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(Titolo originale La tentation du rabbin Fix, Albin Michel Ed., 2005)
Trad. Vanna Lucattini Vogelmann, Ed. Giuntina, collana Diaspora, 2014, pp. 200, €.15,00
“Il bambino e la Torah, dice il Talmud, si aprono l’uno all’altra”
“…..talvolta capita che le circostanze, ancelle…troppo zelanti della Provvidenza, non stiano al gioco e, scontente della leggerezza con la quale uomini e donne, paesi e continenti distruggono ciò che dovrebbero unirli, si rifiutino di piegarsi ai loro capricci”
                 Di nuovo benvenuto tra noi, caro Rav Théodore Fix!
A due anni dall’uscita de Il fantasma del ghetto [1] l’Editore Giuntina ci dona, con la piacevole traduzione di Vanna Lucattini Vogelmann, un nuovo romanzo di Jacquot Grunewald, illustre studioso del Talmud, giornalista, scrittore, alsaziano di nascita, trasferitosi a Gerusalemme nel 1985.
Come avevo anticipato nel commento alla precedente opera, La tentazione del Rabbino Fix, uscito in Francia nel 2005, ha come teatro Gerusalemme e Parigi.
Grunewald La Tentation 82226159571g
Siamo nel settembre 2003, negli anni in cui tutta Israele fu scossa dalla tragica, terribile, cosiddetta seconda Intifadah, durante la quale il terrorismo palestinese uccise oltre un migliaio di cittadini dello Stato Ebraico (unitamente ad un non trascurabile numero di stranieri).
Théodore e sua moglie Elisabeth sono appena rientrati a Parigi dopo una vacanza sulle Alpi francesi. Mentre rievocano le piacevoli giornate trascorse insieme, squilla il telefono: sarà senz’altro qualcuno, dalla Comunità ebraica, pronto a disturbare il Rav senza un valido motivo.
Invece no. Si tratta di Louis, il figlio della coppia che vive a Gerusalemme insieme alla moglie Rivka e ai due figlioletti David e Judit. Poco prima, un attentato: su un autobus un terrorista si è fatto saltare in aria, con accompagnamento di chiodi e bulloni per colpire meglio gli odiati ebrei. Bilancio, dieci morti almeno tra i passeggeri e numerosissimi feriti, tra i quali Rivka, che ha perduto molto sangue ed è sotto shock, e il piccolo David, colpito alla gola (per fortuna Judit non era con loro).
Mamma e figlio sono ricoverati in due ospedali diversi della capitale: lei al Bikur Holim, la struttura religiosa in pieno centro cittadino, lui alla Hadassa sul Monte Scopus, in zona est, proprio di fronte al deserto.
Théodore sale la sera stessa sul primo aereo disponibile per Israele, mentre sua moglie resta a Parigi perché non può lasciare il suo lavoro di insegnate di francese e per garantire in Comunità un “minimo di interim rabbinico”.
L’ansia e la preoccupazione per i familiari e, in primo luogo, per il nipotino si mescolano con il dolore e l’angoscia che hanno caratterizzato quel periodo della storia di Israele: l’illusione seguita ai fallaci accordi di Oslo, suscitatori di tanti progetti positivi per entrambe le parti; l’immarcescibile odio arabo e l’ipocrita avversione dell’Occidente.
Il mutamento del clima, seguito all’ingannevole speranza di pace è espresso da Grunewald in modo palpabile. Louis e la sua sposa, Rivka, la bella yemenita, molto giovani, avevano messo su casa nel quartiere di Ghilò, all’estremo sud di Gerusalemme; quattro anni dopo, nel 1997, era venuto alla luce David. “In quel periodo, i pastori arabi facevano pascolare le capre sotto le loro finestre. La piccola Judit, invece, aveva conosciuto gli spari fin dalla terza settimana di vita. Lo testimoniavano due fori nel muro del salotto. E lo spesso vetro blindato….Poi, al posto dei pastori arabi e delle capre, era arrivato un carro armato dell’esercito a fare la guardia”.
Durante i turni di veglia per assistere David (per tutti Dudù), alternandosi al figlio, Théodore fa la conoscenza del Prof. Avraham Maimon, primario di otorinolaringoiatria alla Hadassa, che ha in cura il piccolo. Persona competente, professionista impegnato a occuparsi senza differenze di arabi ed ebrei, egli rassicura il nonno sulle condizioni del bambino -che, al momento, non riesce ancora né a parlare, né, per il dolore, a mangiare- e gli confida la sua passione per il deserto, che si stende proprio davanti a loro. “Il deserto è come noi, si risveglia lentamente. Mi piace guardarlo quando si alza dalle sue lenzuola grigie”. Toccante la partecipazione dell’Autore alla dimensione umana del paesaggio.
I giorni passano, Dudù migliora. Il Rabbino, constatato che la situazione del nipote va ristabilendosi, decide di ritornare a casa; anche perché le grandi Feste Ebraiche sono vicine, a cominciare da Rosh Hashanà. E gl’impegni in Comunità sono numerosi e ineludibili.
