio questo apparente anacronismo gli fa comprendere meglio il suo tempo.

E, in barba ad una certa nomea di figura austera, Strauss è persona piena di spirito e di ironia.

Un esempio. Nel 1925 scrive il “Decalogo del Direttore d’Orchestra” in cui raccomanda ai giovani colleghi di seguire queste regole. Vale la pena riportarlo.

  1. Tieni conto che tu fai musica non già per il tuo piacere, ma per la gioia dei tuoi ascoltatori
  2. Quando dirigi non devi sudare: è il pubblico che deve riscaldarsi, soltanto il pubblico
  3. Dirigi Salome e Elektra (opere drammatiche straussiane) come se fossero musiche di Mendelssohn, letteralmente di elfi, cioè lievi
  4. Non lanciare mai sguardi incoraggianti agli ottoni, all’infuori di una breve occhiata, tanto per dare una certa importanza ai loro attacchi e alle loro entrate
  5. Al contrario tieni sempre d’occhio i corni e i legni e non volgere mai lo sguardo da loro; in generale, ascoltandoli troverai sempre che suonano troppo forte
  6. Se ritieni che gli ottoni non suonino abbastanza forte, smorza ulteriormente il loro suono di almeno due gradi di intensità
  7. Non basta che sia tu a distinguere col tuo orecchio ogni parola del cantante, tu che conosci quelle parole a memoria: è il pubblico che deve seguirle senza fatica. Il pubblico se non capisce il testo, dorme [Verissimo!!]
  8. Accompagna sempre il cantante in modo che egli possa cantare senza sforzo
  9. Se credi di aver raggiunto la massima velocità possibile con un prestissimo, raddoppia la velocità
  10. Se sarai così gentile da tener conto di tutti questi miei consigli, grazie alle tue belle doti e alle tue grandi capacità, sarai sempre la delizia dei tuoi ascoltatori, e nessuna nube turberà mai il vostro idillio.

Fantastico!

Un accostamento insolito è tra il musicista tedesco Richard Strauss, talvolta sospettato di simpatie filonaziste (senza che peraltro che sia mai stato portato uno straccio di prova a riguardo), e lo scrittore austriaco Stefan Zweig.

Lo scambio epistolare tra Richard Strauss e Stefan Zweig è di notevole interesse; a confronto due intellettuali separati da quasi vent’anni quanto a differenza d’età, ma, in fondo, nell’animo molto simili: due epigoni, creature che appartengono entrambe a Il mondo di ieri, per citare il libro più celebre di Zweig.

Zweig è stato pure il librettista di Strauss. Occasione: la messa in scena di Die schweigsame Frau (La donna silenziosa), opera comica che Zweig trasse da Ben Jonson, con musica di Strauss, appunto.

Tutto bene, ma c’è…. un problema, e non da poco.

Siamo in Germania nel 1935 e Zweig è ebreo; Strauss pretende che il nome di Zweig figuri adeguatamente nella locandina. Zweig, temendo di mettere in imbarazzo Strauss, si offre di collaborare anonimamente, ma Strauss tiene duro. Alla faccia del filonazista.

Più tardi Zweig riesce a fuggire e salvarsi in Sud America ma il mondo a lui caro era ormai sepolto per sempre. Da qui disperazione senza fine e il suicidio nel 1942 in Brasile con la seconda giovane moglie Lotte. Anche se qualcuno ha avanzato l’ipotesi che non si sia trattato di suicidio, un po’ misterioso nelle motivazioni, a dir la verità.

Strauss vede la scomparsa di un mondo che non tornerà più nel crollo della Germania, la Patria ridotta in macerie, a cominciare dalle principali città, come Berlino, Amburgo, Dresda, soprattutto la sua Monaco….Queste le conseguenze di un regime odioso che ha portato solo rovina.

La morte della musica tedesca è, per lui, la morte della Musica tout court.

