Ed. e/o, Collana Dal Mondo, Collezione Sabot/age, Roma, Ottobre 2012, pp. 224,    €.16
“Gli amici d’infanzia sono come le gomme da masticare, puoi fare tutta la strada che vuoi, ma loro ti restano attaccati alle scarpe” “ ‘In Calabria non c’è futuro, lo sai quanto me’. Un bel discorso. Peccato che siano quelli come lui a rubare il futuro ai nostri figli”
Una digressione rispetto ai consueti temi trattati in questo sito il commento a Undercover. Niente è come sembra di Roberto Riccardi, con protagonista Rocco Liguori, ufficiale dei Carabinieri impegnato a lottare “sotto copertura” la ’ndrangheta calabrese (in combutta coi Narcos colombiani e gli Zetas messicani)? Solo in apparenza. Anzitutto perché www.angolodimara.com tratta anche di “diritti civili” e il primo in assoluto, sul quale poggiano tutti gli altri, è quello ad una vita vissuta in un ambiente contrassegnato dalla legalità. Inoltre, fin dall’assassinio a Palermo, ad opera di “Cosa Nostra”, di Carlo Alberto ed Emanuela Dalla Chiesa la sera del 3 settembre 1982, passando per le stragi di mafia perpetrate negli anni successivi, fino a quelle di Capaci e di Via D’Amelio nella primavera / estate di un decennio dopo, forte interesse ha sempre destato in me il tema della malavita organizzata, specie se si considera lo stretto rapporto della stessa col terrorismo internazionale, al quale, purtroppo, deve dedicare attenzione chi, come la sottoscritta, dichiara la propria simpatia per gli Ebrei e, soprattutto, per lo Stato di Israele, minacciato di distruzione assai prima della sua nascita ufficiale; quando, per intenderci, non c’erano né “occupazione”, né “insediamenti” di sorta.
Infine, occorre considerare la poliedrica figura del nostro Autore.
Roberto Riccardi (nato a Bari nel 1966, residente a Roma) colonnello dell’Arma e giornalista, è direttore della Rivista Il Carabiniere. Per diverso tempo ha lavorato in Calabria e in Sicilia ed ha comandato la sezione antidroga del Nucleo investigativo di Roma, svolgendo indagini in ambito internazionale. Il suo debutto come scrittore avviene nel 2009 con Sono stato un numero. Alberto Sed racconta (Ed. Giuntina), coraggiosa biografia di un sopravvissuto ad Auschwitz, opera vincitrice del Premio “Acqui Storia” e finalista nella sezione Ragazzi del “Premio Letterario ADEI -WIZO Adelina Della Pergola”. Nel 2012 e nel 2013, ancora sul tema della Shoah e sempre con Giuntina, due autentici gioielli letterari. Il primo è La foto sulla spiaggia, in cui ci presenta le storie, destinate ad incontrarsi, di Alba, una bambina sensibile cresciuta nell’Italia degli anni ’50 del Novecento, e di Simone, deportato ad Auschwitz, il quale vive nella speranza di ritrovare la moglie e la figlioletta, perdute di vista all’arrivo nel lager. Il secondo è La farfalla impazzita, in collaborazione con la protagonista, Giulia Spizzichino, ebrea romana la cui vita fu sconvolta dalle deportazioni e dalla strage delle Fosse Ardeatine, dove furono uccisi ben ventisei suoi congiunti.
La…farfalla impazzita è la stessa Giulia, così soprannominata da un caro amico: un insetto che sbatte le ali a caso, senza riuscire a trovare luoghi in cui posarsi.
Ma Roberto non trascura il genere thriller. Nel 2009 pubblica Legami di sangue (Mondadori), che gli è valso il “Premio Tedeschi” e, con gli stessi protagonisti, Condannati (Giallo Mondadori, 2012).
Ho avuto modo di conoscere, sia pure solo attraverso messaggi e mail -per ora, ma il vuoto si può sempre colmare!- Roberto Riccardi dopo che questi, alcuni mesi fa a Roma, ha presentato da par suo Generazioni 1881-1907, opera prima del comune amico Gabriele Rubini.
La sua spontaneità ed innata simpatia, oltre alle  comuni propensioni culturali, mi ha spinta a leggere il presente romanzo; davvero una piacevolissima sorpresa, che consiglio ai miei lettori -anche se sono certa che diversi di loro già lo conoscono ed apprezzano-.
Undercover è, tra l’altro, uno dei tre finalisti della seconda edizione del Premio di Letteratura gialla noir spy story “Mariano Romiti 2013” (proclamazione del vincitore il 21 settembre).
Il libro è pubblicato dalla casa editrice e/o  nella collezione Sabot/age, diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto. Sabot/age è nata circa un paio di anni fa con l’intento di far conoscere al pubblico storie italiane vere, non raccontate finora, lasciate in ombra, per superficialità o magari, perché no, malafede. Prostituzione, mercato della droga, mafie, pedofilia, finanziamenti illeciti. Non è peraltro una collezione, per così dire, di genere: si va dal noir, alla commedia, dal pulp, all’horror. Tematiche forti, scomode, di notevole attualità, di vita vissuta, come nel caso del nostro romanzo.
