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“Bisogna partire dai bambini! Il futuro della Musica sono loro; il sovrintendente Haefliger ed io ne siamo così convinti da aprirgli le porte con un programma sulla Fiaba, dal Carnevale degli animali a Cenerentola”  Riccardo Chailly, Direttore della Lucerne Festival Orchestra

 

 

Salvo circostanze eccezionali, difficile che rinunciamo ad un concerto organizzato dal Festival Estivo di Lucerna.

Un solo concerto, beninteso: non solo per evidenti ragioni di carattere finanziario, ma anche -e forse soprattutto- per motivazioni intrinseche.

Si tratta di eventi che esigono dapprima una certa preparazione -storica, musicale, culturale in genere-; poi devi reggere la commozione di trovarti in quel luogo, insieme a quei musicisti, impegnati in interpretazioni di altissimo valore.

Al termine del concerto: il Silenzio, carico di significati, che segue la Musica.

Il Silenzio è quel momento che ti appare come “uno svanire perché l’effetto del suono concentrato per ore nello spazio va spegnendosi a poco a poco; ma qualcosa rimane lì un attimo, percettibile, senza bisogno di essere definito: esiste e basta, ma non puoi dire che cosa sia”.

Ho rubato questa breve riflessione, nella quale mi riconosco in pieno, ad un illustre attore svizzero -di lingua tedesca e di mamma italiana-  Bruno Ganz, vero uomo di cultura e profondo conoscitore di Musica.

L’applauso liberatorio.

Non finisce qui. Quanto hai vissuto ti resta dentro e devi farlo tuo, pian piano.

 

Alcune notizie sul Festival 2018.

La durata: 17 agosto / 16 Settembre

 

Quest’anno si celebrano 80 anni del Festival [1]; nonché 30 anni di partecipazione del Direttore, Riccardo Chailly, all’importante rassegna.

E, last but not least, cadono i 60 anni di partecipazione da parte dei Berliner Philarmoniker, che si presentano col nuovo Direttore eletto nelle piene funzioni dal 2019, se ho ben capito), il fantastico Kirill Petrenko, che qui quest’anno non vedrò, ma che spero di conoscere quanto prima.

 

Childhood, Fanciullezza (o Infanzia) è tema scelto per questa edizione. Bambini, Ragazzi. Il Futuro: della Vita; e quindi della Musica.

Nella lettera di presentazione il Direttore Artistico, Michael Haefliger, rileva come, per alcuni, Fanciullezza significhi il Paradiso Perduto, un luogo ove tutto è possibile.

Per altri invece i ricordi infantili non sono purtroppo così lieti, perché sovente sono il risultato di varie circostanze dolorose e negative concernenti le condizioni sociali di nascita o l’ambiente in cui una persona è cresciuta.

Fanciullezza è sinonimo di Innocenza, Amore, Futuro, forse ha pure in sé qualcosa di Divino. Perché no? Proprio Gesù Cristo raccomanda: Diventate come bambini!

Il recupero di una certa dimensione fanciullesca è ciò che un celebre scrittore di libri per l’Infanzia, Erich Kästerner, ritiene un’esigenza insopprimibile. Ancora egli ci dice: Cerchiamo di proteggere i bambini dal diventare come noi. Cioè cinici e disillusi. Impariamo invece noi da loro.

Il tema del Festival Estate 2018 analizzerà dunque la Fanciullezza da differenti angolazioni, con diversi progetti e programmi. Ne cito alcuni tra i tanti, in cui saranno presenti artisti di primordine, ben noti agli appassionati.

Qualche assaggio.

In primo luogo Riccardo Chailly e la Lucerne Festival Orchestra si dedicheranno a Stravinskij, Mozart, Ravel, Wagner e Bruckner. Il concerto di apertura (il 17 scorso) ha visto il ritorno di Lang Lang in veste di solista, dopo alcuni mesi di forzata assenza a causa di una fastidiosa tendinite.

Oltre ai Berliner Philarmoniker cui accennavo poc’anzi, ci saranno: La Chamber Orchestra of Europe sotto la direzione di Bernard Haitink (!) e Heinz Holliger; i Wiener Philharmoniker con Franz Welser-Möst; Sir Simon Rattle e la sua nuova compagine, dopo i Berliner, cioè la London Symphony Orchestra. Mentre Andris Nelsons dirigerà la Boston Symphony Orchestra, François-Xavier Roth la Mahler Chamber, Daniel Barenboim la sua West-Eastern Divan; Yannick Nézet-Séguin la Rotterdam Philarmonic; i Münchner Philharmoniker, poi, saranno guidati da Valery Gergiev.

Quanto ai solisti presenti, non c’è che l’imbarazzo della scelta: i violinisti Renaud Capuçon, Lisa Batiashvili, Baiba Skride e Leonidas Kavakos, le voci di Elsa Dreisig e Magdalena Kožená; i pianisti Pierre-Laurent Aimard, Yefim Bronfman, Sergej Redkin, Yuja Wang e Krystian Zimerman; oltre beninteso Lang Lang.

Conclusione curata dalla nostra Cecilia Bartoli, nella parte di Cenerentola in una rappresentazione semiscenica dell’omonima opera di Gioachino Rossini eseguita dai Musiciens du Prince – Monaco.

I Progetti dedicati ai giovanissimi metteranno in evidenza il pubblico di domani. Il Composer-in-residence Fritz Hauser, ad esempio, affronterà il disegno infantile attraverso la sua opera Schraffur, con 300 partecipanti di tutte le fasce d’età.

A inaugurare il Festival (sempre il 17, anzi come primo evento) ecco la National Youth Wind Orchestra of Great Britain, sotto la direzione di Glenn D. Price, con un concerto in Europaplatz, cioè la piazza antitante il KKL.

I riflettori saranno puntati anche su compositori come Georges Bizet, Pëtr Čajkovskij, i quali si sono confrontati con ricordi dell’infanzia. Sir Simon Rattle (10 settembre), dirigerà la divertente, e al contempo inquietante, opera di Ravel L’Enfant et les sortilèges.

E non mancherà l’omaggio a Leonard Bernstein nel centenario della nascita.

Il Festival ospita pure opere pedagogico-musicali come Pierino e il lupo di Prokof’ev, interpretato (9 settembre) dalla giovane attrice Anuk Steffen (data di nascita: 2005) e Il Carnevale degli animali di Saint-Saëns eseguito dalla Artiste Étoile, la violoncellista trentasettenne argentina Sol Gabetta.

Posto d’onore per le fiabe, quali Cenerentola secondo Prokof’ev e secondo Rossini; oppure L’Uccello di Fuoco di Stravinskij.

Il tema di quest’anno evoca subito i “Ragazzini prodigio”, come Mendelssohn o il più celebre di tutti, Mozart: e; per venire all’oggi, faranno il loro debutto al Festival in un ciclo di concerti a loro dedicato: la compositrice e violinista Alma Deutscher, il violoncellista Lionel Martin e il pianista Dmitry Ishkhanov.