Questo spinge Strauss a comporre, nel 1945, Metamorphosen, definito come Studio per 23 archi solisti. Gli archi sono: 10 violini, 5 viole, 5 violoncelli e 3 contrabbassi; con questa compagine l’Autore  amplia l’idea originaria di un Settetto.

E dà vita allo Studio nella sua casa di Garmish (dove morirà) fra il 13 marzo e il 12 aprile 1945. Inquadramento storico: ai primi di marzo 1945 l’esercito statunitense entra in Germania, dai primi di aprile l’esercito sovietico assedia Berlino ed occupa Vienna. E tutto questo lo avverti con chiarezza nella composizione.

Il titolo richiama pure l’universo greco-romano -Ovidio, in primo luogo; nel 1938 Strauss aveva composto un’opera d’ispirazione classica, Dafne-, ma soprattutto Goethe, il Goethe scienziato.

In La metamorfosi delle piante (1790) il più grande poeta tedesco sostiene come da un’unica pianta originaria, anzi da una foglia, discenda, attraverso numerose metamorfosi, tutto il regno vegetale.

La teoria di Goethe è annoverata tra i precursori dell’evoluzionismo, benché i suoi studi sulla natura dei componenti del fiore come prodotti dalla metamorfosi delle foglie divergano da quelli di Darwin.

In Metamorphosen par di cogliere una concezione negativa di trasformazione del mondo, intesa come la fine di tutto.

Il brano si articola in quattro movimenti:

  1. Adagio ma non troppo
  2. Agitato
  3. Adagio ma non troppo
  4. Molto lento

 

A più riprese nel brano e, soprattutto, nella parte sua finale, Strauss cita, con bassi e violoncelli, sia pure un po’, per così dire, deformate, le prime quattro battute della Marcia Funebre dell’Eroica con l’annotazione “IN MEMORIAM!”

Brividi.

Come uno degli ultimi lavori di Strauss, Metamorphosen mostra magistralmente il complesso Contrappunto per il quale il compositore mostrò una predilezione per tutta la sua vita creativa.

Un testamento spirituale.

Riproduco Metamorphosen in un’esecuzione (Autunno 2020) diretta, con la Elbphilarmonie Orchester di Amburgo, dal Maestro finlandese

ESA PEKKA SALONEN, vivamente consigliata da Guido.

La Elbphilarmonie è  luogo da visitare appena possibile.

Una magnifica costruzione in mattoni rossi e vetro ondulato che domina il porto di Amburgo. La struttura (inaugurata nel 2017) abbina lo stile antico -il basamento in mattoni rossi è ricavato da un vecchio magazzino merci- a quello moderno, con la parte in vetro che simboleggia le onde del mare. Dalla Elbphilarmonie si gode uno stupendo panorama sul porto di Amburgo e sul traffico delle navi in partenza e in arrivo.

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Musica struggente, di forte impatto emotivo, che si conclude nel silenzio; e la mano del Direttore che si abbassa lentamente…..

 

Ricordo bene il primo viaggio in Germania, Repubblica Federale, coi miei genitori, nell’estate 1963.

Il Paese era stato del tutto ricostruito, c’era ovunque una voglia di vita, di ripresa, una certa agiatezza, ma, se entravi in un edificio pubblico, vedevi alle pareti tante immagini fotografiche del periodo bellico.

All’interno di quella certa chiesa di Monaco, perfettamente restaurata, ad esempio, tanti scatti, risalenti a pochi anni prima, che la ritraevano con la facciata distrutta e il campanile in procinto di crollare da un istante all’altro. A perpetua memoria.

Immagino che cosa avrà provato Strauss nel vedere la propria Patria in macerie.

Ma forse una speranza c’è. Un patrimonio di spiritualità non può andare perduto: la Metamorfosi della Rinascita è possibile.

 

 

 

Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore op. 55, Eroica

Quante volte ci siamo intrattenuti su questa immortale Sinfonia!

Io stessa, dal mio punto di vista di semplice appassionato, ne ho scritto in diverse occasioni; in particolare nel Diario di Orchestra Mozart Festival, 26/28 aprile 2019.

