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“L’Orchestra Mozart è necessaria” Behrang Rassekhi (Viola)

 

“Orchestra Mozart – Perfetta semplicità” Daniele Carnio (Contrabbasso)

 

Eccoci alla terza giornata: ultimo appuntamento, a sua volta denso di emozioni.

Giungiamo rapidi in teatro, quasi senza accorgercene.

E’ tutto così naturale: che si fa stasera? Si va ad ascoltare “la Mozart”! E’ ovvio, direbbe l’amico Luciano, onnipresente. Una gioia pure lui, anche se talora un po’, per così dire, debordante. Ma in Musica da lui imparo molto e quindi passo sopra a  certa sua, sia pur saltuaria, verbosità.

Si va a viverla, la nostra Orchestra.

Eccoli, ragazze e giovanotti….Preparazione iniziale, come di rito, Konzertmeister a guidare col sorriso e, poco dopo, entra il Giovanotto-Capo. Penso che sarebbe contento se sapesse che l’ho soprannominato così, tra me e me.

 

Uno sguardo d’intesa all’intorno, un gesto lento delle braccia perché si parte in Pianissimo.

 

Franz Schubert, Sinfonia n. 8 in Si minore, D 759, comunemente chiamata Incompiuta (in tedesco: Unvollendete)

Schubert iniziò a comporre la Sinfonia in Si minore a Vienna nell’ottobre 1822, con l’obiettivo di offrirla al Musikverein für Steiermark di Graz che lo aveva nominato socio onorario; peraltro sei anni dopo, alla sua morte, risultavano completati solo i primi due movimenti, Allegro moderato e Andante con moto; mentre il terzo (Scherzo) era appena impostato.

Non sono noti i motivi che indussero il musicista a non ultimare la sua opera; anche se era tipico di Schubert, complice il carattere inquieto (ipotizzo), intraprendere una composizione e poi accantonarla per qualche tempo. Forse si può immaginare in lui il desiderio di ricerca verso nuove soluzioni per varcare i limiti posti da Beethoven, cui Schubert guardò sempre come ad una sorta di stella polare.

Alcuni hanno ipotizzato che il musicista possa aver abbozzato un finale che è diventato il grande Entr’acte (in Allegro moderato) in Si minore dalle sue musiche di scena per Rosamunde, ma ciò è pura ipotesi [1].

La partitura di questa Sinfonia fu per caso trovata a circa 37 anni dalla morte di Schubert; venne eseguita per la prima volta nel 1865 a Vienna sotto la direzione di Johann Herbeck (Vienna, 1831 /1877).

Nel prosieguo del tempo vi sono stati alcuni tentativi di completamento da parte di musicisti e musicologi; ma oggi l’opera (catalogata da Otto Einrich Deutsch come D759) viene sempre eseguita nei suoi due soli movimenti scritti interamente da Schubert; e l’odierna esecuzione dell’Orchestra Mozart non fa eccezione.

Un elemento, al di là dell’apparenza, assai significativo.

La tonalità di Incompiuta -ma come l’avrà chiamata il suo Autore, se mai lo ha fatto?- è inusuale per una sinfonia del periodo classico: né Haydn, né Mozart, né Beethoven scrissero sinfonie in Si minore. Ciò costituisce un sintomo che si tratta di un’opera di passaggio: dal Classicismo al Romanticismo. Anzi alcuni la chiamano proprio la prima sinfonia romantica. Ne fosse o meno consapevole il suo Autore.

Ho vissuto questo brano dal vivo stasera nell’interpretazione dell’Orchestra Mozart, diretta da Bernard Haitink-, l’ho ascoltato e riascoltato: ogni volta vi trovi qualcosa di nuovo e di più intenso.

Tutta la sinfonia è intessuta di una malinconia sospesa nell’aria, sembra che l’Autore cerchi, quasi con disperazione, al di là della grigia atmosfera quotidiana, un raggio di luce.

Un incantevole cromatismo dato dalla varia strumentazione: due flauti, due oboi (molto impegnati; e Miriam dà il meglio di sé, col collega Andrey), due clarinetti, due fagotti, due corni, due trombe, due tromboni, archi e timpani.