Nell’ambito di Lucerne Festival Young nel 2018 alcune sedi concertistiche, quali la Konzertsaal, il Neubad o il Kleintheater, diventeranno colorati e interattivi. In collaborazione con Superar Suisse verrà presentato un laboratorio d’orchestra per bambini e adolescenti. Al termine del periodo di prova, previsto prima dell’inizio del Festival, concerto nella stupenda Konzertsaal del KKL di Lucerna. E non mancheranno “concerti per famiglie”, per coinvolgere nella Musica ragazzi e adulti. Iniziative ricche di Fantasia, Gioia, Ricchezza artistica.

 

Per festeggiare il suo trentesimo anniversario lucernese (evento di apertura, 17 agosto) il Maestro Chailly accosta due opere di Igor Stravinskij -il Concerto da camera in mi bemolle maggiore Dumbarton Oaks [2] e il balletto L’Uccello di fuoco (nella versione originale del 1909 / 1910)- al Concerto per pianoforte ed orchestra n. 24 in do minore K 491 di Mozart, con Lang Lang quale solista, come precisato sopra.

Il fil rouge 2018 sono le Favole. Riccardo Chailly e l’Orchestra del Festival aprono quindi la rassegna con un’escursione nel mondo delle fiabe russe. La vicenda dell’Uccello di Fuoco narra lo scontro tra due elementi inconciliabili: un mago crudele di nome Kašej [3], simbolo del male, e l’Uccello di Fuoco che rappresenta la forza del bene.

Rammentiamo in breve la trama. Il principe Ivan capita nel giardino incantato appartenente all’infernale Kašej, mago che pietrifica gli uomini ed imprigiona le donne (un perfetto Un-due!). Nel giardino Ivan riesce a catturare uno splendido uccello dalle piume rosso oro; lo libera però ben presto, ricevendo in cambio una penna di quel magnifico colore. Durante la notte escono dal castello tredici principesse prigioniere, il principe avvicina una di esse e se ne innamora. Ma allorché coraggiosamente tenta di seguirla, viene catturato dai demoni servitori del mago. Ivan agita la penna d’oro davanti a Kašej richiamando così l’Uccello di fuoco che trascina i malvagi in una danza infernale annientandoli. Su indicazione dell’uccello, il principe trova il grosso uovo che contiene l’anima del mago e lo distrugge, ponendo così fine ad ogni incantesimo, alla vita di Kašej e riunendosi alla principessa.

 Il secondo programma, quello cui noi assisteremo il 24 e del quale parlerò più avanti, è tutto incentrato su Maurice Ravel.

Per il terzo programma dell’Orchestra (25 agosto) Chailly unisce le Ouvertures di Rienzi e de L’Olandese volante di Richard Wagner alla Settima Sinfonia di Anton Bruckner.

 

Abbiamo scelto il nostro periodo di permanenza lucernese adattandolo alla data del concerto, quello del 24 agosto appunto, di cui avevo acquistato i biglietti a metà luglio: Andremo da Giovedì 23 a Domenica 26 Agosto; tre giorni.

Toccata e fuga, per restare in argomento. Mi limiterò quindi, nella narrazione, ai punti essenziali, concentrandomi soprattutto sul concerto. Non c’è tempo per dedicarsi ad altri luoghi della città visitati in fretta -o magari trascurati- lo scorso anno.

Data la ristrettezza dei tempi, scegliamo di raggiungere la nostra meta in treno.

Una comoda Freccia Rossa ci porta di primo mattino a Milano in un’ora fendendo la campagna coltivata e incredibilmente ricca a di tante sfumature di verde, nonostante data la stagione calda.

Non abbiamo difficoltà a reperire il treno che ci accompagnerà alla meta svizzera, un pittoresco EUROCITY.

Si parte. Di fianco a noi un quartetto di giovani gioca a carte chiacchierando veloce in uno strano linguaggio che, lì per lì, ti sembrerebbe inglese; invece è uno strettissimo Schwitzerdutsch, il tedesco parlato tra svizzeri, disprezzato dai puristi.

Accanto a me si siede un loro coetaneo: cappelli corti, maglietta color corallo, occhiali, hi-phone alla mano.

Dopo poche stazioni i quattro ci lasciano, non senza averci salutato con gentilezza, mentre il quinto prosegue con noi.

ll treno si inoltra tra montagne, boschi e laghi; ecco quello di Lugano: reverente pensiero all’Orchestra Mozart, che, come sappiamo, ha la sua residenza operativa proprio qui.

Scopriamo che il nostro compagno di viaggio è italiano, nonostante l’aspetto vagamente nordico. Vive a Londra ed è, a sua volta, diretto a Lucerna. Domenica prossima, nel pomeriggio, parteciperà ad un evento gratuito, organizzato dal Festival, che si snoderà per le vie cittadine, con canti e balli. “Se volete venirci a vedere, ne sarò lieto!” Ci piacerebbe molto, ma domenica mattina siamo di partenza.

Giunti alla meta, ci salutiamo, dopo averlo ringraziato per l’aiuto nel prelevare la nostra valigia dalla reticella portabagagli.

Stazione e adiacente KKL. Mi sembra di essere ritornata a casa. Oltretutto, splende il sole, come da previsioni da me sbirciate sul web il giorno prima.

Percorriamo l’animata Pilaus Strasse e raggiungiamo in pochi minuti il nostro albergo, posto al n. 29 della stessa; a breve distanza dal Museo Rosengart, ma dall’altro lato della strada.

Si chiama Astoria e, al di là del nome scontato, è assai originale nella forma e concezione: tutto in vetro, con entrate non subito visibili che ti inducono quindi ad una divertente ricerca.

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Gli albergoni tradizionali sui quali, nella precedente visita, si era concentrata la nostra attenzione, cioè il Monopol e il Waldstätterhof, hanno tutte le camere prenotate e con prezzi da capogiro, per dirla tutta: comprensibile, siamo in pieno periodo del Festival. In un’altra occasione (come questa) sarà bene muoversi con largo anticipo.

Depositati i bagagli, dopo una breve pausa, usciamo. Desideriamo attingere notizie sull’escursione al monte Pilatus, l’altra meta del nostro soggiorno.

Ci rechiamo ad un’agenzia interamente dedicata, posta sulla Hirschenplatz, dove, però una giovane impiegata, desiderosa più che altro di sbarazzarsi di noi -ma…..siamo in Svizzera, mi domando, o ancora nel nostro Paese, dove si fa a gara per scansare gl’impegni?-, ci induce a cercare all’Ufficio del Turismo (non lontano da Stazione Ferroviaria / KKL) del quale avevamo serbato un ottimo ricordo dall’anno scorso [4]. E infatti, cartine esplicative alla mano e insostituibile buona volontà, una gentile addetta -forse la stessa incontrata lo scorso anno- ci fornisce utili spiegazioni sulla visita.

Cioè sul cosiddetto Golden Tour, Anello d’Oro verrebbe da chiamarlo. Ci si reca in battello da Lucerna ad Alpnachstad (circa 90 minuti); si prosegue poi con la più ripida cremagliera del mondo (48%)  fino alla cima del Pilatus Kulm, dove si trova il romantico Hotel Pilatus-Kulm (costruito nel 1890) con magnifica terrazza al sole: uno spettacolo stupendo. E poi, dopo una sosta (pranzo, merenda o come si preferisce), discesa in funivia e cabinovia panoramica verso Kriens. Da lì, ritorno a Lucerna con il pullman. Si può effettuare il viaggio anche in senso contrario.