Virginia e Guido osservano come su Beethoven, più che essere “stato detto tutto, si sono dette sempre le stesse cose”; per questo ora si divertono a guardarlo da una prospettiva un po’ insolita.

Forse egli se ne sarebbe adontato o forse no, chissà, nel vedersi ritratto come una sorta di figura, anzi di icona, pop.

Nel corso del tempo la sua immagine la ritroviamo, ad esempio, nei Peanuts, il fumetto a strisce giornaliere e a tavole domenicali, realizzato da Charles Schulz e pubblicato negli USA dall’ottobre 1950 al 13 febbraio 2000 (il giorno successivo alla morte dell’Autore). Il personaggio di Schröder, per esempio, è un ragazzino che suona il pianoforte e nutre un’autentica venerazione per il genio di Bonn.

I film non mancano: ricordiamo per tutti il gettonatissimo e sopravvalutato -a mio avviso-,  Arancia Meccanica (1971) di Stanley Kubrick, tratto dal libro di Antony Burgess, dove il bizzarro protagonista, Alex (interpretato da un attore del tutto inespressivo dalla prima all’ultima sequenza, ahimé), stravede per Beethoven da lui chiamato familiarmente “Ludovico van”.

Per non parlare della letteratura: dalla Comédie humaine di Balzac, a Suonata a Kreutzer di Tolstoi, al Doktor Faustus di Thomas Mann fino al Tamburo di Latta di Günter Grass.

Lo stesso Andy Warhol lo rappresenta in quattro serigrafie composte poco prima della sua morte nel 1987. L’immagine originale è stata presa da un ritratto del 1820, opera di Joseph Karl Stieler.

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Negli anni della contestazione Beethoven era visto come simbolo di libertà e rivolta, tanto che molti studenti amavano indossare Tshirt con impressa la sua immagine.

Naturalmente tutta la Musica, in ogni sua espressione (colonne sonore di film comprese) gli è debitrice.

I nostri due amici rilevano come in lui emerga una profonda Umanità, quale elemento essenziale della sua poetica: puoi sì parlare di Divino Mozart, al di là dell’esistenza drammatica, ma puoi parlare di Divino Beethoven? Forse no, proprio perché la sua vita, sempre tormentata da dolori, anzitutto fisici -e non solo la sordità, con la quale dovette convivere ben presto-, ce lo rende assai vicino.

Elemento essenziale è il Ritmo, più che la Melodia: pensiamo al celeberrimo attacco della Quinta Sinfonia. Verrebbe da dire che anticipa soluzioni jazzistiche riprese da tanti Autori.

A volte fu criticato dai contemporanei perché le composizioni erano ritenute “troppo rumorose”, “selvagge”, addirittura, secondo alcuni.

In lui, fa presente Guido, è presente pure una certa ironia, al di là della fama di uomo burbero e ombroso.

Ironia ripresa da Haydn, il suo vero maestro anche se egli non lo ammise mai.

Nell’Ottava Sinfonia c’è una parodia del metronomo [5], che ricalca la Sinfonia dell’Orologio haydiniana.

Ironia, ma anche la capacità di usare il tono “dolce” e il tono “grazioso”, aspetti che sfuggono ad una disamina superficiale.

Per entrare nel merito della presente Sinfonia, possiamo dire che essa rappresenta un cambiamento epocale; è la prima dove si può parlare di elementi etici, di “universalità dell’umano” (così Ferruccio Busoni).

Mi permetto di riportare alcune riflessioni  tratte dal libro di Giannuzzi, citato sopra in nota. “Come Hegel, Beethoven non può essere pensato senza la Rivoluzione francese e Napoleone.

Egli fu figlio del suo tempo, nell’impeto rivoluzionario giovanile come nella fiducia tutta illuminista nelle possibilità del genere umano. Non si possono esaltare il pensiero e l’autocoscienza come unico principio dell’essere; la necessità di astrarsi dalla vita per poterla osservare trova nell’intuizione, nel lampo creativo, il momento di unità tra l’essere e il divino.

