(Titolo originale Lo que esconde tu nombre, 2010)
                Trad. Enrica Budetta, Ed. Garzanti Libri S.p.A., Milano, Febbraio 2011, pp. 360, €.18,60
“Non si cambia in due giorni, e nemmeno in quarant’anni: io nel profondo non ero cambiato”.
Quale bizzarro destino fa sì che la vita di Juliàn si incroci con quella di Sandra?
                 Due persone non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra.
L’uomo è un anziano antifascista spagnolo sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen / Gusen -dove furono assassinati, tra gli altri, circa 6.500 cittadini spagnoli aderenti alla Repubblica-, il quale ha dedicato la vita alla ricerca dei propri aguzzini e che, dall’Argentina, ove ora risiede, torna nella natia Spagna a seguito della segnalazione di un caro amico, Salvador Castro (soprannominato Salva), suo compagno di tragedia e poi collega nel Centro di Ricerca, costituito subito dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale per dare la caccia ai criminali nazisti.
Era stato proprio Salva, nel suo impegno a battersi affinché gli assassini non restassero impuniti e i loro delitti scivolassero in un complice oblio, a coinvolgere Juliàn nel Centro “Memoria e Azione”. Purtroppo il tempo era trascorso inesorabile, erano sorti, nel frattempo, altri gruppi di persone, che adottavano metodi d’indagine assai più moderni di quelli tradizionali, e i due antichi amici erano stati congedati dai responsabili del Centro stesso, ormai destinato alla chiusura. Ma la sete di giustizia che animava entrambi non si era placata; per Salva, poi, era divenuta un’autentica ossessione.
Un giorno Juliàn riceve una lettera proprio da Salva, il quale, solo al mondo, si è stabilito, nel frattempo, ad Alicante, nella Spagna del Sud, in una residenza per anziani. Nella missiva ci sono indicazioni e notizie, che inducono Juliàn a partire senza indugio, nonostante l’età, gli acciacchi, le raccomandazioni ansiose della figlia, la quale, dopo la morte dell’amatissima moglie Raquel (un’ebrea incontrata durante la deportazione), è il suo unico appoggio, la sua custode.
La tremenda esperienza patita -indelebile, come il numero che porta tatuato sul braccio- ha fatto piazza pulita di qualsivoglia fede religiosa nel suo animo, un nido dove, purtroppo, l’odio ha tolto molto spazio all’amore.
Ma Juliàn è pure dotato di una forte, sia pur inconsapevole, autoironia: mentre Salva era riuscito a consegnare al tribunale degli uomini diversi nazisti, così riflette tra sé e sé, egli non ce l’aveva fatta a catturarne nemmeno uno: i nemici finivano inevitabilmente per scappargli! L’amico si era consacrato totalmente alla causa, mentre lui aveva dato vita ad una famiglia per rifarsi un’esistenza, pur effettuando alcune ricerche, ovviamente infruttuose, dapprima su Adolf Eichmann, indi su Aribert Heim, il medico delle SS, austriaco, responsabile dell’uccisione di migliaia di persone, in primo luogo bambini (una delle “primule nere” del Terzo Reich).
Ma ora, le notizie, fornite per lettera, hanno resuscitato i vecchi fantasmi. Giunto a destinazione, c’è per Juliàn una dolorosa sorpresa: Salva è morto. Anzi, proprio sentendo ormai prossima la sua ora, gli aveva scritto quella lettera, con l’impegno, assunto dai responsabili della casa di riposo, di imbucarla subito dopo il suo decesso. La missiva finisce così per diventare una sorta di testimone, che passa da una mano all’altra, al fine di consentire il proseguimento della caccia ai persecutori.
Il nuovo arrivato si mette al lavoro, incoraggiato per paradosso da un incombente, inquietante senso della fine. Quali sentimenti si agitano nel suo animo? Odio, desiderio di vendetta, in primo luogo. E un pensiero domina gli altri: i criminali non hanno affatto il diritto di morire in pace! C’è un desiderio di vendetta o, meglio, un forte sentimento di giustizia: far sì che chi ha commesso crimini indicibili non riesca a cavarsela, grazie alla complicità di troppi e all’indifferenza -e all’ignoranza- di tanti.
Sandra è una giovane donna di circa trent’anni. Graziosa, capelli castani e una ciocca di capelli tinta di color rosso scuro, un piercing al naso, occhi tra il verde e il marrone che “ti fanno ridere da dentro”, come osserva qualcuno. Incinta di cinque mesi, è indecisa sul proprio futuro; infatti la storia d’amore col padre del bambino che sta per nascere non è per lei tanto intensa da meritare il matrimonio o un’unione stabile. Pur felice del suo stato, è profondamente sola e indifesa, in quella casa al mare cedutale per qualche tempo dalla sorella -siamo a settembre inoltrato nella Spagna del Sud, il sole è ancora caldo e il profumo delle foglie di limone avvolge l’aria-.