Proposta interessante. Preferiamo non prenotarci ora, rimandando a domani la decisione.

E facciamo bene perché….. ahimé il tempo di nuovo ci tradisce, in barba alle previsioni lette sul web. Mannaggia, piove già! La…maledizione di Lucerna.

Cena veloce in un piacevole ristorante italiano, l’unico che troviamo aperto in questa zona: strano, sono passate da poco le 21:00……Ritorno in albergo sotto l’ombrello.

Unica, sia pur piccola, consolazione: incrociamo per strada una coppia di musicisti, un giovane ed una ragazza, coi loro strumenti in spalla: violino e violoncello. Sul lato delle custodie riconosco il logo e la sigla: Chamber Orchestra of Europe; hanno appena tenuto il loro concerto diretti da Bernard Haitink.   Evviva!

 

VENERDI’ 24 AGOSTO

Tempo variabile, tendente alla pioggia. Che si fa? Dopo colazione decidiamo di compiere una passeggiata verso un noto albergo situato su una collina che domina la città: Hotel Château Gütsch, intravvisto solo da lontano nella visita del 2017.

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Costeggiamo lungo il lato sinistro la Rheuss che assomiglia ad un manto di seta scura.

Nonostante il tempo non sia dei migliori, ci mettono del giusto umore, proprio di fronte alla Jesuitenkirche, un paio di colonne in pietra interamente coperte di fiori collocati con sapienza.

 

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Una simpatica cremagliera ci porta subito in cima.

Panorama meraviglioso, nonostante i capricci meteorologici e la qualità giocoforza mediocre delle immagini scattate.

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Alcune notizie storiche sull’albergo.

Nel 1859 un certo Burkhard Pfyffer comprò un appezzamento di terreno nei dintorni di Lucerna, adiacente al campo di parata della Compagnia di Artiglieria di Nostro Signore. Nello stesso anno il Consiglio Municipale autorizzò Pfyffer a costruirvi una locanda. Col passare degli anni un semplice alberghetto si trasformò nello Chateau Gütsch.

Il castello andò acquistando notevole fama grazie alla vista mozzafiato che da lì si può godere sulla città e le montagne all’intorno.

Nel 1879 /1884 fu attivata la cremagliera e nel 1888, a seguito di un incendio, l’edificio venne ricostruito su progetto dell’Arch. Emil Vogt il quale si ispirò al castello di Neuschwanstein, orgoglio di Luigi II di Baviera, il protettore di Wagner, com’è noto.

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Vi soggiornarono, tra gli altri, la Regina Vittoria, Thomas Mann e Arturo Toscanini.

Dopo un certo periodo di semiabbandono, dal 1992 l’immobile ha subito notevoli lavori di restauro, sotto la guida dell’interior designer di fama internazionale Martin Lawrence Bullard ed ha così riaperto le sue porte: 31 esclusive camere e suites con vista impareggiabile sulla città e sul lago.

Oggi questo albergo (che nel 2012 è stato acquistato dal miliardario russo Evgeny Lebedev) è un edificio caratteristico della storia cittadina. Si cerca perciò di mantenerlo sempre aderente allo spirito originario in cui è stato costruito.

Nel 2015 è stata installata una nuova e più moderna cremagliera.

Dal castello parte una serie di suggestivi sentieri nel bosco, tra abeti e alberi secolari.

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Ci incamminiamo, ma, poco dopo, siamo sorpresi dalla pioggia, sia pur leggera all’inizio.

Incrociamo un’elegante signora sui 70 anni, con labrador nero al guinzaglio. Ci fa un cenno di saluto, apre l’ombrello e prosegue tranquilla la sua passeggiata.

Dopo qualche minuto  però interrompiamo: l’acquazzone di ieri ci ha reso guardinghi.

Ritorniamo verso l’albergo-castello e, alla stazione di arrivo della cremagliera, attendiamo il vagoncino che vediamo fermo laggiù, dabbasso. Aspettiamo, ma esso non riparte per venirci a prendere. Un terzetto di giovani, dopo aver un po’ pazientato con noi, decide di scendere a piedi.

Stiamo per fare altrettanto, quando appare la signora incontrata poco prima.

Col suo tedesco sicuro Mauro le chiede spiegazioni: come si fa per ritornare? Molto semplice, risponde lei. Scende alcuni gradini della stazioncina, si posiziona davanti alla porta d’arrivo e preme un pulsante. E’ come un lift! Precisa. Sul tipo della cremagliera / lift che abbiamo scoperto per caso a Biella, il mese scorso: là in pochi minuti si passa dal “Piano” al “Piazzo”, cioè dalla cittadina moderna posta in basso alla graziosissima parte superiore tradizionale.

Occorre un biglietto? Se l’avete, meglio, precisa la nostra interlocutrice; andrebbe acquistato prima, in centro. Ma se non lo avete, fa lo stesso! Ride.

Il cane è bagnato (naß), precisa; gradite che scendiamo insieme o preferite non stare con lui? E perché mai rinunciare a questa piacevole compagnia? La presenza del cane è quanto mai gradita: molto bello e simpatico. Come si chiama? Si chiama Thau e ha sei anni.

Accarezziamo Thau che ci rivolge uno sguardo pieno di tenerezza.

“Loro vengono da Vienna?” domanda.…Vienna….il centro dell’Arte, della Cultura, della Musica…Così avrà pensato per rivolgerci simile domanda. Ne siamo lusingati.

“No… Siamo italiani, di Bologna”.

“Ah… Bologna…. Sì, l’ho in mente…..”

Cara Signora, ma qui piove sempre così tanto?

“Oh no” risponde lei, che è senz’altro lucernese. “Abbiamo avuto, nei giorni scorsi, sole e trenta gradi: era ora che piovesse!”

Il piacevole incontro si conclude qui.

Nel pomeriggio ci riposiamo, in vista del concerto.

 

Arriviamo al KKL con un certo anticipo.

Rispetto allo scorso anno, mi sento di più a mio agio: il luogo è divenuto familiare. Sì certo, l’emozione è sempre profonda, ma, in qualche modo, riesco ad imbrigliarla.

Con la mia prenotazione on line, non avrei potuto scegliere due posti migliori, anche se ammetto che il risultato è, in parte, frutto di una certa fortunata casualità. Non sai mai che cosa possa succederti allorché devi districarsi tra una lingua straniera -per lo più l’inglese con le sue sintetiche e talvolta ostiche…polisemie- e complicazioni informatico / bancarie e, per sovrammercato, avendo davanti agli occhi la mappa della sala del KKL, chiara in teoria, ma sovente in grado di lasciarti qualche dubbio.

E’ andata benissimo, assai meglio dell’anno scorso, e senza particolari differenze di spesa.

Ecco: Orgelempore Rechts; Reihe 1; Paltz 1 und 2.

Cioè: Galleria dell’Organo, a destra; Fila 1; Posti 1 e 2.

Il che significa il posto migliore, preferibile, a mio gusto, della prima fila in platea (assai più costosa!).

Come dire: respireremo con l’Orchestra. I musicisti li avremo di spalle, ma vedremo in viso il Direttore

Mauro mi fa i complimenti per l’ottima scelta.