La sera precedente la partenza, ecco una notizia dalla radio: c’erano stati degli spari contro un’automobile sulla strada che porta all’Erodion -il grande monumento funebre fatto erigere da re Erode, posto a sud di Betlemme, che pare suscitare un certo turbamento in Théodore-, all’uscita di Tekoa. Tekoa, piccolo villagio, patria del profeta Amos, nonché di Yossi e Kobi, i due adolescenti israeliani là residenti, sorpresi in una grotta e lapidati a morte da diciannove terroristi dello Jihad islamico nel maggio 2001; uno dei delitti più efferati di quel periodo; indimenticabile..
L’unico passeggero della vettura, il conducente, era morto. “Scene di ordinaria intifada”, commenta Louis con (apparente) distacco.
In aeroporto, mentre attende il volo per Parigi, perduto nelle sue riflessioni, lo sguardo di Fix cade sulla prima pagina di Yedioth Ahronoth…….Egli sobbalza: sotto i suoi occhi il volto inconfondibile del Prof. Maimon e la didascalia listata a lutto: è lui l’uomo trovato ucciso, crivellato di colpi, a bordo della sua automobile a poca distanza da Tekoa. Una persona che amava tanto il deserto! E che, con coraggio, si recava, nonostante la proibizione dell’esercito, nei villaggi e cittadine palestinesi, dove gli uomini di Fatah ricorrevano ai suoi servizi. Il caduceo e la Stella di David rossi, posizionati sul parabrezza della vettura e ritrovati macchiati di sangue, non avevano impedito l’attentato, senz’altro dovuto a un gruppo estremista che non tollerava la collaborazione tra Arabi ed Ebrei.
Ma la versione ufficiale sembra non convincere il protagonista.
Ritornato da sua moglie, pensa e ripensa…..Perfino durante la cerimonia di Rosh ha-Shanà, rivive mentalmente gl’incontri col medico che ha salvato David, richiama alla mente le parole di Maimon…..A colpirlo quel momento indimenticabile, emblematico: il colloquio telefonico, piuttosto concitato, tra il medico e una segretaria dell’ospedale, cui, senza volerlo, aveva assistito.
Un nome, Ursula, che spunta dalle parole del dottore e il particolare, da questi rivelato a Théodore, forse per non metterlo in imbarazzo : si tratta di una parigina….
“Se stabilisco” riflette Théodore ad alta voce “una relazione causa /effetto tra una certa frase di Maimon … e la sua morte, tutto cambia. Quel decesso diventa spiegabile, non è più opera del caso, dell’aleatorietà, per così dire, dell’intifada.”
L’otorinolaringoiatra è stato assassinato intenzionalmente. La parigina in questione -Ursula Vèronique Rousseau, scoprirà nel prosieguo dei giorni-, rappresenta una sorta di punto focale della vicenda, senza peraltro mai comparire direttamente.
Il Rabbino non può resistere alla tentazione di cominciare le sue ricerche. Ma prima occorre recarsi dall’amico giudice, Ives Le Clec, che abbiamo incontrato nel romanzo precedente, per raccontargli quanto gli è accaduto. Il magistrato -grandi baffi color canapa e pipa quasi sempre accesa- sta un po’ sulla difensiva viste le intromissioni di Fix nella precedente inchiesta, anche se era stata proprio quella circostanza a far sì che egli si impadronisse, dopo una certa “infarinatura” sui libri, del metodo di indagine talmudica praticata da Théodore. Questi decide di svolgere accurate investigazioni per proprio conto, incassata una benevola -pur inattiva: niente nomi, né indirizzi da me, sia chiaro!- neutralità da Le Clec e tenuto conto, da una parte, del cortese scetticismo di Louis sull’interpretazione paterna circa i responsabili dell’assassinio di Maimon, e, dall’altra, dell’aperta derisione della polizia israeliana presso la quale il giovane era stato inviato dal padre per i primi, cauti sondaggi.
Il nostro rabbino è uomo meticoloso, ma, pur a suo modo, passionale, impaziente di giungere ad un risultato. Scoprire com’è andata è un atto di giustizia, in primo luogo verso il defunto, nonché una sorta di adempimento della di lui volontà. Senza contare quanto rammenta ed ordina la Torah: “ Non restare in piedi -senza fare niente- davanti al sangue del tuo prossimo”.
Sostenuto da una fedele alleata della prima ora, la miracolosa tazza di caffè, nelle sue ricerche verrà condotto in una direzione all’apparenza insospettabile, ma che nasconde terribili segreti.
Finirà per scoprire una realtà inquietante.
In primo piano c’è l’Istituto parigino di Foniatria (settore della medicina che cura le anomalie della voce e del linguaggio), di cui è amministratore la giovane e bella Marie Anne Vanlof, seducente, misteriosa, figura dalle molteplici identità, al cui fascino Théodore non è insensibile. La donna sa riservare incredibili sorprese a coloro che incontra, e anzitutto al Rabbino Fix! Chi è, in definitiva, costei e quali trame tesse di nascosto?  E l’Istituto, al di là di un’asettica e rispettabile facciata, per caso nasconde un altro volto?