Un giorno la ragazza fa la conoscenza di una coppia di anziani stranieri, norvegesi per l’esattezza, Fredrik e Karin Christensen, residenti in una villa (Villa Sol) poco lontana, i quali si dimostrano subiti molto premurosi con lei. Ella vede ben presto in costoro quei nonni che non ha mai conosciuto. Attenti alla salute, i due prediligono cibi biologici, sono tranquilli e sereni: le appaiono così diversi dai suoi genitori, sempre preoccupati, concitati, in perenne lite per un nonnulla, soprattutto più vicini e in consonanza con la sorella maggiore, sposata e madre di famiglia.
Il temperamento di Sandra è un simpatico connubio tra pigrizia e ingenuità, condite da una discreta dose di falsa sicurezza di sé; anzi, ad essere sincera, la ragazza si sente spesso e volentieri col morale sotto le scarpe e incapace di affrontare le sfide dell’esistenza; tuttavia, proprio nei momenti più difficili, saprà rivelare incredibile coraggio e forza d’animo.
Ella si lascia coinvolgere dalla compagnia di Fredrik e Karin, al punto di trasferirsi nella loro casa ospitale, non badando più di tanto a certi sguardi duri ed inquieti di lui, che talvolta affiorano durante i colloqui.
Ma un’apparenza benevola può riservare terribili sorprese.
Non sempre un’opera letteraria in cima alle classifiche dei best seller è un bluff o uno scritto mediocre del quale dimenticarsi in fretta.
Clara Sanchez, nata a Guadalajara nel 1955, vive a Madrid ed è una delle più rilevanti scrittrici contemporanee: ha pubblicato alcuni romanzi tradotti in diversi Paesi, ma, finora, non in Italia. Nel 2000 si è aggiudicata il Premio Alfaguara con Ultimas noticias del paradiso.
Il profumo delle foglie di limone, uscito in Patria a inizio 2010 col titolo, assai più significativo, di Lo que esconde tu nombre, ha subito riscosso entusiastici consensi di pubblico e critica, tanto da far vincere all’Autrice il Premio Nadal, uno dei riconoscimenti letterari spagnoli più prestigiosi.
Nei mesi successivi il consenso è continuato insieme con le minacce dei gruppi neonazisti per avere la Sanchez messo in luce, col suo racconto, vicende che si ritenevano sepolte dall’oblio, complice il trascorrere del tempo.
Nel gennaio scorso il romanzo è stato finalmente pubblicato nel nostro Paese.
A tale proposito segnalo, tra i diversi commenti da me scritti, quello apparso  su:
www.sololibri.net .          (http://www.sololibri.net/il-profumo-delle-foglie-di-limone.html)

L’opera è strutturata su due voci narranti che si alternano, Julian e Sandra: l’una interfaccia dell’altra.
L’incontro tra i due -preceduto da appostamenti di lui, in cerca del momento più opportuno per rivelare alla giovane la propria identità e il vero scopo del suo viaggio in quel luogo di sogno; seguito dalla diffidenza, mista a curiosità, di lei- ha ragion d’essere proprio in quella coppia di anziani norvegesi. Non si tratta di due tranquilli pensionati, che si godono gli ultimi anni di buona salute, magari con figli e nipoti sistemati a dovere: entrambi sono criminali nazisti, colpevoli dell’uccisione di un notevole numero di ebrei, le mani lorde di sangue: “Insieme avevano formato una bella coppia, adesso erano solo due relitti. Bel viso, bel corpo, abbastanza alta da non sembrare una nana accanto a lui, la tipica donna del Nord [Karin]….era stata lei ad indurlo ad iscriversi al partito nazista e a farvi carriera…era il cervello della coppia” al di là dei bamboleggiamenti da bambina viziata (e da una fastidiosissima artrosi) “era lei che…aveva approfittato delle idee limitate e rigide di suo marito per spingerlo, e contemporaneamente spingere se stessa, sempre più in alto. Una storia come tante….”.
Sandra, all’inizio, non vuol credere a quanto le rivela Juliàn, quell’uomo, pressoché sconosciuto per lei, sugli ottanta, con in testa un panama; inoltre, del nazismo e della Shoah,ella sa ben poco, ha visto sì e no un paio di documentari e nutre, nei confronti della Tragedia, quella beata indifferenza che tante volte riscontriamo nei nostri figli, nonostante gli sforzi per sensibilizzarli; indifferenza mista a incapacità di credere che esistano persone e situazioni simili. ”Efferatezza contorta”, così ella definisce, ad un certo punto, il tratto caratteristico dei due.