Questa fu l’essenza del procedere beethoveniano, che utilizzò il ritmo per impadronirsi dell’armonia e la forma ‘per distruggere la materia’, come auspicava Friedrich Schiller. L’uomo che riuscì a compiere queste imprese prometeiche -per citare una figura mitica a lui cara- fu, per buona parte della sua esistenza, sordo e malato, ma riuscì ad ascendere alla pura spiritualità nell’incomprensione finale dei suoi contemporanei, incapaci di seguirlo in questo solitario tragitto interiore”.

“O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo, come siete ingiusti (…), come avrei potuto infatti dire agli uomini: parlate più forte, gridate, perché sono sordo (…) come poter confessare la debolezza di un senso, che dovrei possedere molto più degli altri” scrive Beethoven nella lettera-testamento di Heiligenstadt, indirizzata nell’ottobre 1802 ai fratelli Kaspar Karl e Nikolaus Johann.

Uno sfogo toccante, che il compositore voleva condividere con i fratelli, ma che -come la ben nota “Lettera all’amata immortale”, figura femminile sulla quale sono state formulate diverse ipotesi- non spedì mai e che fu ritrovato dopo la sua morte, nella residenza alla periferia di Vienna, dove aveva trascorso un lungo periodo all’inizio dell’Ottocento.

È a questo profilo di Beethoven, geniale, tormentato e intimo, che guarda Bianca Melasecchi, autrice dell’intenso spettacolo “Ludwig, la Musica nel silenzio” (2020), rappresentato con successo, nel 250° anniversario della nascita, in alcune città italiane -poche, purtroppo, a causa dell’imperversare del Covid; avrebbe meritato ben di più-. L’attore Alessio Boni incarna con particolare intensità il protagonista mettendone in luce il lato umano alternando la sua voce a frammenti di brani beethoveniani rivissuti al pianoforte dal fantastico Francesco Libetta.

Ne scaturisce un ritratto del compositore quale personaggio di forte impatto. Egli si muove dal cuore, in un modo in cui tutto è sentire (“Mi piace il verbo sentire”  scrive Alda Merini), ma in cui proprio la tragedia della sordità gli offre le forze ed il silenzio interiore necessari a lasciare nella storia umana (non solo nella Musica) un segno incancellabile.

“Un musicista sordo! Possiamo noi immaginare un pittore cieco?” riflette Richard Wagner “Non disturbato dai frastuoni della vita, Beethoven rimane solo, intento alle sue armonie interiori. Allora egli comprende la foresta, il prato, l’azzurro cielo, la folla lieta, la coppia amorosa, il correre delle nuvole, lo strepito della bufera, la beatitudine di una pace interiore”.

Per ritornare alla nostra Eroica, sappiamo che la Sinfonia è eseguita per la prima volta nell’agosto 1804 a Praga, nel Palazzo del Principe Joseph Franz Maximilian von Lobkowicz (protettore del musicista e dedicatario finale dell’opera) [6] e pubblicamente il 7 aprile del 1805 al Theater an der Wien, diretta dallo stesso Autore.

Quindi la  prima esecuzione avviene in ambiente intimo, diremmo cameristico.

Da ricordare lo studio filologico delle sinfonie beethoveniane compiuto dal musicologo e direttore d’orchestra britannico Jonathan Del Mar, il quale compone un’edizione critica delle stesse, completata nel 2000, cui si attengono, nelle loro interpretazioni, sia Claudio Abbado (Berliner Philarmoniker) che Sir Simon Rattle (Wiener Philarmoniker).

Suggerimenti di ascolto?

Infiniti: da Rafael Kubelik (1976); a Christian Thielemann (2015), con i Wiener Philarmoniker; a Claudio Abbado (coi Berliner) a Bernard Haitink, che ben conosciamo.

 

Non è finita qui.

A suggellare questi due incontri due incontri, la parola ora è ai Musicisti, rappresentati da un significativo terzetto.

Federica Vignoni, Manuel Kastl (violini) e Mattia Petrilli (Flauto). Membri storici della Mozart.