Notiamo che le lunghe file che compongono il nostro settore non sono interrotte da un corridoio centrale, contrariamente alla platea. Strano, perché, per il resto, questo luogo è stato costruito con la massima attenzione per quanto concerne la sicurezza.

Con un minimo di ritardo i musicisti cominciano a fare il loro ingresso, alla spicciolata….

In frac.

Gabriele Geminiani, violoncello; Gregory Ahss, primo violino e Konzertmeister; Jacques Zoon, flauto; Alessandro Carbonare, clarinetto; Johane Gonzales, contrabbasso….. I coniugi Christ, Wolfram e Tania, viole; Raphael, figlio di Wolfram, altro primo violino.

Vediamo subito Lucas Macias Navarro: senza l’oboe non si va da nessuna parte, questo è certo!

Francesco!!!! Francesco Senese… altra garanzia.

Bacioni a distanza con la mano al super timpanista Raymond Curfs.

Giacomo che si guarda attorno; forse ci sta cercando. Vorrei gridargli: Quiiiii, Giacomo, siamo quiiiii! Meglio non dar spettacolo. Giacomo…. ma quale Giacomo di grazia? Giacomo Tesini, andiamo! E quale “Giacomo” ha da essere?

Tutti gli altri. da informazioni attinte qua e là ci sono due “matricole, entrambe italiane”: Andrea Manco, flauto -allievo di Jacques Zoon: così maestro e allievo suoneranno insieme- e Marco Toro, tromba, provenienza scaligera.

Non vedo Reinhold Friedrich….Peccato.

Silenzio e suspence.

Il Direttore!!!!!

Musicisti e pubblico amano Chailly e di questo sono felice perché non soffro di gelosie per così dire postume in merito al Direttore.

Qual è il programma di stasera?

Come accennavo sopra, è tutto dedicato a Maurice Ravel.

Brevi note su questa suggestiva, insolita  figura.

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Joseph Maurice Ravel nasce il 7 marzo del 1875 nei pressi di Ciboure, nella regione basca francese, ai confini con la Spagna. Suo padre, Joseph Ravel (1832-1908), è un apprezzato ingegnere civile, di ascendenza svizzera e savoiarda. Sua madre, Marie Delouart-Ravel (1840-1917), è di origine basca, discendente di una vecchia famiglia spagnola, Deluarte o Eluarte.

Ha un fratello, Édouard Ravel (1878-1960), con cui manterrà per tutta la vita una forte relazione affettiva.

All’età di sette anni, inizia a studiare il pianoforte al Conservatorio di Parigi. Durante i suoi studi nella capitale, incontra e frequenta numerosi compositori giovani, e innovativi, adusi a chiamarsi Les Apaches per la loro vita sregolata. Studia musica con Gabriel Fauré per quattordici anni. Ha 39 anni quando scoppia la Prima Guerra Mondiale: a causa della salute cagionevole viene arruolato come autista di camion e di ambulanze, non inviato in prima linea;

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ma è presto riformato per la sua debolezza fisica e psicologica. Il ricordo degli amici uccisi nel conflitto gli ispira una delle sue composizioni più famose: Le tombeau de Couperin, suite per pianoforte, poi orchestrata [5]. Iniziata nel 1914 come tributo all’illustre compositore, organista e clavicembalista francese François Couperin (1668/1733) e terminata nel 1917, è dedicata anche ai diversi amici morti in guerra -alla memoria di ciascuno è intitolato un movimento-.

A partire dal 1927 soffre di una sorta di demenza progressiva, che gli toglie gradualmente la capacità di parlare, scrivere e suonare. Le ipotesi sulla sua patologia sono le più varie e disparate da decenni.

All’inizio degli anni Trenta è vittima di un grave incidente stradale a causa del quale la sua vita artistica diminuisce in modo notevole. Colpito da ictus all’emisfero cerebrale sinistro, non sarà più in grado di leggere la musica, ma può continuare a dirigere l’orchestra. Le sue condizioni peggiorano inesorabilmente fino al 1937 quando, il 17 dicembre, è operato alla testa dal chirurgo Clovis Vincent. L’intervento conferma l’atrofia cerebrale ed esclude la presenza di un cancro. Muore pochi giorni dopo.

Ravel è influenzato non solo da Claude Debussy, del quale quest’anno cade il centenario della morte, ma pure dalla musica russa e spagnola (data l’origine basca), e dal jazz degli Stati Uniti, come si desume dal movimento intitolato Blues della sua Sonata per violino e pianoforte e dal “clima” del Concerto per pianoforte per la mano sinistra, dedicato (1930) al pianista Paul Wittgenstein (1887 / 1961), fratello del filosofo Ludwig, mutilato di guerra.

 

Ecco le nostre meraviglie, nel dettaglio.

Valse Nobles et sentimentales

La Valse

 

Première et Deuxième Suite de Daphnis et Chloé.

Bolero

L’Autore, mago del suono -prendo spunto dalla presentazione dell’evento- sa condurci per mano in mondi sempre nuovi, ricchi di colori, profumi, immagini.

Siamo subito catapultati in un universo pieno di nostalgia per un paradiso che non c’è più.

Valses nobles et sentimentales è una suite costituita da otto valzer composta per pianoforte nel 1911. L’anno successivo è trascritta per orchestra su un’azione coreografica composta dallo stesso Ravel. Ne nacque un balletto dal titolo Adelaide o il linguaggio dei fiori, rappresentato lo stesso anno al Théâtre du Châtelet di Parigi.

La partitura è costituita da una serie di otto valzer: il titolo è un omaggio a Franz Schubert, autore nel 1823 di due raccolte di composizioni per “pianoforte solo” denominate, rispettivamente, Valses nobles e Valses sentimentales.

Ciascun brano è un’interpretazione particolare del valzer viennese dei quali l’Autore stravolge gli stereotipi tradizionali, lineari e ordinati, con sovrapposizioni ritmiche di forte suggestione. La struttura formale è invece semplice perché fondata su due temi che si alternano. Una versione della LSO, diretta da Claudio Abbado.

 

Il brano successivo, suonato senza interruzione rispetto al primo, è La Valse.

Si tratta di un poema coreografico per orchestra dedicato all’amica Camille Chevillard, composto da Ravel tra il 1919 e il 1920, del quale la partitura per pianoforte era una sorta di “bozza”. Attenzione alle date perché hanno un preciso significato.

Su impulso del celebre impresario russo Sergej Djagilev [6] Ravel aveva già, fin dal 1906, il progetto di comporre una sorta di “apoteosi del valzer” sotto forma di balletto, quale omaggio a Johann Strauss, ma lo scoppio della Prima Guerra Mondiale manda a monte quel sogno.

La terribile esperienza del conflitto col trauma che ne segue, comune a tanti altri artisti, è vissuta da Ravel in modo particolarmente intenso -come abbiamo letto nella sua biografia-, muta la sua visione del Mondo e, di conseguenza, anche della Musica.