Il primo movimento (Allegro moderato) si apre con quel Pianissimo, introdotto da violoncelli e contrabbassi, che ti fa tremare…Poi arrivano viole e violini. Clarinetto e oboe ti parlano del primo tema, che è una melodia dolce e triste….Sembra di sentir qualcuno singhiozzare. E’ inevitabile pensare a Franz: quali dolori, delusioni lo affliggevano quando dal suo cuore scaturiva quel ruscello in parte sporco di fango, ma per questo ansioso di limpidezza? A me Schubert ricorda sempre l’acqua, forse perché alcuni anni fa ci fermammo una mezza giornata a Steyr, in Alta Austria, alla confluenza del fiume omonimo con l’Enns, dove egli soggiornò negli anni 1819; 1823 e 1825. Vi compose il delizioso Quintetto per archi e pianoforte La Trota. Tra l’uno e l’altro soggiorno nasce Incompiuta.

Le mie creazioni sono il frutto della conoscenza della musica e del dolore” così Franz Schubert, Diario, 27 marzo 1824.

La tristezza si affievolisce allorché clarinetti e viole espongono il secondo tema, una sorta di danza popolare carica di tenerezza. Ma i pensieri drammatici ritornano, dopo la breve parentesi di serenità.  Siamo immersi in un dolore cosmico, di stampo leopardiano, come ho scritto in altro commento.

Solitudine e pessimismo anche nel secondo tema (Andante con moto): puoi cogliere con facilità due temi contrapposti, anzi intrecciati, ripetuti -in modo diverso ogni volta- a più riprese, con variazioni, pizzicati, pause (fondamentali in questa sinfonia) che comunicano, più della parola scritta o pronunciata, le profondità dell’Anima. Assolo di oboe e clarinetto. Talvolta ti pare d’intravvedere  se non serenità, almeno una sua speranza, ma per poco. E, alla fine, ritorna il primo tema, affidato in primo luogo ai fiati. La Poesia drammatica sfuma nel Silenzio.

Da ascoltare e riascoltare, come ho scritto. Ben presto ti prende e non ti lascia più.

Insomma essa fa parte del mazzo di fiori musicali dei quali soprattutto la notte percepisci il profumo.

 Applausi pieni di calore; ho l’impressione che il pubblico dedichi il suo affetto, oltre che a Orchestra e Direttore, anche al grande Poeta Schubert.

 

Nella prima puntata ho ricordato, ancora una volta, quanto questa Sinfonia abbia segnato il percorso umano ed artistico di Claudio Abbado, da un lato; e, d’altro lato, -c’è sempre quel filo rosso a unire il tutto-, come essa sia legata a due luoghi emblematici, Lucerna e Tel Aviv.

Ecco, tra le tante “Incompiute” dirette, quella coi Berliner Philarmoniker del 1989, nel Teatro Comunale che la città di Ferrara, grata dell’impegno artistico profuso da lui per oltre vent’anni, gli ha dedicato

 

Altre emozioni.

Ecco un “istante” di quella odierna.

 

 

Di nuovo il nostro Mozart, senza il quale Franz….non sarebbe divenuto SCHUBERT.

Tanto per essere in tema mi viene in mente proprio una preziosa dichiarazione di Bernard Haitink, riportata nel programma svolto a Lugano a inizio aprile. “La grande arte, in un certo senso, è un mistero. Predi un uomo come Mozart. Probabilmente era una persona molto ordinaria e forse nemmeno troppo simpatica [Se pensiamo al film di Milos Forman, Amadeus, è proprio così]. Ma a chi importa? Chi lo sa? In trentacinque anni di vita ha scritto opere della più esorbitante bellezza! Non era poi un così grand’uomo. Era un ometto che amava le barzellette sporche, giocare e perdere molti soldi ed era piuttosto problematico. Ma era un incredibile genio!”

Dunque:

W. Amadeus Mozart, Concerto per violino e orchestra n. 5 in La maggiore K 219

La solista che stasera ci fa compagnia si chiama Vilde Fang.

Nata in Norvegia nel 1986, Vilde Fang ha studiato a Oslo fin da piccola e si è successivamente trasferita in Germania per perfezionarsi con Kolja Blacher alla Musikhochschule di Amburgo e con Ana Schumachenco (bel tipo anche lei: nata in Italia, a Padova, ma di origine ucraino/argentino/ tedesca!) presso la Kronberg Academy.

Nel gergo bolognese, talvolta ironico ed affettuoso, per rimarcare che una persona ha svolto un ruolo di rilievo nella vita di un’altra, ci si riferisce a quest’ultima premettendo l’avverbio ‘Senza’, per indicare il paradosso.

Nel caso di Vilde: ‘Senza’ Maestri la ragazza…..A dire che non le sono mancati ottimi docenti, come i due suddetti.