Il Commissario Pierre Boulay, poi, con cui abbiamo fatto conoscenza nella precedente avventura –colui che non credeva ai…fantasmi-, viene evocato dal Giudice Le Clec allorché, di colpo, il Rabbino, data l’incorreggibile capacità di cacciarsi nei guai, scompare e si teme per la sua vita. La vicenda si complica, diventando sempre più complessa ed affascinante.
Fino alla stretta conclusiva e alla composizione finale del puzzle; della quale ovviamente non racconto nulla.
Jacquot Grunewald ci regala ancora una volta una storia ricca di fascino, davvero insolita, sia come intreccio che come prospettiva di osservazione della realtà che ci circonda. Il clima vissuto da Israele in quegli anni è ricostruito con intensa partecipazione perché sa coinvolgere il lettore, specie se leggiamo questo romanzo negli attuali, drammatici terribili giorni, così difficili per lo Stato Ebraico, impegnato, ancora una volta, nella lotta per la propria sopravvivenza. Al di là delle interessate manipolazioni dei mass media occidentali; nefaste, in primo luogo, per le sorti dello stesso Occidente.
Ironia, profonda cultura vissuta, suspense, come in ogni thriller che si rispetti, mescolati ad una raffinata analisi psico/antropologica. Il clima diverso, quasi contrapposto, tra due luoghi dell’anima: Parigi, guardata con affetto, anche nella “malefica pioggia che bagna e deprime”, tranquilla e immersa nel suo quotidiano -ma, sotto l’apparenza, quali trame oscure! Senza contare l’antisemitismo: già bello robusto allora (2003)-; e Gerusalemme, impegnata in un sorta di perenne esistenza …sul filo.
I caratteri dei personaggi sono ritratti nella loro quotidianità da una prosa fresca, coinvolgente.
I battibecchi tra coniugi di lungo corso come Théodore -come sappiamo, bassa statura, immancabili papillon e basco- ed Elisabeth -aria sportiva, dinamica, capelli corti sale e pepe-; la passione investigativa, legata ad un profondo sentimento di giustizia, di lui; la capacità di lei di essergli di sostegno, pure nelle attività comunitarie, ma anche, in fondo, di non prenderlo troppo sul serio. Meglio, in certi momenti, sparire dalla scena per dedicarsi alle attività di insegnante o ai compiti di efficiente nonna, chiamata a dare man forte alle due figlie, entrambe residenti in Francia: Caroline, a Parigi, e Juliette, a Strasburgo.
Anche se non partecipa direttamente alla storia tranne che nelle fasi iniziali, il Prof. Maimon ci ispira grande simpatia per la ricca, forte umanità e le suggestive riflessioni sul deserto. In primo luogo la convinzione che esista uno stretto rapporto tra il deserto di Giudea, dove hanno vissuto i Profeti, e la sua “intensità acustica, la sonorità dell’aria, la qualità delle onde sonore, l’ambiente montagnoso e altri elementi che aveva studiato”. Questo intimo rapporto è il motivo ispiratore, per il medico, di un disegno di alto profilo culturale, da realizzarsi proprio nel deserto e focalizzato su studi biblici e cabbalistici. A tale progetto egli, adamantino sognatore -che crede nella convivenza tra le persone e, in primo luogo,  tra  Ebrei ed Arabi- si sente profondamente legato.
Ma la realtà è assai più complessa, come ci narra la trama svelata da Grunewald nelle pagine finali, inducendoci pure a riflettere su una verità trascurata, ma incontrovertibile. Per indirizzare le menti, scrive l’Autore per bocca del suo protagonista, non basta la potenza della parola; ciò vale, aggiungo, sia per una causa distruttiva, di menzogna e di morte, che per un progetto di vita e di pace nella verità. Valeva un decennio fa, all’epoca dei fatti raccontati, vale ancora di più oggi, in un contesto, come l’attuale, profondamente disorientato.“Non è quello che si dice che è determinante, ma il quadro spirituale, politico, culturale in cui il discorso viene percepito”.
Rammentiamo, allo stesso tempo, le aspre parole del Profeta Isaia.  “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro”.
E il progetto di collaborazione accarezzato da Maimon, e carpito, come scopriamo lungo le pagine,  per tutt’altri scopi da menti diaboliche, è condannato ad essere un  lascia passare per il nemico? Ci auguriamo di no.
In ogni caso sono stati proprio il coraggio e l’intelligenza del Rabbino Fix a far venire allo scoperto la terribile macchinazione.Gentili Lettori, come avevo già fatto con Il fantasma del ghetto, mi sono permessa di inviare per e mail a Jacquot Grunewald un riassunto tradotto in francese del mio commento a La tentazione del rabbino Fix.  L’Autore mi ha risposto, si può dire, in tempo reale, esprimendomi ancora affettuosa stima. Questi sono gli episodi che danno colore alla vita!
Ecco il nostro scambio di messaggi.  Naturalmente qui di seguito appare per primo  il messaggio di Grunewald , che, in realtà, è il secondo, cioè la risposta al mio del giorno precedente.