Come Le tombeau de Couperin ha una doppia dedica ma, in buona sostanza, è un omaggio agli amici morti, così La Valse: il “ballo imperiale che si svolge nel 1855”, per dirlo con le parole dell’Autore, ben percepibile, è costantemente arricchito da tensioni nuove. Tensioni tragiche. Con rimandi alle trincee della Grande Guerra. Impossibile ascoltare questa Musica senza pensarci.

Si decise, in ambito critico, che detta Musica fosse tipica di “un uomo pazzo”. Ma forse i pazzi erano coloro che così lo definivano. La vicenda del poeta tedesco Hölderlin può insegnare qualcosa in proposito.

Scrive, in merito a La Valse, un illustre musicologo, Mauro Mariani: “…..Ecco che, dopo parecchi tentativi di emergere dalla bruma, il tema [del valzer] appare: è leggero, frivolo, frizzante, porta con sé un senso di felicità……Questo tema sale, scoppia, trionfa, poi cade, si dissolve, riappare ancora più esasperato, sale di nuovo in un frenetico crescendo fino al più parossistico fortissimo. Allora lo scatenamento orgiastico del ritmo e il bagno voluttuoso di suoni s’impossessano irresistibilmente dell’ascoltatore”.

Ecco  una versione targata, a sua volta,  London Symphony Orchestra.

 

 

Impressioni istintive di una semplice spettatrice. Giocoforza frammentarie.

Partenza con slancio….Breve pausa, poi si riprende.

Con le due arpe -il cui suono è evidente, come sovente non succede- ci tuffiamo in un sogno romantico che ha però un qualcosa di..sgembo.

Il terzo valzer è molto ritmato…ti sembra di essere ad una sagra paesana. Regnano Lucas e Jacques, Oboe e Flauto, mentre la festa si trasferisce a palazzo.

Assolo di Oboe.

Ombre drammatiche affiorano ogni tanto. Ma i violini sdrammatizzano….forse per nascondere un tormento che affiora pian piano?

Trombe e Arpe sottolineano il passaggi che il sapiente Direttore sa guidare.

I Contrabbassi avvertono che il mistero si avvicina…i Clarinetti a sottolineare.

Tamburelli, Basso Tuba, Timpani..a sottolineare l’ansia di trattenere un mondo fatato che sta per scomparire.

In conclusione c’è un non so che di scomposto.

Applausi calorosi, gioia con un sentimento di inquietudine, trasmesso perfettamente dall’orchestra.

 

Breve intervallo.

 

Che cosa accade quando i bambini crescono e diventano adulti? Il Maestro Chailly ha pensato di dedicare l’inizio della seconda parte alla Pubertà e all’Adolescenza.

L’opera di Ravel Dafnis e Chloé narra la vicenda di due giovani pastori cresciuti insieme senza madre, né padre; giunti all’adolescenza, verso i 13/15 anni, essi scoprono l’amore.

Ravel mantiene durante l’intera sua vita un certo spirito fanciullesco, sognatore, rivolgendo l’attenzione verso il mondo della fiaba e dell’infanzia [7]. Compone dunque questa incantevole musica (1909/1912) per la celebre compagnia dei Balletti Russi, cui ho fatto cenno sopra, la quale rappresenta, per la prima volta, l’opera nel 1912; lo stesso anno è messo in scena il Prélude à l’après midi d’un faune (1890/1894) di Claude Débussy, cui spesso Ravel è accostato, non sempre in modo proprio.

Dafnis e Chloé è un balletto /sinfonia coreografica (così definita dall’Autore: Symphonie choréographique) in la maggiore, strumentato per orchestra e coro, in un unico atto suddiviso in tre parti, rappresentato a Parigi nel giugno 1912 con la coreografia di Michel Fokine -scenografie originali di Léon Bakst e protagonista maschile il leggendario ballerino Vaclav Nižinskij-. Il lavoro è ispirato al romanzo greco di Longo Sofista (II / III secolo a.C.) -romanzo che, a cominciare dal Rinascimento, ha ispirato scrittori, pittori e diversi artisti- basato sull’amore bucolico e sensuale tra il capraio Dafni e la pecoraia Cloe. Nostalgia per la mitica antica Grecia, che pervade sia Longo Sofista, sia Ravel il quale, in ottemperanza al gusto del suo tempo, ritorna all’antichità classica, dopo l’epoca romantica.

“E’ stata mia intenzione comporre un vasto affresco musicale, meno attento all’arcaismo che alla fedeltà verso una Grecia dei miei sogni, che volentieri si congiunge alla Grecia che hanno immaginato e dipinto gli artisti francesi della fine del XVIII secolo”. Così lo stesso Ravel.

Egli trae dall’opera anche due suites (1911 / 1912), che la nostra Orchestra, così articolata nei suoi strumenti, ci presenta stasera.

Ognuna è suddivisa in tre parti: Nocturne, Interlude, Danse guerrière, la prima; Lever du jour, Pantomime, Danse generale, la seconda (e più celebre).

Anche il pubblico è coinvolto in pieno.

Drammatica prima suite, seguita dalla bucolica seconda in cui il flauto di Jacques Zoon si esprime al massimo.

Eccola, nella versione diretta da Seiji Ozawa.

La Danse generale alla fine è un’autentica esplosione.

Tutti gli strumenti possibili e concepibili, oltre a quelli tradizionali: nacchere, tamburello, triangolo, celesta, glockenspiel……

Il transito ideale verso l’ultimo brano, il celeberrimo Bolero [8].

In breve la storia di questa composizione, la più celebre di Maurice Ravel.

La celebre danzatrice Ida Rubinstein -eccola ritratta da Valentin Serov, (1910)-

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chiede a Ravel di comporre un balletto spagnolo di grande effetto da inserire nel proprio repertorio. Il musicista scrive il brano -della durata di circa 20 minuti- concentrandosi su un unico tema, senza mutazioni ritmiche o melodiche (do maggiore), se non nella parte finale. Il fascino sta proprio in questa ripetizione del tema, posto ad ogni istante in una luce diversa, con un fantastico crescendo affidato alla variabilità del caleidoscopio strumentale.

La prima esecuzione ha luogo nel 1928 all’Opéra di Parigi con il corpo di ballo della Rubinstein: un notevole successo.

Poi, a inizio 1930, abbiamo l’edizione concertistica, preceduta dalla trascrizione del brano per pianoforte, a due e a quattro mani. Da allora si è sempre preferita la versione da concerto, tralasciando il balletto.

Ma è con una grande orchestra, quale, ad esempio, quella di Lucerna, che il Bolero può essere apprezzato come merita.

Inizia il Flauto; poi Clarinetti…Corni….via via Archi e Arpe…Sassofono…Trombe…Basso Tuba…..Tutti insieme in una meraviglia elettrizzante.

Finalmente ho potuto acciuffare, almeno nel finale, la versione cui abbiamo assistito. Siamo pure visibili, sulla destra.

 

Il pubblico applaude senza sosta.

Una bella foto del trionfo, opera di Priska Ketterer.

lucerna-2018-priska-ketterer

 

Ci dirigiamo verso l’uscita degli Artisti, situata sul lato sinistro del KKL. E’ il luogo in cui  i componenti di questa Orchestra che si riunisce una volta all’anno -Magia di pura marca abbadiana!- s’incontrano. Gioia,  battute, racconti; la felicità di abbracciare le new entries. Par di vederli.