Viene considerata la più interessante violinista della sua generazione. Nel 2012 le è stato assegnato il prestigioso Credit Suisse Young Artists Award ed è stata invitata per il debutto al Festival di Lucerna coi Wiener Philarmoniker diretti da Bernard Haitink.

Si è esibita nelle più rilevanti sale da concerto e con gli ensemble e direttori più illustri, in Europa e nel mondo. Molto attiva pure nel campo del recital, come solista -e in coppia con Michail Lifits- è stata applaudita in luoghi quali Concertgebouw di Amsterdam, Musikverein di Vienna, Wigmore Hall e Royal Albert Hall di Londra, Carnegie Hall di New York.

Vilde è un’artista esclusiva Warner Classics e le sue registrazioni hanno ricevuto numerosi premi: Classical BRIT, Edison Klassiek, Deutscher Schallplattenpreis, ECHO Kassik, Diapason d’Or e Gramophone Editor’s Choise.

Suona un violino Jean-Baptiste Vuillaume del 1864.

Alta, molto snella, con un semplice abito da sera color champagne, i lunghi capelli legati in modo lieve, Vilde è accolta da un caloroso applauso.

 

Quello di stasera, terminato da Mozart il 2 dicembre 1775 -quindi all’età di 19 anni-, costituisce il quinto, e forse il più importante, tra i cinque concerti per lo stesso strumento attribuibili con certezza a lui. Gli altri sono: K 207; K 211; K216; K 218.

E’ senza dubbio il più eseguito e in esso il violino è trattato con particolare maestria.

Per quanto considerasse il pianoforte come il suo primo strumento, Mozart padroneggiava in modo eccellente la tecnica violinistica, come del resto gli era richiesto dal suo ruolo di Konzermeister presso la corte salisburghese.

 

L’organico orchestrale prevede:

2 oboi; 2 corni; archi (violini primi e secondi; viole; violoncelli, contrabbassi)

Il brano si articola in re movimenti:

-Allegro aperto

-Adagio

-Rondò: tempo di minuetto

Allegro aperto Inizia con orchestra e violino che suonano insieme.

E’ uno dei primi esempi in Mozart di notevole impegno formale nell’ambito di un concerto con strumento solista, con particolare irrobustimento delle strutture della forma-sonata.

L’animata introduzione pare interrompersi per dar luogo ad un Adagio -all’apparenza privo di rapporto con l’Allegro precedente- in cui avviene l’entrata del violino solista, in una poetica melodia; il tema precedente è però ripreso però ben presto dallo stesso violino.

Il Rondò conclusivo, quanto assai elegante, si concede qualche piacevole stravaganza, accogliendo quadretti di sapore turco -era prevista una sorta di mascherata di tutti gli strumentisti in abiti turchi tzigani, all’epoca in voga senza timori! Lo ritroviamo pure in Haydn-, con evidenti reminiscenze delle Gelosie del serraglio, un balletto composto tre anni prima e lasciato incompiuto [2]. Per questo motivo il Concerto è soprannominato Türkish.

Ecco un breve brano di questo concerto suonato proprio da Vilde Frang in altra circostanza.

 

Vilde bravissima,

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è insuperabile nei virtuosismi per così dire a “ondate”.

Il Maestro Haitink si diverte, come tutti i presenti.

Stupenda conclusione insieme: Orchestra e Solista.

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Attimo di suspence.

Il Direttore si è appena complimentato con la violinista, quando, girandosi, per una momentanea distrazione, inciampa nella seggiola posta sul podio (situato un po’ in alto…). Sta per cadere, ma è soccorso da alcuni musicisti. Si rialza con grande spirito, saluta ancora con ampi gesti delle braccia ed esce di scena a passo sicuro, la sua consueta andatura.

Pericolo scongiurato, speriamo. Abbiamo tutti provato un notevole spavento, inutile negarlo.

 

Breve intervallo

Quale migliore conclusione di questa tre giorni memorabile di una bella sinfonia splendente, cioè in Do maggiore?

Certo! La mozartiana, trascinante Jupiter!

Ritorniamo al nostro posto in balconata.

Appena entrati, una piacevole sorpresa: con noi c’è Mariafrancesca! E’ qui perché la Jupiter non prevede clarinetti. Le chiedo notizie del Maestro. Pare si sia ripreso, ma oggi, lei confessa, non stava bene: aveva un po’ di febbre, ma ha voluto dirigere le prove ugualmente. Una roccia, l’uomo.