Chère Mara,
Vous êtes merveilleuse! Et d’une fidélité admirable.
Je me souviens très bien de vos premiers papiers et de ce que vous disiez d’une traduction d’un autre titre. Mais je m’étais dit que la première histoire se passant en Italie, “le fantôme du ghetto” gagnait à être traduit en italien. Je me réjouis donc particulièrement de l’amitiés que me témoignent les lecteurs italiens en accueillant ce second livre. Grâce à vous, notamment. Car si vous ne l’aviez pas si gentiment fait connaître, le cercle des lecteurs n’aurait pas été aussi large.
Par votre fdèle compte rendu me souviens ^ùaintenant de la trame du livre que j’avais en partie oubliée! 
En ce moment, j’écris un nouveau roman, mais sans rabbin Fix où le judaïsme apparaît en fort filigrane.
Amitiés,
Jacquot Grunewald
 
 
 
—– Original Message —–
From: Mara
Sent: Saturday, August 09, 2014 7:06 PM
Subject: La tentation du Rabbin Fix

Mon cher Rav. Grunewald,
Je Vous avais écrit il ya deux ans, lorsque je Vous avais envoyé un résumé, en français, du commentaire écrit (pour mon web site) sur L’homme à la bauta.
 
Voilà, pour Vous, un résumé  du commentaire au La tentation du Rabbin Fix, un roman très  très intrigant!
Mon amour pour Israël et son Peuple est immense!
Je Vous prie d’agréer mes meilleurs salutations.
Shalom.
                                                                                                                             Mara Marantonio -Bologna (Italie)-

 

 

 

JACQUOT GRUNEWALD LA TENTATION DU RABBIN FIX

 

Bienvenu de nouveau chez nous, mon cher Rabbin Fix !