Siamo al mattino del primo giorno di prova; le partiture  sono già giunte a tutti  via mail con largo anticipo dando  loro  modo di assimilare la Musica.

Me lo spiegava Giacomo Tesini quando ci siamo incontrati a Oropa, in luglio, durante il seminario Vivere è Interpretare a cura della Nuova Associazione Culturale Accademia, ben nota.

Quest’anno non ce li lasciamo scappare, i nostri maghi di Lucerna.

Eccoli qua.

Ne nomino solo alcuni. Gabriele, Johane, Francesco….Saluto tutti, o quasi… Compresi, finalmente, Wolfram e Tania Christ. Di lei mai dimenticherò le lacrime mentre suona durante il concerto commemorativo del 6 aprile 2014. Il primo ritrovarsi dopo la dipartita di Claudio Abbado, tutti loro insieme, in quella sala del KKL. Il primo brano (Allegro moderato, il primo movimento dell’Incompiuta di Schubert) interpretato  a podio vuoto per sottolineare la presenza forte di lui in quell’assenza fisica. Per il seguito della serata dirigerà Andris Nelsons, con grande competenza e profondo rispetto.

Dapprima il concerto per volino e orchestra di Alban Berg, Alla memoria di un angelo; ma essi, Isabelle Faust in testa, non pensano alla dedicataria originale del brano,  la giovanissima Manon Gropius (figlia di Alma Mahler e Walter Gropius), morta giovanissima nel 1935, ma a quell’uomo che li aveva formati per un decennio; altri per ancora più tempo.

Bruno Ganz, grande interprete di Hoelderlin,  poeta amatissimo da Abbado, legge, con voce trepidante, Brot und Wein, Pane e Vino, l’elegia in cui il grande poeta tedesco prefigura una sorta di incontro tra la cultura e sensibilità greca e l’universo cristiano.

Infine, il commovente ultimo movimento, Adagio, della Terza Sinfonia di Gustav Mahler.

Silenzio del pubblico, alla fine. Così aveva chiesto con ragione Nelsons.

Stasera  non dico nulla a Tania; mi limito a stringerle forte le mani.

Non era la sola Tania a piangere. I musicisti, coraggiosi, han “tenuto botta” fino all’ultimo, col cuore in tumulto, stringendo i denti; ma poi, al termine, si sono lasciati andare, l’uno nelle braccia dell’altro. Guardate i due clarinettisti, Maria Francesca Latella e Alessandro Carbonare, ad esempio. L’evento è custodito da un intenso DVD che è testimonianza di vita e amore. Non ho memoria di un Direttore tanto amato dai suoi.

“Per tutti noi è stato duro affrontare gli applausi dopo il concerto, dopo le note finali dell’Adagio della Terza di Mahler.

Eravamo tutti molto scossi. Nel corso della mia vita non ho mai visto un così forte dolore collettivo, con le lacrime che scorrevano liberamente sul palco. Di solito cerchiamo di accendere emozioni nel pubblico, ma stavolta eravamo noi quelli colpiti dall’emozione” così Wolfram.

 “Se è triste che egli [Claudio Abbado] non sia più qui di persona, il suo spirito resta con noi e ci accompagna”.  Ancora Wolfram in un’intervista rilasciata tempo fa.  Pure nel prosieguo del tempo quello spirito resterà, aggiungo, con altri fantastici Direttori; come Riccardo Chailly, chiamato, com’è noto, appena ventenne da Abbado a fargli da assistente alla Scala.

Ritorno a stasera, sempre commossa quando mi trovo con loro. Pensieri, sentimenti…..

Abbraccio il giovane Raphael: spero di vederTi presto con l’Orchestra Mozart. Sorride.

Lucas, Lucas!!!! Finalmente posso salutarti. La cittadina natale del meraviglioso oboista, Valverde del Camino in Andalusia, gli ha scherzosamente intitolato una piazza, dopo i recenti trionfi (anche) quale direttore d’orchestra, cui si sta aprendo un luminoso avvenire. Emozionante  l’immagine, pubblicata su face book a cura di un gruppo di amici (capitanato dal padre, José Manuel) qualche settimana fa,  presa di schiena, di Lucas  con in braccio uno dei suoi due bambini.  Il piccolo sembra chiedere al papà ma sei davvero così importante?

Giacomo Tesini, sempre molto affettuoso, il quale, appena giunto sul palco ci aveva cercati con lo sguardo, chiede se siamo interessati, domattina alle ore 10:00, alla prova generale dell’Orchestra in vista del concerto che si terrà la sera.

Certamente, grazie, carissimo! Ci dà i biglietti (gratuiti) che ci consentiranno di entrare.

Complimenti, in extremis, ad Alessandro Carbonare, estasi nel clarinetto.

Siamo tra noi, in famiglia.

Di lontano, Andrea Loescher, bionda moglie del Grande Capo Michael Haefliger, ride soddisfatta. Non sbagliano un colpo, loro.

A domani.

 

SABATO, 25 AGOSTO

Giungiamo puntuali.

Sono già tutti sul palco, in abiti sportivi, attenti e concentrati.

Arriva subito il Maestro, in maglietta rossa a maniche corte e un asciugamano attorno al collo per detergere il sudore.

Si inizia.

Come aperitivo i musicisti attaccano con Happy Birthady to you, dedicato non solo al Festival nel suo ottantesimo genetliaco, ma, in primo luogo, a Riccardo Chailly, che festeggia il trentesimo anniversario di presenza lucernese.

Il Direttore ringrazia, felice.

Che si suonerà come terzo concerto?

Due brani di Richard Wagner: Ouverture to Rienzi e Ouverture to the Flying Dutchman e la Sinfonia n. 7 di Anton Bruckner, in mi maggiore. Lo stesso programma che presenteranno alla Scala il prossimo 14 ottobre, prima della trasferta in Cina.

Rienzi, l’ultimo dei tribuni (Rienzi, der Letzte der Tribunen) è il titolo della terza opera di Wagner, composta fra il 1837 e il 1840, ispirata all’omonimo romanzo di Edward Bulwer-Lytton (britannico, 1803 / 1873).

Portata in scena per la prima volta a Dresda, il 20 ottobre 1842, segna un trionfo per il musicista, allora quasi sconosciuto. Un trionfo per un compositore, all’epoca ancora pressoché sconosciuto, che, anche grazie a questo successo, si assicura il posto di Maestro di Cappella nel Teatro di Corte. L’opera risente ancora dello stile del Gran Opéra francese (con uno sguardo a Meyerbeer e Halévy -sic! Erano di origine ebraica…-) [9]: questo il motivo, tra l’altro, del trionfo.

Un esempio, in mancanza dell’originale lucernese, sempre difficile da acquisire, per un motivo o per l’altro: l’interpretazione, risalente a maggio 2012, da parte dell’Orchestra dell’Università di Musica Franz Liszt (giochiamo in casa)  di Weimar – di dove, sennò?-:

 La trama dell’opera è ispirata alla vicenda storica di Cola di Rienzo, il notaio romano del Milletrecento, il quale, negli anni centrali del secolo, tentò di restaurare in città la Repubblica ispirandosi all’antica Roma e facendosi nominare Tribuno della plebe.