La storia inizia nel 1985. Rocco Liguori e Antonio (per tutti Nino) Calabrò, coetanei, crescono insieme in un piccolo paese dell’Aspromonte. Il primo è figlio di un carabiniere; mentre il padre del secondo è esponente di una ‘ndrina (cosca malavitosa, nel linguaggio della ‘ndrangheta calabrese); i rispettivi genitori, specie quello di Nino, ostacolano il rapporto di amicizia, ma i bambini, nei loro sentimenti, non conoscono divisioni, anche perché, come scrive Riccardi, “alla vita bisogna dare il tempo di insegnare”.
Nel prosieguo del tempo li ritroviamo giovani uomini, su sponde opposte.
Nino è divenuto personaggio di rilievo nella criminalità organizzata, seguendo le orme paterne; Rocco, dal canto suo, ha fatto altrettanto ed ora è un agente della Direzione antidroga.
Nell’immaginario collettivo criminale Nino è rappresentato dal Coltello (simbolo degli uomini d’onore), Rocco dalla Chiave (emblema dello Stato, cioè degli sbirri).
L’A. si concentra soprattutto su Rocco.
Divenuto maresciallo dei Carabinieri, egli frequenta a Roma un corso per agenti sotto copertura, cioè infiltrati nelle organizzazioni malavitose. Una grande opportunità, a detta di tanti e anche lui ne è convinto. Qui, fin dal primo giorno, fa la conoscenza dell’ispettrice Vera Morandi, con la quale nasce un’immediata reciproca simpatia che, per l’uomo, si trasforma ben presto in amore, mentre lei pare sfuggirgli.
Subito Rocco impara un principio basilare: la realtà non è mai (o quasi) quella che sembra!
E un bravo agente deve subito comprendere chi, tra le persone che si troverà di fronte, “comanda la baracca”. A cominciare da quanto succede proprio al corso. Il cui responsabile non è Jack Vettriano (statunitense che vive da lungo tempo a Roma), agente della DEA (Drug Enforcement Administration, agenzia federale antidroga statunitense facente capo al Dipartimento della Giustizia degli U.S.A.), mezza età, tipo robusto, faccia cattiva, piazzato sulla porta ad accogliere gli allievi, bensì il commissario Nicola Clemente, più giovane di circa dieci anni, tipo mingherlino e dall’aspetto insignificante, tranquillo e silenzioso, in piedi a poca distanza.
Nicola, soprannominato “il Regista” per la professionalità che lo contraddistingue, è una delle figure intorno alle quali ruota tutta la vicenda. Alcuni anni dopo, sarà infatti la sua misteriosa sparizione, tra Madrid e Città del Messico, mentre era impegnato in un’indagine su un traffico di cocaina, a indurre Rocco, il quale, nel frattempo, aveva lasciato l’attività di “barba finta” in favore di un’interessante possibilità di carriera nell’Arma, a rientrare in quell’ambiente sul filo del rasoio e darsi anima a corpo alla ricerca del collega con il quale, fin dai tempi del corso per agenti undercover, si era stabilito un forte rapporto di reciproca stima ed amicizia.
Il romanzo si snoda, lungo l’arco di diversi anni, tra Italia, Spagna, Messico e Colombia.
Va da sé che non ne racconterò la trama per non sciupare l’effetto sorpresa al lettore. Mi limito ad alcuni rapidi accenni su ambienti e personaggi.
Ad esempio, i feroci Zetas, organizzazione criminale di origine messicana, coinvolta essenzialmente nel traffico internazionale di droga, in stretto rapporto con la ’ndrangheta. I membri originari del gruppo erano disertori dell’esercito, che avevano tradito la divisa per entrare nell’ambiente, assai più lucroso, nella malavita. Il vicecomandante è Diego Cardona Fernandez, già ufficiale dell’esercito, col mito dell’Impero romano. Annota l’Autore in modo perspicuo: “Non lo ha mai studiato, sa solo che ha affermato il proprio dominio su tutto il mondo allora conosciuto e tanto gli basta, è ciò che sogna di fare anche lui”.
Ma non mancano i potenti Narcos colombiani, a loro volta in strette relazioni “operative” con Zetas e ‘ndrangheta. E queste relazioni, insieme a diversi fatti -alcuni insignificanti per un profano, ma rilevantissimi, quali, uno su tutti, i lavori per la Salerno / Reggio Calabria a metà degli anni ’70 del secolo scorso, allorché le grandi imprese del Nord, attratte dall’occasione, scesero a patti con le cosche e “diedero inizio alle danze”-,  senza contare i torbidi rapporti con la politica, il riciclaggio, i sequestri, lo sfruttamento senza fine dei clandestini come manovalanza criminale, le estorsioni, ecc., hanno reso la ’ndrangheta la più potente tra le organizzazioni criminali del nostro Paese. Dato non da poco:  il suo fatturato ammonta al 3% del PIL nazionale.