Sollecitati dalle domande di Virginia, esprimono una forte emozione all’idea del percorso che si apprestano ad iniziare.

“Febbre del viaggio”, la definisce Manuel, sostenuto da Mattia, e aggiunge: “Chissà quanto saremo cambiati al termine di questo cammino, noi che abbiamo suonato le Sinfonie negli anni scorsi -ricordo le meravigliose esperienze con Claudio Abbado o Bernard Haitink-!”

“Come troviamo la calma, dopo i mille impegni che caratterizzano la nostra vita, sempre con le valigie a portata di mano?” si domanda Federica; e dà la risposta: “E’ la condivisione tra noi a darci la forza per andare avanti”: Suggestivo.

“Siamo come degli operai che stanno costruendo qualcosa che sappiamo (speriamo!) sarà davvero grande” chiosa Mattia.

“Di tutte le nove Sinfonie di Beethoven ce n’è una che preferite?”

Mattia: “Senz’altro la Sesta, la Pastorale; anzitutto perché il ruolo del flauto è, per così dire, tranquillo, sereno; contrariamente ad altre occasioni”. Ricorda i concerti con Abbado e Myung-Whun Chung: sempre qualcosa di nuovo ogni volta.

Sulla Pastorale concorda Manuel; anzi rammenta un episodio avvenuto a Ravenna anni fa.

La Mozart, con Abbado, era stata chiamata per suonare in un ambiente non adatto, anzitutto quanto all’acustica: una sorta di palestra usata per giocarvi le partite di basket. Chissà perché. La Sesta in un contesto del genere…ma come si fa??….

Niente paura! Col secondo movimento (dove c’è il temporale) il Maestro milanese riuscì a creare un’energia magica, che trasmise subito ai musicisti e al pubblico.

Ci fu pure un aiuto meteorologico: un autentico temporale scoppiò in quel momento e, dato che il soffitto della sala era in plastica, cioè trasparente, tutti poterono vedere lampi e fulmini, oltre che udire tuoni!

A seguire, per Manuel, c’è la Nona, della quale ricorda la direzione di Daniele Gatti, alcuni anni orsono, a Barcellona.

Bastò poco per entrare in sintonia. “Quella volta” confida “ho pensato: mi piacerebbe rivedere questo Maestro e suonare Beethoven con lui”. Desiderio avverato.

E che dire poi dell’Eroica diretta da Haitink nell’Orchestra Mozart Festival del 2019? Il nostro amico confessa che gli sembrò che essa fosse nata proprio quella sera.

Federica si diverte ad ascoltare l’amico tedesco. “Tutte le sinfonie suonate con Claudio Abbado sono un ricordo indelebile per tutti e quindi anche per me. Mi manca solo la Settima, ma, in questo senso, vanto l’indimenticabile esperienza con il Maestro Gatti nel concerto del 18 aprile scorso”.

“Da quale figura del passato vi piacerebbe essere diretti?”

L’ultima domanda di Virginia suscita lo spirito burlone e un po’ macabro di Mattia.

“Non ho dubbi: Jean Baptiste Lully [Firenze, 1632 / Parigi, 1687], se non altro per raccontare in giro la vicenda tragicomica che mise fine alle sua carriera e…alla sua vita”. [7].

Manuel è sicuro. Sceglierebbe Mahler, il suo compositore preferito, anche se magari essere diretti in un’opera dal suo autore è sempre impresa difficile.

A Federica sarebbe piaciuto trovarsi vis à vis con Igor Stravinskij, autore col quale si è cimentata di recente insieme al suo Quartetto (Mirus): il Concertino è impagabile!

“Avrei un sacco di domande da porre a questo musicista geniale!”

 

Arrivederci all’1 ottobre.

 

Usciamo di casa per tempo. Debbo camminare con calma e prudenza, reduce dal difficile intervento chirurgico di maggio scorso che, a prezzo di notevoli sacrifici, mi sta liberando, sia pure lentissimamente, da incredibili dolori ai piedi, con rispetto parlando, che si acuivano giorno dopo giorno, rendendomi la vita davvero grama.