Già dall’opera successiva, L’olandese volante, Wagner rinnegherà lo stile precedente per muovere i suoi primi passi innovativi e veramente personali

L’olandese volante (Der fliegende Holländer) è conosciuto pure come Il vascello fantasma.

E’ la prima opera romantica di Wagner, composta inizialmente come atto unico, in contrasto con la tradizione. Oggi viene però eseguita generalmente in tre atti. Il tema centrale è (come in altre opere) l’amore incondizionato come strumento per il raggiungimento della redenzione.

Questo lavoro (debutto a Dresda il 2 gennaio 1843) segna la prima drastica presa di distanza dall’opera convenzionale. Le forme chiuse sono quasi abolite: la melodia procede quasi senza interruzioni e in essa compaiono i primi Leitmotive, melodie associate a personaggi, oggetti o concetti astratti. Essi sono tutti introdotti dalla Ouverture.

La storia è ispirata dalla leggendaria vicenda dell’Olandese Volante, un capitano di mare condannato a navigare fino al giorno del giudizio.

Nella sua autobiografia Wagner confessa come l’ispirazione gli sia nata a seguito di un viaggio tempestoso e drammatico da lui compiuto nell’estate 1839. Accanto a tale esperienza diretta ci sarebbe pure una fonte letteraria: cioè un’antica leggenda marinara di cui parla Heinrich Heine nel suo Dalle memorie del Signor Schnabelewopski.

Brani ricchi di suggestione nei quali alla solenne maestosità, sottolineata dagli ottoni, si alternano momenti romantici e temi gioiosi.

Ecco   un’esecuzione dell’Orchestra nazionale sinfonica ungherese, diretta da Janos Kovacs.

 

Il Direttore Chailly non risparmia all’Orchestra spiegazioni e ripetizioni con paziente trasporto.

Intenso scambio con i musicisti; peccato con comprendere le parole: siamo a distanza e le lingua usata è per lo più l’inglese, alternato al tedesco; ma intuisci una notevole intesa.

Approfittiamo dell’intervallo per avvicinarci al Maestro e ringraziarlo: sia per gli stupendi concerti diretti qui a Lucerna, sia, tengo a sottolinearglielo, per l’indimenticabile evento cui abbiamo assistito in televisione lo scorso giugno: il “Concerto per Milano” con la Filarmonica della Scala.

In particolare l’invito da lui rivolto al pubblico, prima dei Quadri da un’esposizione di Modest Mussorgsky, a riflettere: “Nei ‘Quadri’ sono i nostri sentimenti, perché no, le nostre debolezze, la nostra vita….Pensate a tutto questo!”

Riccardo Chailly  ringrazia e ci saluta con tanta cordialità.

Il terzo brano è la Settima Sinfonia in mi maggiore di Anton Bruckner (Ansfelden, 1824 / Vienna, 1896).

Composta nel 1881 /1883, rappresentata per la prima volta a Lipsia due anni dopo, è dedicata a Re Luigi II di Baviera, il tragico Ludwig, ammiratore e sostenitore di Richard Wagner.

Articolata in quattro movimenti -Allegro moderato; Adagio; Scherzo: molto veloce; Finale: mosso, ma non troppo veloce-, soprattutto il secondo tempo, l’Adagio, è un autentico omaggio al grande musicista tedesco, nell’anno della morte di lui; un lungo addio molto solenne.

Della morte di Wagner (avvenuta il 13 febbraio 1883 a Venezia) Bruckner aveva avuto una sorta di presentimento a inizio anno, come confidava per lettera ad un amico; e infatti, proprio mentre era impegnato con l’Adagio, la notizia del decesso. Decide di inserire nell’organico le cosiddette tube wagneriane, invenzione del celebre Adolf Sax [10], ma così caratteristiche nell’opera di Wagner da venire da essere designate col nome di lui anziché con quello del loro ideatore.

Secondo gli esperti -ma, come al solito, ciò è rilevato anche da uno spettatore sensibile, pur non esperto- la Sinfonia ha un che di febbrile, sofferente, una sensualità dolorosa; tanto che Luchino Visconti scelse proprio quell’Adagio come colonna sonora di uno dei suoi indimenticati capolavori, Senso (1954).

All’inizio, tremolio degli archi…..Oboe, Flauto, Clarinetto si aprono al tema principale…poi tutti..

Adagio solenne, evocativo, grandi sonorità bruckneriane che pian piano sembrano sfumare quasi nel silenzio.

Molto ritmico, veloce lo Scherzo…sembra di essere in battaglia.

Ai contrabbassi rispondono gli Ottoni…Brevissima pausa, quasi un valzer.

L’inizio del finale è sereno…poi si fa drammatico….. Alla fine…quanta Serenità.

Se chi ha la bontà di leggermi dispone pure, spero, della pazienza per vivere nel profondo la complessa sinfonia bruckneriana, propongo la lettura datane dall’Orchestra di Lucerna (2005) con la direzione di Claudio Abbado. Emozione indicibile nella perfetta intesa tra Musica, Direttore e Orchestra. Tra i leggendari protagonisti, senza dimenticare gli altri: Kolja Blacher, primo violino e Konzertmeister; Wolfram Christ, prima viola; Natalia Gutman, primo violoncello e Sabine Meyer, primo clarinetto.

Al termine di ogni movimento: una breve pausa, che Abbado valorizza per ringraziare i musicisti attraverso sguardo e mani. E’ di una felicità contagiosa, pare dica a tutti loro: Avanti, avanti così! Stiamo davvero volando. In conclusione, manda all’indirizzo dei suoi baci sulla punta delle dita come un fanciullo al colmo del divertimento.  Per chi assiste, anche a distanza di anni, come me, un’esperienza fantastica, irripetibile. Perché, è chiaro: essi, grazie a quella guida, non interpretano al meglio la Settima Sinfonia di Anton Bruckner, SONO la Settima Sinfonia di Anton Bruckner.

 

 

 

 

 

Arrivederci, amatissimi Amici. Vi abbraccio con tutto il cuore.

 

Usciamo all’aperto.

Dopo lo Spirito, ci dedichiamo al…Corpo.

Per la precisione a certi dolci caratteristici del luogo.

Ci rechiamo in uno dei negozi di Bachmann, tradizionale catena di leccornie.

Qui approfondiamo la nostra cultura storico-gastronomica.

…Per generazioni gli agricoltori della regione di Lucerna hanno ricavato un prezioso succo dalle pere coltivate con amore in vasti frutteti. Poiché detto succo si manteneva integro per un periodo limitato, gli agricoltori escogitarono un nuovo metodo di conservazione: le loro mogli trasformarono -mescolandovi una certa quantità di zucchero- il succo non consumato nel breve periodo in uno sciroppo, da servirsi con pane, patate bollite, formaggio: da 100 litri di succo di pera si ricavavano 4 kg. di delizioso sciroppo. Col tempo lo sciroppo divenne un ingrediente base del pane allo zenzero (Lebkuche), il panpepato lucernese, tipico del periodo natalizio.

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Tagliato a fette per tradizione era (ed è servito) spalmato di burro accompagnato da panna leggermente montata

Oggi questo dolce si trova tutto l’anno. Ne acquistiamo un esemplare da gustare a casa.