Riflettiamo un attimo. Questo signore dall’età rispettabile è impegnato con l’Orchestra da poco dopo il 20 marzo: tensione e lavoro continui.

Ma c’è qualcuno con lui? Domando. La moglie, mi risponde la mia cara interlocutrice. Beh, mi sento rassicurata. Le mogli, checché se ne dica, sono sempre utili; o quasi.

Mitica Jupiter, amatissima fin dal primo istante.

 Wolfgang Amadeus Mozart, Sinfonia n. 41 in Do maggiore K551 Jupiter

La sinfonia si articola in quattro movimenti.

-Allegro vivace (do maggiore)

-Andante cantabile (fa maggiore)

-Minuetto e trio. Allegretto (do maggiore)

-Molto Allegro (do maggiore)

Prevede il seguente organico: flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Composizione: Vienna, 10 agosto 1788

 

Un sintetico inquadramento.

Mozart compone le sue tre ultime Sinfonie -in mi bemolle maggiore K. 543, n. 39; in sol minore K. 550, n. 40 e in do maggiore K. 551, n. 41- nell’arco di soli tre mesi, tra giugno e agosto 1788. Era un periodo difficile per lui, sia dal punto di vista personale -la morte in giugno della piccolissima Theresia, a soli sei mesi- che artistico. Dopo i trionfi praghesi, il Don Giovanni a Vienna non aveva riscosso il successo sperato. Donde le gravi difficoltà finanziarie, con pressanti richieste di danaro all’amico e compagno di loggia (massonica), Michael Puchberg.

Ma, paradossalmente ma non troppo, sono proprio i drammi vissuti che gli danno la forza di esprimere quanto di più profondo ed intenso si cela in lui. Nelle tre sinfonie, oltre che in altre pagine cameristiche scritte nello stesso periodo, c’è la sintesi di tutto il sinfonismo mozartiano, culminante nella Sinfonia n. 41.

Piena di luce, espressione per antonomasia della forma-sonata (la troviamo in tutti e quattro i movimenti), maestosa -il nome, Jupiter, cioè Giove, non è del suo Autore, bensì pare le sia stato attribuito dall’impresario londinese Johann Peter Salomon-, unisce la solidità epica del do maggiore alla minuziosa ricerca contrappuntistica con tratti espressivi talora drammatici, ricchi di preziose sfumature. Le pause, studiate, quanto mai emozionanti.

L’Allegro vivace, parte con tre possenti rintocchi, cui rispondono i violini quasi in sordina.

Dalla fusione dei due elementi nasce il “primo tema”, ripreso da tutta l’Orchestra. Poco dopo, ecco il “secondo tema”, proposto dai violini, lieve, sereno.

Quest’ultimo è rielaborato nello “sviluppo” cui subentrerà il tema iniziale, in un perfetto equilibrio, fino a che, nella “ripresa” ci sarà la conclusione in una felice fanfara .

L’Andante cantabile è colmo di pathos, con tre nuclei tematici: il primo sereno, il secondo tormentato, ma rivolto verso il terzo, più aperto.

Si tratta, per dirla in linguaggio tecnico, di una Sarabanda[3] di tipo francese in Fa maggiore, simile a quelle che si trovano nelle Suites per tastiera di Johann Sebastian Bach.

Il Minuetto non ha solo sembianze di danza, ma con le trombe e i timpani ritrova accenti marziali che riconducono la Sinfonia verso gli stilemi del do maggiore. Si tratta quasi di una introduzione verso ciò che seguirà.

Il finale Molto Allegro inizia con un tema di “fuga” che viene ripreso più volte con modifiche e nuovi precorsi di straordinario virtuosismo compositivo.

“L’esultanza di trombe e timpani conclude la Sinfonia: una affermazione di fede nell’ordine e nel razionale, condotta attraverso la limpida, programmatica trasparenza del do maggiore” così Arrigo Quattrocchi in una sua Guida all’ascolto.

Una Musica espressione del tempo in cui è nata: siamo in piena epoca illuministica, alla vigilia della Rivoluzione Francese.

 

Gli ultimi istanti li viviamo tutti con particolare passione: impossibile stare fermi; difficile non cedere alla tentazione di cantare a gola spiegata quello che, per quanto mi riguarda, ho adottato come Inno dell’Orchestra Mozart.

Bernard Haitink è raggiante: stringe mani, saluta ringrazia…..ma….

Pare cedere una seconda volta. Brivido. Si rialza, sorride.