Lenta è la presa di coscienza, da parte della ragazza, sul pericolo che stanno correndo sia lei che il bambino in procinto di nascere; anche perché i Christensen, autentici vampiri, stanno pian piano condizionandola psicologicamente (e non solo) approfittando della sua solitudine e precarietà di vita. La inducono a stabilirsi nella loro bella casa, offrendole ospitalità e un modesto compenso affinché ella assista Karin nelle quotidiane esigenze di vita.
Juliàn documenta con cura tutte le sue ricerche, aiutato da un certo punto in poi anche da Sandra: quella coppia diabolica è parte di una potente organizzazione sulla quale essi indagano a proprio rischio. Juliàn è deciso ad attuare la sua vendetta: pian piano essa prende corpo e sarà molto raffinata, quanto, a prima vista, impensabile.
Con notevole capacità espressiva Clara Sanchez ci accompagna in un ambiente intriso di orrore, reso ancor più tale sia dall’apparente normalità, sia, soprattutto, dallo splendente sole mediterraneo.
Sandra si domanda con inquietudine e paura -di fronte ad un contesto, fino a poco tempo prima, tanto lontano da lei- come possano esistere persone le quali non solo non si pentono delle loro efferatezze e vivono tranquille, ma sono divorate da una sete insaziabile di male.
Quelle realtà cui ella non aveva mai pensato (più lontana di Orione) ora era a due passi da lei!!!! Vi sono altri personaggi a far da contorno. Elfe, vedova di Anton Wolff, comandante di un battaglione di Waffen SS, al funerale del quale, presso il locale cimitero, Julian assiste da lontano.
Ritenuta debole dagli “altri”, alcolista, Elfe tenta il suicidio. E’salvata, su richiamo del proprio cane lupo, Thor, da Julian, appostatosi lì vicino per carpire materiale utile alle ricerche.
Ad un certo punto ella scompare, forse, ipotizza lo stesso Juliàn, eliminata dall’organizzazione perché la morte del marito ne aveva accentuato l’instabilità emotiva, e sussisteva perciò il rischio che avrebbe potuto lasciarsi sfuggire segreti e particolari compromettenti con estranei.
Alice, donna dura e con tendenze vagamente omosessuali, moglie di Otto: vivono in una casa, vera “overdose di lusso, che impedisce a qualsiasi cosa di spiccare”; oggetti su oggetti, rubati chissà dove a chissà chi. Con Karin si odiano, ma, poiché si trovano sulla stessa barca, sono in definitiva costrette ad andare d’accordo. Onnipresente è Frida, le fedele, dura cameriera, che fa le pulizie nelle case di alcuni di loro, dei quali cui gode la fiducia; osserva di sottecchi Sandra -di cui è gelosa, dato che quest’ultima è stata accolta da Karin e Fred con apparente affetto-, in attesa di vendicarsi in modo crudele. Fa parte a pieno titolo del “Gruppo”, anzi per lei, nella vita, esiste solo quello.
Sebastian Bernhardt, soprannominato da Sandra l’Angelo nero, freddo, razionale, meno fanatico di altri, ma più pericoloso, è il capo del Gruppo; uomo che riserva strane sorprese.
E poi c’è Aribert Heim, il Macellaio di Mauthausen -Clara Sanchez dà, ad un personaggio ispirato ai nazisti tranquilli, a modo loro!, sulle coste spagnole, il nome di un criminale realmente esistito, forse tuttora in vita, che Simon Wiesenthal ha cercato invano, per decenni, di catturare-, il quale passa in pratica tutto il tempo sulla propria barca, chiamata Stella, ancorata al porto; trascorre una vita solitaria, allietata da succulenti pranzi a base di ottimo pesce. E’ un tipo metodico (come quando massacrava esseri umani….) e scattante; anch’egli, come gli altri, si ritiene eterno.
Alberto, detto l’Anguilla è un uomo giovane, sorta di guardaspalle, con il collega Martin.
Non sembra cattivo. Dopo un primo momento di diffidenza, anzi Sandra ne è attratta, suscitando la contrarietà di Juliàn: “…aveva un volto pallido ed allungato ed una stempiatura che di lì a poco l’avrebbe lasciato senza quei sottili capelli castano chiari. Mi sembrava capacissimo di abbindolare una ragazza come Sandra”. L’uomo è preoccupato, teme per lei e prova infinita tenerezza per questa ragazza dal cuore caldo e grande.
Il romanzo ha una forte suspence, si legge d’un fiato, tanto è emozionante, con continui colpi di scena e confronti tra personaggi che non immagineresti; ci si lascia coinvolgere fino al redde rationem finale, quel precipizio dove tutti convergono, chi percorrendo il sentiero dei carnefici, chi quello delle vittime.