Per tradizione è pure servito insieme ad un vero Träsch lucernese: distillato a base di pere e/ o mele, mescolato ad un caffè leggero.

 

Pranzo piacevole al locale scoperto l’anno scorso: Nix an der Laterne, sul quale mi sono intrattenuta in occasione della precedente visita.

Breve riposo e Messa vespertina in Cattedrale, sempre evocativa, anche per la presenza di un giovane, simpatico Parroco.

Rinveniamo piacevoli tracce: una coppia si è appena sposata e ha voluto lasciare un segno di sé.

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Scendiamo verso il centro cittadino.

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DOMENICA, 26 AGOSTO

Già di partenza? Eh…sì.

Lasciamo le valigie in deposito all’albergo e compiamo un giretto di commiato da questa città, avara di soddisfazioni dal punto di vista del godimento dei suoi dintorni, a causa delle cattive condizioni atmosferiche -a quando il Pilatus? Vallo a sapere…-, ma generosa, oltre alle gioie musicali, per quanto concerne strade, scorci suggestivi, monumenti.

Ripassiamo davanti alla Franziskaner Kirche o St. Maria in der Au (“Sul prato”), della quale ho scritto nel Diario dello scorso anno, nella puntata dedicata a Lucerna.

L’edificio, gotico, fu eretto nel secolo XIII e rifatto nel 1551/63; conserva della costruzione originaria solo il presbiterio. Nell’interno, a tre navate, notevoli il pulpito, opera di Niklaus Geisler -1628, lo stesso che ha diretto i lavori di ricostruzione della Hofkiche-, gli stalli (risalenti a circa vent’anni dopo) e la cappella in fondo a sinistra, più antica (del 1434), coperta di volte a rete e ornata di stucchi del 1626, della scuola di Wessobrunn.

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A zonzo per la città senza una precisa meta, incrociamo alcuni alberghi suggestivi.

 

Come questo:

L’Uomo Selvaggio, risalente al 1517.

Gasthaus zum wilden Mann (come rivela l’insegna) o Hotel du Sauvage, secondo quanto è scritto sulla fronte.

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Un “quattro stelle”, con prezzi consequenziali; la “catena” è quella dei Romantik Hotel.

Chissà che non ci capiti l’occasione….

Gradevole pure, almeno all’apparenza, il Basler Tor

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Uno sguardo d’insieme alla “nostra” città.

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Ed ecco il Guest House Rösli, cioè Cavallino.

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Il tempo stringe, ohibò. Riprendiamo i nostri bagagli e ci dirigiamo verso la stazione.

AUFWIEDERSEHEN, LUZERN!

[1] V., nel mio Diario 2017, la puntata dedicata a Lucerna in cui è spiegata l’origine e la ragion d’essere del Festival .

[2] La denominazione Dumbarton Oaks, data da Stravinskij al suo lavoro, deriva dal nome di una tenuta posta nel distretto americano di Columbia; il suo proprietario, Robert Woods Bliss, e la moglie Mildred incaricarono della composizione il musicista per festeggiare il loro trentesimo anniversario di matrimonio. Stravinskij lavorò a questo concerto in Svizzera dalla primavera del 1937 e lo terminò a Parigi il 29 marzo 1938. Bliss stesso si fece carico dei costi sostenuti per la prima esecuzione che avvenne in forma privata l’8 maggio 1938 nella sua proprietà; la direzione fu affidata all’illustre musicista francese Nadia Boulanger poiché Stravinskij –ammalatosi nel frattempo- si trovava in ospedale. L’autore trascrisse poi il concerto in una versione per due pianoforti. Quest’opera si può intendere come un omaggio a J.S. Bach; infatti i richiami ai “Concerti Brandeburghesi” sono evidenti: sia nell’alternanza fra il “tutti” e i solisti, sia nell’uso di tre violini e tre viole, sia in quello sapiente del contrappunto. Dove la personalità stravinskiana emerge chiaramente è nel ritmo le cui cadenze, di una inconfondibile mobilità, richiamano La Sagra della Primavera. Il concerto è in tre movimenti; nel primo, Tempo giusto, la musica ispira una limpida serenità appena scalfita da inquietudini dovute al ritmo intricato. Il secondo movimento, Allegretto, ricorda il Falstaff di Giuseppe Verdi nei passi suonati dal fagotto, rendendo così il brano spiritoso e allegro. Nel terzo ed ultimo movimento, Con moto, il ritmo è usato in maniera più enfatica ricordando le opere giovanili dell’autore.

 

[3] E’ un personaggio crudele della mitologia slava; di solito rappresentato come un uomo anziano, emaciato, dall’aspetto sgradevole, ricchissimo ma molto avaro, che cerca sempre di concupire qualche giovane ragazza. Il passatempo preferito di Koščej è custodire e ammirare il suo oro posto in bauli da lui approntati. È detto «l’immortale» perché non può essere ucciso se non viene prima distrutta la sua anima che però egli -astutamente- tiene separata dal corpo; ben nascosta dentro un ago, all’interno di un uovo, dentro un’anatra, collocata dentro una sacca di pelle, all’interno di una cesta di ferro sepolta ai piedi di una grande quercia situata nella misteriosa isola di Bujan, in mezzo al vasto oceano. Ha il potere di trasformarsi in un drago ed è l’equivalente maschile della strega Baba Jaga. Nella lingua russa parlata si dice “magro come Koščej” o “avaro come Koščej”.

[4] V. mio Diario di viaggio 2017, puntata dedicata a Lucerna, e, in particolare, quella del 10 agosto.

[5] L’opera non è strutturata secondo il classico canone barocco, a cui si ispira, ma lo imita, riportando sia movimenti di danza (Furlana, Rigaudon, Minuetto) che brani tipicamente strumentali, come il Preludio, la Fuga, la Toccata.

 

[6] Sergej Pavlovič Djagilev (Selišči, 1872/ Venezia, 1929) è stato un impresario teatrale russo. Fu organizzatore e direttore artistico di spettacoli di balletti; famoso in primo luogo per aver dato vita alla compagnia dei Balletti russi (1911) da cui iniziarono le carriere artistiche di celebri danzatori e coreografi, oltre a quella di Igor’ Stravinskij.

 

[7] Pensiamo solo all’opera lirica L’enfant et les sortilèges (1925) e ai cinque pezzi per pianoforte (1908/10), poi trascritti per orchestra, ispirati ai racconti di Charles Perrault e di Marie-Catherine d’Aulnoy: Ma mère l’oye.

 

[8] Si tratta di una danza di origine spagnola risalente al XVIII secolo

[9] Il grand opéra è un genere operistico che ha dominato la scena francese fra gli anni venti e gli anni ottanta del diciannovesimo secolo, sostituendosi alla cosiddetta tragédie lyrique, praticata in precedenza. I primi esempi compiuti di grand opéra sono: La muta di Portici di Daniel Auber (1828) e Guglielmo Tell del nostro Gioachino Rossini (1829).

 

 

[10] Antoine-Joseph Sax, detto Adolphe (1814 /1894) inventore e costruttore di strumenti musicali belga, dalla vita drammatica. Deve la fama soprattutto all’invenzione del sassofono.

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