(Titolo originale Lincoln; USA, 2012; Genere: Storico, Drammatico)
“Solo due voti…Andate fuori a trovarli!”
“Né schiavitù né servitù volontaria potranno esistere negli Stati Uniti o in altro luogo soggetto alla loro giurisdizione, se non per punizione di un crimine per il quale l’imputato sia stato debitamente condannato” (dall’Emendamento XIII della Costituzione degli Stati Uniti d’America, 18 dicembre 1865)
La realizzazione di un film su Abraham Lincoln: un’idea che affascinava Steven Spielberg, almeno fin da quando ne parlò, nel 1999, con la biografa del grande Presidente statunitense, Doris Kearns Goodwin, autrice del volume Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln, uscito nel 2005.
Diverse vicende hanno accompagnato la realizzazione dell’ambizioso progetto, a cominciare dalla scelta del protagonista, l’attore britannico, di cittadinanza irlandese, Daniel Day-Lewis, il quale, in un primo momento, aveva rifiutato l’offerta, proprio perché riteneva che una figura tanto amata dagli americani non avrebbe mai potuto essere interpretata, in un film, da…un inglese.
Ma alla fine il magico creatore di tanti capolavori, da ET a Jurassic Park, a Schindler’s List a Salvate il Soldato Ryan, a Munich, è riuscito a dare concreta attuazione al suo sogno. Difficile immaginare il contrario.
Alla base della sceneggiatura (autore: Tony Kushner) di Lincoln c’è proprio il volume della Goodwin.
Il film narra gli ultimi quattro mesi della vita di Lincoln: dall’inizio del 1865 al 15 aprile di quell’anno allorché egli viene ucciso a Washington durante una rappresentazione teatrale da un attore, John Wilkes Boothe, simpatizzante dei Confederati (cosiddetti Sudisti).
Al culmine della Guerra di Secessione, appena eletto per la seconda volta, il Presidente impegna, con ogni mezzo, a far approvare dal Congresso il XIII emendamento della Costituzione che, in sostanza, abolisce la schiavitù.
Obiettivo della pellicola: illustrare la genialità politica del Presidente (1809-1865), il sedicesimo da George Washington, e, nello stesso tempo, mostrare l’uomo: sarcastico, sempre pronto alla discussione, ma fermo nelle decisioni; che ama i figli e la moglie nonostante i lutti familiari (la morte del giovanissimo terzogenito, pochi anni prima) e i contrasti; alle prese con il lacerante dilemma: fino a quando prolungare la guerra, con tutto ciò che ne deriva in termine di sofferenze e di vite umane, per giungere all’abolizione della schiavitù che altrimenti sarebbe durata chissà per quanto altro tempo.
Perfino i collaboratori più stretti e fedeli paiono essere recalcitranti:”Pace ed approvazione dell’emendamento: non li avrete entrambi” lo ammonisce il Segretario di Stato, William Henry Seward.
E intanto una delegazione di Confederati è giunta nei pressi della capitale, armata di una proposta di pace. In cambio di che cosa, è facilmente intuibile.
Il cuore del film è la dura battaglia che si svolge al Congresso, battaglia senza esclusione di colpi: “Il Congresso non potrà mai dichiarare uguali coloro che Dio ha creato disuguali!!!!” è una posizione radicata difficile da rimuovere. Ad essa il Presidente oppone il fiero convincimento che, pur nelle difficoltà immediate (e delle motivazioni economiche -di una parte e dell’altra- alla base della guerra), la strada da lui indicata farà cambiare la vita, ora misera e priva di dignità, di milioni di persone, nonché il destino di tanti, non ancora nati. Sa bene, al contrario della comune opinione, che la guerra tra americani non finirà fino a quando “…non ci curiamo dalla schiavitù…E questo emendamento è la Cura!”
Forte della propria autorità -“Io sono il Presidente degli Stati Uniti, investito di un potere immenso”-, consapevole del prezzo da pagare, ma parimenti conscio dell’importanza storica di quanto intende imporre, egli si avvale di tutte le astuzie della politica, di ogni mezzo pur raggiungere lo scopo (all’inizio i voti da acquisire per l’approvazione sono ben venti. “Solo venti?” domanda con un sorrisetto al suo accompagnatore), compresa la corruzione nei confronti di deputati.
Ritorna uno dei filoni cari a Spielberg: fino a che punto “il fine giustifica i mezzi”? E’ il dilemma che, ad esempio, tormenta il Capitano Miller di Save Private Ryan: è lecito mettere a repentaglio la vita di otto uomini per salvarne uno solo?
Nel nostro caso: il Presidente usa metodi non certo trasparenti per raggiungere un obiettivo foriero di grandi rischi, ma alto: pochi mesi dopo, come sappiamo, egli pagherà con la vita il suo coraggio.
Pellicola di forte spessore morale e civile, Lincoln si avvale di una perfetta ambientazione e ricostruzione storica. La guerra resta quasi sullo sfondo, ma poche ed efficaci scene ed immagini bastano a condurci in quel tragico contesto.
Ma sono gl’interpreti la principale ricchezza. In primo luogo Daniel Day-Lewis, il quale, indubbiamente avvantaggiato dalla somiglianza fisica, esaltata dal trucco, sa dare al suo protagonista umanità dolorosa, robusta autorità e fede nell’ideale.
 Mary Ann Todd Lincoln, la fragile consorte di Abraham, ha il volto drammatico di Sally Field, sempre magnifica interprete, la quale ci fa partecipi del suo strazio di madre cui una malattia crudele ha strappato il figlioletto Willie, proprio durante il primo mandato presidenziale; mentre il primogenito, Robert, intende lasciare l’università per arruolarsi nell’esercito federale.
Tommy Lee Jones, attore raffinatissimo, traccia, in Thaddeus Stevens, il ritratto di un politico consumato, ma di sentire alto, oltre che di indubbia umana simpatia.
Bella coincidenza che quest’anno a contendersi un certo numero di Oscar (il presente è in corsa per ben 12 statuette!) siano, tra gli altri, due film -Lincoln e Zero Dark Thirthy- che, con stile asciutto e linguaggio essenziale, sanno mettere in luce, senza alcuna concessione all’agiografia (anzi!), i valori fondanti di una grande Nazione democratica.