Onore al valoroso -e simpatico- ortopedico, primario dell’Istituto Ortopedico Rizzoli (scovato dalla sottoscritta, grazie alle sue ricerche).

Ancora una serata fresca e luminosa.

Porto con me un ritaglio de Il Resto del Carlino, datato 1 ottobre, contenente un’intervista di Marco Beghelli al Presidente dell’Accademia Filarmonica di Bologna, Prof. Loris Azzaroni.

Nell’illustrare il programma beethoveniano egli precisa che ogni “accoppiata” troverà a Ferrara il momento delle prove e della prima esecuzione (come accade a primavera con il LAC di Lugano). A questo, egli aggiunge, seguiranno, come già accade ora, varie repliche in Italia e, precisa, anche all’estero, secondo “gli inviti  che stiamo già ricevendo numerosi”.

Un traguardo musicale fondamentale per ogni ensemble strumentale. Poterlo realizzare con il Maestro Gatti che ha approfondito come pochi il massimo repertorio austro-tedesco, è occasione irripetibile.

A Bologna, dov’è confermata la sede storica dell’Orchestra -tutto, come sappiamo, partì da qua, nel 2004-, sarà dunque possibile ascoltare l’intero ciclo sinfonico di Beethoven, cui si aggiungerà la tradizionale, distinta, programmazione in primavera, grazie, sottolinea il Presidente, al supporto delle istituzioni e al meritorio supporto di Alfasigma.

Uno sguardo al futuro, non così lontano.

Nel 2024 importanti incontri.

Si concluderà il ciclo delle Sinfonie proprio in concomitanza del ventennale di fondazione dell’Orchestra Mozart; e saranno ricordati con la dovuta solennità i dieci anni dalla scomparsa del suo fondatore, Claudio Abbado.

 

L’ingresso al teatro vede già tante persone, con l’abbonamento pronto in mano; e non mancano coloro che, all’ultimo, si sono aggiunti facendo la coda alla biglietteria.

Raggiungiamo le nostre postazioni. Aria di festa.

Si comincia puntuali. Caloroso benvenuto ai nostri musicisti. Prima Giacomo, poi Francesco, a seguire Gabrielle, Manuel, Simone, Federica, Massimiliano, Simone (Briatore), divenuto uno dei nostri….Violini, viole, violoncelli e contrabbassi. Gli archi sono i protagonisti, nel  brano di inizio.

Stasera abbiamo, come primo violino, una new entry; new entry per la Mozart, perché Sergey Galaktionov è musicista di chiara fama; oltre che un uomo di notevole suggestione (purtroppo  le foto spesso non rendono l’idea)

 

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Nato nel 1970, ha iniziato lo studio del violino a soli quattro anni frequentando la Central Special Music School del Conservatorio di Mosca. Ha proseguito gli studi al Conservatorio Superiore di Mosca con il Maestro Andrei Korsakov, ottenendo nel 1994 il diploma di solista e nel 1996 il titolo di Dottore in musica.

Ha partecipato a numerosi concerti con le più prestigiose orchestre del mondo e con Direttori e Colleghi  di notevole rilievo.

Di particolare importanza l’esecuzione del concerto n. 2 “La Campanella” di Niccolò Paganini a Milano, concerto eseguito con lo Stradivari “Il Cremonese” (1715) concesso dalla Fondazione Negri e dal Comune di Cremona. Ha concertato e diretto diversi programmi per orchestre da camera con musiche di Bach, Mozart, Vivaldi, Mendelssohn, Bruch, Hadzon, Sulema de la Cruz, ecc., che lo hanno visto grande protagonista nelle stagioni del Teatro Regio di Torino e della Sala Verdi di Milano.

Dal 2004 ricopre il ruolo di Primo Violino di Spalla dell’Orchestra e della Filarmonica Teatro Regio Torino. Nel 2005 è stato insignito del “Premio Protagonisti nella Musica”.