E’ il racconto del Terrore di fronte al Male; della Paura e del non potersi difendere da essa poiché troppo tardi ci si è accorti della sua venefica presenza e si teme di essere stretti tra le sue spire in modo irrimediabile. Viene esplorata con profonda drammaticità la concezione di vita di uomini da sempre chiusi in un mondo nel quale essi sono gli esseri superiori e gli altri nulla contano. Nessun sentimento di colpa, nessun rimorso; anzi coscienza di aver dato vita a qualcosa di grande, nonostante la disastrosa sconfitta in guerra. Se vi è qualcosa che possa, sia pure alla lontana, paragonarsi ad un sentimento, esso consiste nella bruciante afflizione per non aver portato la propria opera fino in fondo.
Ma intense sono pure le pagine in cui da Juliàn è evocato il ricordo della vita nel campo di Mauthausen (“là dentro”): la disumanizzazione totale, l’attaccarsi alla vita con tutte le forze, il tentativo, intrapreso con l’amico, di salvarsi l’un l’altro; quel sentire l’ombra del Male che ti si insinua dentro e il mondo che si oscura come se il sole stesse tramontando.
I caratteri dei diversi personaggi sono disegnati talora con tratti decisi, talora con pennellate lievi, ma lasciano sempre un segno indelebile. La solida intesa tra Sandra e Juliàn: l’uomo, prova un grande affetto, e forse inconsciamente amore, per lei, che talvolta gli rammenta l’amata moglie, morta sì, ma sempre presente per lui…
Il libro è dunque pure la storia del rapporto tra due generazioni lontane che si avvicinano. Il carattere e la prospettiva dell’uomo si trasformano grazie all’incontro con la ragazza;  tant’è che, ad un certo punto, questi afferma perfino: “…All’inizio pensavo solo alla vendetta. Adesso penso al futuro di persone come Sandra”. Nello stesso tempo però egli prova un profondo senso di colpa nei suoi confronti: comprende di averla “usata” per realizzare i suoi piani di vendetta e teme fortemente per la sua incolumità.
Sandra è coraggiosa, si butta in quest’avventura non per spirito di vendetta, ma per amore di giustizia, come asserisce anche Juliàn, e per mettersi alla prova.
Peraltro, non si deve dimenticarlo, è anche una giovane donna in attesa di un figlio, che si gode i (pochissimi) attimi di libertà, vaga per i negozi di articoli per bambini, abiti, biancheria per i piccoli….si prende i diritti della sua età e condizione di vita. Ventate di aria fresca e luminosa in un clima plumbeo.
Merito di Clara Sanchez aver puntato i riflettori su un aspetto non abbastanza conosciuto, relativo alla fuga dei criminali nazisti: si è a lungo parlato di Sud America -pensiamo alla trucemente celebre Via dei Topi, Ratlinie, ad Adolf Eichmann o a Erich Priebke-, di Paesi arabi -sia pure con una certa intuibile riluttanza-, ma la Spagna è sovente rimasta in ombra. Eppure non sono stati pochi gli esponenti nazisti che, a fine conflitto e anche dopo, hanno trovato un comodo nascondiglio in quel Paese, protetti dal regime franchista; una vita tranquilla, caratterizzata da lucrose attività economiche (compravendita immobiliare, settore alberghiero, ecc.). Quando poi alla dittatura è subentrata la democrazia, quelli ancora in vita si erano abilmente mimetizzati, come i personaggi del nostro romanzo, con ottime speranze di terminare i loro giorni sotto il caldo sole mediterraneo. O magari qualcuno ha trovato quella ricetta dell’immortalità cui pensava anche Adolf Hitler ……
Ma ecco affiorare dal passato chi non dimentica.
L’Autrice sa scavare nelle pieghe dell’inconscio, alternando il registro tenero a quello drammatico, riproponendo con notevole efficacia l’ambiente luccicante e crudele di questa gente che ancora si illude del proprio potere facendo leva sull’impunità che li ha protetti per decenni: indimenticabili le pagine dedicate alla lussuosa festa di compleanno di Karin, in occasione della quale la tremenda donna esibisce gioielli verosimilmente rubati a persone deportate.
Mostruose Arabe Fenici, stupisce la capacità dei nazisti di resuscitare dalle proprie ceneri.
“Loro” vincono sempre, afferma Juliàn, per concludere” ma stavolta non sarà così”.
Il romanzo porta in chiusura un’intervista alla scrittrice che ne riassume i temi salienti, quali, in primo luogo, la propensione dell’essere umano a cercare ciò che è turpe.
“Gli psicopatici attraggono, bisogna stare in guardia, sanno come manipolare gli altri e possono occupare gli scranni del potere. Bisogna avere buon senso, rimanere lucidi”.
Un’importante lezione, sempre vera.