Deux ans après Le fantôme du ghetto, la maison d’édition italienne Giuntina (Florence) -comme j’avais vivement espéré !- nous donne, avec l’agréable traduction du français en italien par Vanna Lucattini Vogelmann, le deuxième roman de Jacquot Grunewald, illustre spécialiste du Talmud, journaliste et écrivain, né a Strasbourg, établi en Israël dès 1985.

L’histoire, qui s’appelle La tentation du Rabbin Fix, publiée en France en 2005, se déroule entre Paris et Jérusalem au mois de septembre 2003, pendant les années de la ledite Deuxième Intifada, lorque un millier de citoyens israéliens (et un nombre pas négligeable d’éstrangers) furent tués par le terrorisme palestiniens.

Théodore Fix et sa femme Elisabeth viennent juste d’arriver des vacances parmi les Alpes françaises ; il rappellent les joyeuses journeées passées ensemble lorque leur fils Louis qui vive à Jérusalem avec sa famille, leur donne un coup de téléphone : il y a eté un attentat suicide palestinien (pigua en hébreu), a Jérusalem : beaucoup de morts et de blessés, parmi lequels Rivka, femme de Louis, et leur fils David (six ans), blessé à la gorge.

Théodore immédiatement vole vers Israël, pendant que Elisabeth reste à Paris parce qu’elle ne peut pas laisser son einsegnement de langue française et pour garantir à leur communauté (juive) un “minimum d’interim rabbinique”.

Le souci et la préoccupation pour sa belle fille et surtout pour son petit fils, David (surnommé par tout le monde Dudu !) se mélangent à la souffrance et à l’angoisse qui ont caractérisé quelle époque de la vie d’Israël :  l’illusion de la paix après Oslo, le terrorisme islamiste, l’antisemitisme de l’Europe des plus en plus répandu, l’information incomplète des mass media occidentaux.

L’Auteur exprime tout cela d’une façon incomparable. Pendant les premières années de vie de David, sous les fenêtres de la maison de la jeume famille, a Ghilo -un quartier de Jérusalem en face de Bethlehem-, des bergers arabes faisaient paître leur troupeau ; mais, quelques années après, lorques etait née la petite soeur de David, Judit, il n’y avait pas de bregers, mais là était arrivé un tank de Tsahal à monter la garde. Judit avait connu les coups de feu lorqu’elle n’avait que trois semaines de vie. Cela estait témoigné par deux trous sur le mur du salon. Et aussi par un épais vitre blindé.

Au chevet de Dudù Théodore lie connaissance avec Monsieur le Docteur Avraham Maimon, chef du service de oto-rhino-laryngoiatrie de l’Hadassa de Jèrusalem, où le petit est hospitalisé. Maimon c’est un homme très sensible, professionel compétent qui s’occupe de la même manière des Juifs et des Arabes, qui aime la nature et surtout le desert qui s’étend devant leurs yeux. C’est vraiment touchante la participation de Jacquot Grunewald à la dimension humanine du paysage.

Après quelques jours Dudù va mieux et grand-papa Fix décide de revenir à Paris. Pendant que , dans l’aerodrôme de Tel Aviv., il attend son vol pour la France, ses yeux tombent sur la primière page des Yedioth Ahronoth : voilà une photo du Avraham Maimon et la légende : il a eté tué dans sa voiture, criblée de projectiles prés de Tekoa, à sud de Bethlehem. Tekoa, où vivait le prophète Amos et aussi, juqu’au mai 2001, Kobi Mandel et Yossi Ish Ran, deux teens israeliens, lapidés à mort dans une grotte par 19 (!) terroristes du Jihad islamique.

Maimon se rendait souvent chez les villages palestiniens malgré l’interdiction de Tsahal. Un attentat, sans doute. “C’est une histoire de courente intifada ” avait murmuré Louis lorsqu il avait appris au radio cette nouvelle, peu avant le départ de son père.