Roberto Riccardi ci racconta una vicenda vissuta dal di dentro perché nata dalla sua esperienza sul campo; articolata e complessa, pur nella sua drammatica chiarezza, ricca di sorprese, narrata con uno stile incalzante dove vengono spesso presentate situazioni in cui l’interrogativo di carattere etico sorge spontaneo; ma egli non indulge mai a toni didascalici o moralistici. Ad esempio, nella hacienda -cioè nel covo- di un esponente di spicco dei Narcos, lo spietato Carlos Romero (il quale ha modalità tutte sue, ma efficacissime, per sbarazzarsi di veri o presunti traditori), opera un giovane di nome Miguel, “aria da intellettuale, occhiali dalle lenti dorate e barbetta incolta. In un ristorante di Bogotà lo prenderesti per un avvocato o un giornalista”. Un “pugno nell’occhio”, certo, in quell’ambiente di schiavi miserabili posto nella giungla colombiana. Bene, Miguel è un chimico, laureato presso la prestigiosa università statunitense di Harvard, responsabile della trasformazione delle foglie di coca nella tragicamente ricercata polvere bianca. I suoi studi al servizio della morte.
Perché mai? Ovvio. Per danaro. Alla domanda su quanto tempo occorra per realizzare l’intero procedimento, risponde pronto: “Circa ventiquattr’ore……Ventiquattr’ore, capisci? Nessun lavoro può farti guadagnare tanto in un solo giorno”. Quando avrà raggranellato un bel gruzzoletto, cioè incassato abbastanza, Miguel sogna -o meglio, s’illude- di tornare nella sua Boston e iniziare una vita rispettabile e ricca con una ragazza che lo aspetta, immagino ignara. Niente è come sembra.
Gustosissimo e commovente al tempo stesso è l’episodio che vede il Tenente Rocco Liguori alle prese con uno strano personaggio che, barricatosi in casa, sulle prime, non intende arrendersi: occorrerà giocare d’astuzia e di pazienza per convincerlo. Scommetto che si tratta di una vicenda realmente accaduta a Riccardi nell’esercizio delle sue funzioni.
Molto intense  le  figure femminili, dipinte in modo puntuale, venato di affetto. Si può dire che ruotino intorno a Rocco; o, forse, è lui che ruota attorno a loro. Ciascuna di queste giovani donne occupa, per così dire, una parte, un aspetto della sua sensibilità e del suo cuore.
C’è Vera, l’intelligente ispettrice dagl’incantevoli occhi nocciola, coraggiosa e rapida. Misteriosa e distante. Il sogno impossibile di Rocco.
Carla, l’ironica hostess sempre in giro per il mondo e alla ricerca di un’anima gemella, ma disponibile più che mai a fornire al suo amico utili informazioni.
E, infine, che dire della bellissima e bionda Rosario, mercante d’arte contemporanea e studiosa di pittura, donna sensibile, un autentico fiore cresciuto nel fango, pronta a sacrificare se stessa per l’uomo che ama?
Di grande drammaticità sono le pagine dedicate al rapporto tra Rocco e Nino. Fin dall’incipit del romanzo, un brano di autentica poesia. La lattina di birra che, rotolando veloce e con fragore lungo la strada scoscesa, fa voltare le donne anziane sulle seggiole; donne tutte uguali nei loro fazzoletti neri, che guardano il mondo come dal ponte di una nave, come se non “fossero mare anche loro”. I loro occhi scuri hanno visto tutto, ma, di fronte ad una domanda, si voltano altrove.
Se non capisci questo “non rispondere”, sottolinea l’Autore, vuol dire che sei un forestiero.
Una di queste donne la vidi anch’io, nel 1997, in occasione di una vacanza negli U.S.A.
All’aeroporto Kennedy di New York, davanti al nastro scorrevole che restituisce i bagagli, era al mio fianco: identico fazzoletto nero, veste lunga fino ai piedi, volto scavato, età indefinibile, silenzio. Ma non mi sembrò affatto una nota stonata in quell’ambiente così diverso da lei, in apparenza.
Non l’avevo notata durante il viaggio, ma la sua immagine l’ho ancora davanti agli occhi.
I due piccoli amici seguono la lattina di birra, improvvisato pallone, lo “sguardo ebbro di vita che spera”, finché essa viene bloccata da un piede……..E’ l’apparizione di un dio.
Tutto è sospeso fin a quando, tra i due bambini, ora divenuti adulti e separati da scelte inconciliabili di vita, si frappongono un ingente carico di cocaina e un caro amico scomparso nel nulla.
La sfida tra loro è sempre più serrata e drammatica, fino alla resa dei conti finale, allorché, è Rocco che parla “Non provo astio, solo la rabbia che mi vorrebbe lontano da qui, dalle mie mani che afferrano le sue con cui lego i polsi di Nino al suo destino annunciato”.
Ma Rocco Liguori, con la sua competenza, certo, ma anche con la sua vissuta umanità, ci farà ancora compagnia.
In settembre, sempre per Sabot/age, uscirà Nessuno è innocente. Vedremo il nostro protagonista in un altro tragico contesto: quello del genocidio avvenuto in Bosnia negli anni ’90 e dei processi ai criminali di guerra.
Per dirla con Roberto “…e qui mica stiamo a pettinare le bambole!”              Una notizia letta or ora (23 settembre) su VITERBO NEWS, che riporto con vivo piacere:

Roberto Riccardi vince
il Premio letterario Mariano Romiti
Si aggiudica l’edizione 2013 con il romanzo Undercover

 

 

23/09/2013 – 09:42

VITERBO – Presso la ex aula di Corte d’Assise di Viterbo è andata in scena, con successo, la seconda edizione del premio di letteratura gialla noir Mariano Romiti ideato e realizzato dall’Associazione omonima e questa volta i tre autori finalisti sono finiti addirittura…in gabbia.

Il gioco di ruoli che ha visto coinvolti i poliziotti della Romiti e gli autori, alla presenza dei magistrati e degli avvocati che hanno composto le commissioni giudicanti, ha infatti avuto la sua massima espressione proprio in una ex aula di Tribunale teatro, in passato, di processi di rilevanza nazionale come quello al bandito Giuliano imputato nella strage di Portella della Ginestra.

Maurizio Blini, Maurizio de Giovanni e Roberto Riccardi, selezionati dai poliziotti della prima giuria per ambire alla vittoria finale, si sono confrontati, attraverso i loro tre romanzi gialli, in una finalissima in cui hanno assunto le vesti di veri e propri imputati con tanto di fotosegnaletica e accompagnamento nella gabbia dei detenuti rimasta tale e quale a quella che ha ospitato, in passato , famigerati delinquenti .

Alla fine Roberto Riccardi con il suo Undercover. Niente è come sembra, edito da E/O, ha trionfato su Il Metodo del Coccodrillo, di Maurizio de Giovanni edito da Mondadori, e su Unico indizio un anello di giada , di Maurizio Blini, edito Ciesse Edizioni, giunto terzo

La sentenza è stata letta in aula in un silenzio che sembrava rievocare le contrastanti emozioni dei protagonisti degli antichi processi sotto il severo monito ‘La legge è uguale per tutti’ che ancora campeggia sulle pareti dell’edificio .

Poliziotti, quindi, che premiano …un carabiniere. Roberto Riccardi, infatti , oltre ad essere un autore più che emergente nel panorama del giallo nazionale è un ufficiale dell’Arma nonché direttore della rivista periodica Il Carabiniere e per una volta le antiche , seppur sane, rivalità si sono dissolte in nome della cultura in un clima di assoluta imparzialità.

A Maurizio De Giovanni, autore di primissimo piano nel mondo del giallo e vincitore della scorsa edizione del premio Mariano Romiti , è toccata questa volta la piazza d’onore mentre Maurizio Blini, ex poliziotto, si è dichiarato più che soddisfatto per il risultato ottenuto atteso l ‘assoluto valore dei concorrenti alla vittoria finale .

Ai tre autori, oltre ad una targa ricordo, piatti in ceramica decorata dell’artigianato viterbese a voler testimoniare il connubio dell’Associazione Romiti con il Territorio.

Un’edizione , quella di quest’anno , che, inserita nel calendario del settembre viterbese attraverso la solida collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Viterbo , presente alla cerimonia di premiazione con una sua rappresentanza, ha fatte registrare ancora una volta una folta partecipazione di pubblico interessato alla scrittura di genere ma soprattutto alle iniziative di un’ Associazione come la Mariano Romiti che si pone come obiettivo l’assoluta condivisione delle sue attività con il territorio e con la la cittadinanza .

Le attività dell’Associazione Mariano Romiti, che si propone di realizzare ulteriori eventi all’insegna della cultura , saranno a breve illustrate sul primo numero del suo annuario la cui uscita è prevista per il prossimo mese di ottobre e che si chiamerà, guarda caso, Poliziescamente .