Suona un violino G.B Guadagnini (Torino, 1772) della Fondazione Pro Canale di Milano.

Una presenza rilevante, una risorsa per la nostra orchestra. Ce ne accorgiamo fin dalle prime battute di Metamorphosen.

Non sto a ribadire ulteriori concetti, che altri hanno espresso assai meglio di me.

Posso affermare tranquillamente che non ho mai percepito una partecipazione così forte da parte dei musicisti come in questa composizione.

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Partecipazione che il pubblico, noi tutti, facciamo subito nostra.

Lo confesso a Giacomo, sceso in platea durante l’intervallo. Sorride felice.

C’è una piccola rappresentanza della famiglia Tesini. Il papà di Giacomo, Mario, e la primogenita del nostro violinista, Teresa; una simpatica bimbetta già avviata alla musica come corista.

 

L’Eroica, con l’Orchestra al completo -c’è pure la Marzadori violista, cioè Sara-,  sigilla una serata memorabile.

Applausi, applausi a distesa.

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Ecco il Maestro con Giacomo (a sinistra)  e Manuel (a destra), piccolo assaggio, ma vorresti abbracciarli tutti

 

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Lasciamo in fretta la sala dalle porte laterali che ci portano direttamente all’uscita degli artisti.

Possiamo così salutare i nostri prodi, Francesco Senese compreso.

“Sono sempre LORO!” esclama soddisfatto Gian Guido Balandi, seguace affezionato da sempre.

 

[1] L’Assoociazione, costituita nel 1989 da Claudio Abbado ha sempre ospitato le compagini fondate dal Maestro, come la European Union Youth Orchestra e le sue “derivazioni”, quali la Chamber Orchestra of Europe e la Mahler Chamber Orchestra.

[2] V. mio commento a Orchestra Mozart Festival 26-28/4 2019, Ia parte.

[3] Guido Giannuzzi,  musicista e saggista, dal 1996 è professore dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Ha pubblicato Paul Wittgenstein, il pianista dimezzato e Gli ombrelli di Satie. Nel 2020 è uscito, con Mursia, Invito all’ascolto di Beethoven, pp, 200. La straordinaria esistenza di Beethoven è qui narrata da un musicista a partire dalla sua esperienza di esecutore, tracciando un percorso tra vita e principali opere in serrato dialogo con la cultura del tempo, con incursioni nella storia, nella filosofia, nell’arte. Completano questo invito all’ascolto il catalogo delle opere beethoveniane, una bibliografia aggiornata e una ricca discografia che fanno del volume uno strumento di pratica consultazione e di avvincente lettura per musicisti e appassionati.

 

[4]  A proposito di Strauss, v. Mio Diario di Viaggio 7 / 13 agosto 2017, dedicato alla Città e al Festival musicale di Lucerna.

[5] Il metronomo, dal greco μέτρον (métron, “misura”) e νέμω (némo, “amministro”, “guido”), è uno strumento usato in ambito  musicale per misurare il  tempo ed esplicitare quindi la scansione ritmica.

 

[6] Almeno fino all’estate 1804 la sinfonia era ancora intitolata “Bonaparte”. Due anni dopo, nella prima edizione a stampa, il titolo definitivo era già cambiato in “Sinfonia Eroica, composta per festeggiare il sovvenire di un grande Uomo e dedicata a Sua Altezza Serenissima il Principe di Lobkowitz”. Napoleone, divenuto tiranno, cioè Imperatore dal 26 maggio 1805, era scomparso dall’orizzonte del musicista, cantore di libertà.

[7] L’8 gennaio del 1687 Lully stava provando  il Te Deum– da lui scritto dieci anni prima – per farlo eseguire come ringraziamento della recente guarigione del re, quando si ferì, battendo violentemente sul piede con il pesante bastone di metallo usato per segnare il tempo. La ferita si infettò, complicandosi in cancrena e, per tentare di salvarlo, i medici proposero l’amputazione della gamba; Lully rifiutò e morì poco dopo.

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