Lorenza Borrani lo sostiene, aiutata da Francesco; e lui si rinfranca, la stringe con affetto, tutti gli siamo accanto.

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Esce di scena (quasi) come se nulla fosse;

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ma provo una strana inquietudine, nonostante i ragazzi, sul palco, si abbraccino felici.

 

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Mi volto per cercare Mariafrancesca, ma è già scomparsa.

Ci allontaniamo. Desidero aver notizie del Direttore e salutare.

Mi dirigo verso l’uscita degli artisti, posta in una laterale di Via dei Monari.

Loro stanno arrivando alla spicciolata, per lo più portando in spalla  lo zaino contenente lo strumento.

Entro e saluto i primi: Danusha con le figlie ormai adolescenti, Timoti Fregni, Mattia Petrilli, la stessa Maria Francesca…tanti altri….

Ciao! Una voce familiare: è Corina Kolbe, venuta da Berlino per assistere alla serata conclusiva. E’ stata costretta ad un viaggio rocambolesco perché non è atterrata a Bologna, ma in una qualche città toscana; qui si doveva disinnescare una bomba risalente alla  Seconda Guerra Mondiale e tutta la città è rimasta bloccata per un intero giorno! Amen.

Mi presenta un’amica tedesca, della quale mi ha parlato altre volte, Lisi.

Eccolo.

Esce il Maestro, sottobraccio a sua moglie; senz’altro più giovane, aria efficiente. Una garanzia. Gli porgo la mano, thank you, e gli tocco con affetto una spalla, così senza formalità. Come dovrebbe essere, perché sono poco lungimiranti quegli assistenti -o talora autonominatisi tali-  che fanno di tutto per allontanare gli artisti dal loro pubblico, specie se questo è costituito da amanti dell’Arte che  sanno essere discreti. Succede ed è successo spesso, a quanto mi è stato riferito; anche in rapporto a figure molto vicine, diciamo. Mi fermo qui, non amo le polemiche, specie se concernenti episodi riferitimi, cui non ho assistito direttamente e persone che non conosco.

E’ una condotta, quella,  che darà “lustra” a chi la inalbera, “farà curriculum” per il futuro, ma che è profondamente anticulturale. Ed è in  contraddizione col  carattere democratico della Musica.

Bernard Haitink mi sorride, sia pure con l’aria affaticata.

Vilde! Da vicino sembra ancora più giovane e pure timida. Con un braccio trascina il suo trolley, con l’altro regge il bel mazzo di calli bianche ricevuto in omaggio al termine del concerto.

Fantastica! Un abbraccio  lo merita, eccome.

Il resto della compagnia. Vorrei trattenerli tutti. Lorenza, Nicola, Josè, Johane, Manuel, Gabriele, Gabrielle, Gisella, i carissimi del Quartetto Mirus (“Ci vediamo alla Dozza per il concerto del Coro Papageno il 26 maggio?” Va da sé!), Giacomo…..

Luca. Con il suo fare scherzoso e familiare mi fa Ciao, bella. Ciao, carissimo Luca. Sempre una gioia stare con te.

Il suo pensiero: “E’ quel suono lì che abbiamo dentro. Un suono pieno di luce” firmato Luca Franzetti, violoncello.

Finalmente saluto Robert Kendell. “I timpanisti sono sempre i più simpatici!” Sorrisone.

Il Prof. Azzaroni è molto soddisfatto. Mi complimento e gli chiedo del Direttore. Mi rassicura: nulla da temere, è stanco data la fatica di queste settimane; e stamani era pure indisposto. Ma quell’uomo, aggiunge, strizzandomi l’occhio, è un…toro. Sguardo d’intesa.

Rientrata in teatro, scorgo Francesco.

Sta salutando con calore due giovani donne: una non la conosco; l’altra è la simpatica Valeria Sacco, fino ad alcuni mesi fa parte dello staff dell’Accademia Filarmonica. Ora lavora a Pavia, sempre in ambito musicale, ma è spesso colta da crisi…di astinenza nei confronti di Bologna e della Mozart.

“Francesco! Senz’altro le belle ragazze hanno la priorità; ma ci sono pure i diritti della ‘mamma’ !!” Ride contento e mi comunica che il 3 maggio, cioè tra poco meno di un mese , sarà di nuovo qui, a Bologna, per un concerto in S. Cristina con gli altri “Solisti della Mozart”.

Un Festival fantastico sotto l’aspetto artistico ed umano, che apre un nuovo capitolo.