Mais, ainsi pense Théodore, dans cette affaire -c’est à dire la version ufficiale de l’attentat- il y a du louche. Revenu à Paris, il pense toujours à cet épisode. Il pense à ce que le docteur a lui dit pendant leurs rencontres chez Hadassa, à propos du desert, des sephirot , ecc. ; mais aussi il pense à un entretien par telephone, très agité, entre Maimon et une secrétaire de l’hôpital. Et…..ce prénom-là…..Ursula, parisienne.

“Si j’arrive à fixer une relation de cause à effet entre une phrase prononcée par Maimon et….sa mort… Tout change…cette mort-là devient explicable. Elle n’est donc plus due au hasard de l’intifada”. Et Ursula, malgré elle ne entrerà jamais  en scène directement, sera, de plus en plus, le centre focal de toute notre histoire.

Le Rabbin fait ses recherches, avec sa formidable, très fidèle, alliée, sa tasse à café, et…..engage, d’une manière indirecte et de loin, son ami : le juge Ives Le Clec -à une belle moustache blonde, sa pipe presque toujours allumée- que nous avons connu dans Le fantôme du ghetto ; passionné, lui aussi, pour la la methode de recherche fondée sur le Talmud. Et nous rencontrons de nouveau le Commissaire Pierre Boulay, qui est évoqué par Le Clec lorsque Théodore, pris par son enquête et impatient de connaître la verité, va disparaître tout à coup.

Fix ne se décourage pas : ses reches rappresentent pour lui une manifestation de justice à l’égard du Docteur Maimon : “Tu ne resterai pas indifférent devant le sang de ton prochain” prescrit la Torah.

Et les recherches menènt Théodore sur un chemin qui cache des secrets terribles. Et il découvrira une réalité inquiétante. Tout d’abord voilà bien en vue l’Institut Parisien de Phoniatrie, dont l’amministrateur est madame Marie Anne Vanlof, une femme fatale, aux plusieurs identités, au charme de laquelle notre Rabbin n’est pas insensible….L’intrigue devient de plus en plus sédiusant juqu’à sa conclusion que, bien sür, je ne Vous raconterai pas !

Jacquot Grunewald nous donne encore une histoire pleine de charme, originelle, soit pour son  intrigue, soit comme perspective d’osservation de la réalité qui nous entoure. L’Auteur reconstrui le climat de la periode surnommée Deuxième Intifada, lorsque Israël combattit pour sa survie : à cet moment là ; mais aujourd’hui aussi. Ça au delà de l’hypocrite disinformation occidentale, une hypocrisie qui cependant est toxique pour l’Occident.

Ironie, profonde culture vecue, suspence, mêlées avec une raffinée analyse psico/anthropologique. Et le climat différent, presque opposé, entre Paris, tranquillle -mais l’antisemitisme (en 2003…) a déjà bien levé la tête…- aimée par Grunewald aussi “dans la pluie maléfique qui mouille et déprime” ; et Jérusalem, toujours engagée dans une existence qui marche sur la corde raide.

Les personnages sont représentés dans leur quotidienneté par un style frais, prenant.

Les prise de bec entre Monsieurs et Madame Fix, mariés ” au long cours”, est très amusante. Théodore : de petite taille, immancables béret basque et papillon; Elisabeth : aire sportive, dynamique, cheveux courts poivre et sel.

Mais aussi Avraham Maimon nous inspire une profonde sympathie : sa intense humanité…..Il croyait que il ya une liaison intime entre le desert de Judée, où ont vécu les prophètes bibliques, et “la sonorité de l’air, la qualitè des ondes sonores, le milieu montagneux et plusieurs d’éléments qu’il avait étudié” : un incorrigible rèveur qui avait confiance en la collaboration entre Arabes et Juifs.

Il avait conçu un project merveilleux, que des esprits très raffinés essayent de lui voler pour leurs mauvais buts. Et lorsque Maimon découvrira l’intrigue, sera assassiné.

Donc, tout est perdu ? Non, peut-être, l’histoire reste ouverte.

Mais c’était grâce au courage et à l’esprit du Rabbin Fix qui le project diabolique pourra être éventé.

Bologne, le 5.8.2014




[1] V. mio commento su questo sito (Settembre 2012), con notizie biografiche sull’Autore