Un notevole passo avanti rispetto all’evento del 6 gennaio 2017: meraviglioso sì; ma non era ben chiaro quale sarebbe stato l’avvenire, dopo tanto silenzio.

Si può guardare con “ottimismo realista” al futuro, ora che ci sono buone spalle. Di questo sono sicura: tante persone che hanno frequentato i concerti della Mozart originaria erano presenti in questi giorni; ma vi è stato chi non prova affetto verso la rinascita. Non sarà ostile, forse; ma freddo sì. Lo scrivo con rammarico perché il lascito più prezioso del Fondatore è proprio la costante ricerca, il non arrendersi mai, il dar vita a sempre nuovi progetti, uno spirito che non muore anche se chi lo ha incarnato per anni ora non è più fisicamente tra noi. Questo significa Memoria ed è il contrario di rimpianto inizio e fine di se stesso.

Alla luce di questo mi domando, con un pizzico di ironia -perché no-  dove siano finiti coloro che, a conclusione di ogni concerto di Claudio Abbado, gettavano fiori dalle balconate. Lo hanno fatto, bravi e diligenti, a destra e a manca fino agli ultimi, drammatici appuntamenti lucernesi. Quei poetici omaggi erano diretti a lui  e a lui solo, alla sua persona e basta, evidentemente; non ai musicisti che, con vocazione alta e spirito di sacrificio, ne portano avanti l’insegnamento e la regola di vita. Il rifiuto dell’ “oggi” e del “domani”, il non voler considerare quanto questo lascito sia -e sarà- inscindibile da lui, non ha forse il sapore di un tradimento proprio nei suoi confronti? So bene quanto certe figure, nel caso nostro Claudio Abbado, siano davvero uniche, per di più legate alla  storia personale che ognuno porta in sé;  ma dipingere il mondo coi colori della sola nostalgia è un torto proprio verso chi abbiamo tanto amato.

E’ mio esclusivo pensiero. Preferisco non giudicare la posizione altrui.

 

Concludo questo Diario con alcune battute pronunciate da Francesco Senese in un intervista a il Resto del Carlino del 6 aprile.

Il giornalista, Cesare Sughi, gli domanda dei passi futuri.

Risposta “E’ troppo presto per i dettagli. Li forniremo a tempo debito, quando il board dell’orchestra, di cui anch’io faccio parte, avrà ultimato le sue proposte. Penso che entro l’anno avremo un altro evento importante e che, se ci sarà una buona risposta, l’anno prossimo tornerà il Festival. Oltre ai concerti di Lugano”.

Osservazione di Sughi, il quale ha in mente solo la “stagione” in senso tradizionale, a prescindere dalle situazioni concrete.

“Non è un po’ poco? [A me pare un mezzo miracolo…] Non sarà un ritorno effimero?”

La risposta costituisce il succo, l’idea guida di questa meravigliosa avventura.

“Guardi, il Maestro Abbado, tra le tante cose, ci ha insegnato che la qualità ha delle regole e noi sentiamo molto questa responsabilità. Non intendiamo accettare qualunque cosa, vogliamo essere un’orchestra che produce qualità senza esasperare la quantità. Solo così…il rilancio della Mozart non sarà un fatto passeggero” .

 

 

[1] Schubert compose nel 1823 le musiche di scena, un’ouverture, due intermezzi, due balletti, una romanza e alcuni cori, per la commedia (o meglio: “dramma romantico”) di Helmine von Chezy Rosamunde, principessa di Cipro, che narra di una pastorella ignara delle proprie illustri origini. La commedia fu un “fiasco”, ma la musica di Schubert rimase per la sua alta ispirazione. Oltre a questo egli compose, per il teatro. undici lavori, e altri sette ne lasciò incompiuti. E ciò in un arco di tempo che va dal 1812 – Schubert aveva allora quindici anni e studiava al Convitto imperiale e regio di Vienna – fino all’anno della sua morte, nel 1828.

 

[2] Abbozzo di un balletto, caratterizzato da elementi orientaleggianti che si inseriscono su danze popolari austriache e francesi.

[3] Sarabanda. Danza e aria di danza, forse di origine araba, che si diffuse, attraverso la Spagna in tutta Europa, tra 16° e 17° secolo. Il suo movimento, su un ritmo ternario, fu dapprima allegro, in seguito assunse un carattere più sostenuto fino a divenire grave e lento, e con questo carattere entrò, alla fine del 17° sec., a far parte della suite e in genere di composizioni strumentali in più tempi (per es. di A.Corelli, J.S. Bach, J.F. Händel e altri).