Traduzione dal bulgaro di Sibylle Kirchbach, Ed. Baldini Castoldi Dalai, 2009, pp. 251, €. 19,00

 
“Se degli Ebrei ti bombardano di domande, ascoltale tutte, poi ritirati nella stanza accanto. Non noteranno la tua assenza…impegnati a discutere tra loro le risposte…Non azzardarti..in nessun caso a contraddirli”
 
Confesso che non conoscevo Angel Wagenstein fino a quando, poco più di un mese fa, sono venuta a conoscenza che il suo romanzo I cinque libri di Isacco Blumenfeld è uno dei tre finalisti del Premio letterario ADEI-WIZO “Adelina Della Pergola”, giunto alla 10° edizione.
Nato a Plovdiv in Bulgaria il 17 ottobre 1922, da una famiglia sefardita, come la maggior parte degli Ebrei di quel Paese, ma affascinato dalla cultura della minoranza ashkenazita, crebbe in Francia, dove la sua famiglia era emigrata per ragioni politiche. Ritornato con i genitori in patria a seguito di un’amnistia, frequentò le scuole superiori e aderì ad un gruppo antifascista.
Per le sue attività politiche fu catturato, torturato e condannato a morte, ma salvato dall’arrivo dell’Armata Rossa.
Prima di diventare narratore è stato sceneggiatore e regista.
Il film La Stella di David, da lui scritto e diretto da Konrad Wolf, ha ricevuto il Premio speciale della Giuria al Festival di Cannes nel 1959. Candidato per due volte al Premio Nobel per la Letteratura, ho visto le sue opere tradotte nei principali Paesi del mondo.
Con Shangai addio -2008, una storia d’amore e di spionaggio, ambientata nel periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale e uscita nel nostro Paese sempre con Baldini Castoldi Dalai- ha ottenuto in Francia il Premio Jean Monnet per la Letteratura Europea.
I cinque libri di Isacco Blumenfeld  è un’opera in cinque atti, tanti quanti sono gli snodi nella vita del protagonista, Isacco Blumenfeld, da questi narrata direttamente all’Autore, dapprima al Circolo Russo di Sofia, poi nella sua casa a Vienna, Via Margarethenstrasse n. 15.
Isacco, mite sarto galiziano, figlio di Rebecca e di Jakob, uomo semplice e buono, “corpulento con le lentiggini e un’indomabile mezzaluna di capelli rossi”, dallo sguardo triste e saggio -una figura presente in ogni epoca-, pur stupito per l’interesse manifestato da Wagenstein nei confronti delle sue vicissitudini, lascia a questi in eredità foto documenti, vecchie lettere, oltre ai resti di una sorta di diario.
La vicenda parte dal piccolo paese di Kolodez, uno shtetl presso Drohobycz (il luogo natale del grande Bruno Schulz!) -“voivodato di Leopoli, ossia L’vov”-, quel mondo pressoché scomparso nei forni crematori, una realtà in apparenza senza tempo, circondata dalla montante marea dell’antisemitismo.
Tra le carte lasciate allo scrittore vi sono cinque documenti da cui risulta che Isacco è stato, nell’ordine: Suddito dell’Impero austro ungarico; Cittadino della Repubblica polacca, Cittadino sovietico; Individuo di razza ebraica residente nei territori orientali del Reich, privato di cittadinanza e diritti civili, nonché quanto prima, secondo i ferrei programmi nazisti, pure della vita; infine Cittadino della Repubblica federale austriaca.
Cinque documenti; Cinque vite; Cinque libri…un Pentateuco domestico che Wagenstein pubblica -dopo la morte di Isacco, poiché questa era stata la volontà da questi espressa-, senza niente aggiungere o tacere.
Ne scaturisce un racconto lieve ed ironico, velato di malinconia, ricco di una saggezza antica, smitizzata dall’irresistibile, sovente spietato, humourdella barzelletta ebraica, la hokhmah, in yiddish. Storielle nelle quali una scena ne richiama un’altra e un aneddoto è posto all’interno di quello precedente. Una fantastica matrioška narrativa.
Facciamo conoscenza via via, con i diversi personaggi del libro.
Il Rabbino Shmuel Bendavid, l’uomo che sa trovare una storia adatta ad ogni circostanza, come quella che riguarda il conto dell’Ultima Cena, mai pagato nell’arco dei secoli, né dal Papa appena eletto, cui il conto in questione viene sottoposto poco dopo ogni Conclave, né dal Rabbino Capo di Roma, presentatore.
Uomo contraddittorio, impegnato nel ruolo di guida spirituale, sia nella Sinagoga (per assistere coloro che credono in D-o), che nel Circolo degli Atei (per assistere coloro che credono in Marx), Shmuel Bendavid è persona piena di amore per l’umanità, amico di una religione del cuore e della libertà; egli vanta inoltre una sorta di sesto senso nell’avvertire le minacce che avanzano, contrariamente al candido Isacco. Sua sorella è la dolce Sara, della quale si innamora il protagonista; i due si sposeranno e avranno tre figli, ma lei sarà uccisa in campo di sterminio e i ragazzi cadranno combattendo per la libertà contro la tirannide nazista.
E che dire di zio Chaimle, uomo del tutto fallito sul piano della vita, ma pieno di arguzia e generosità? Egli ha un serbo uno straordinario regalo -una sorta di secondo bar mitzvah- per il giovanissimo nipote in partenza per la guerra, dove l’Impero austro-ungarico, a detta dei proclami, mostrerà al mondo la sua gloria (sarà invece proprio la Prima Guerra Mondiale a condurre tale crogiolo di popoli, ormai in crisi irreversibile, al tracollo definitivo).
Impagabile la capacità dello scrittore di accostare realtà contrastanti e inconciliabili: la tenerezza di un fugace incontro con Sara contrapposta alla retorica militare fatta di frasi roboanti e vuote, ripetute all’infinito.
Altro punto fermo è l’(auto) ironia, la capacità eterna ed inimitabile degli Ebrei a ridere su se stessi e delle proprie sciagure, come quando viene diffuso, in quello strano cocktail linguistico, miscuglio di “tedesco e di lingue slave con un’aggiunta di assiro-babilonese”, che è lo yiddish, il notiziario del sabato sera a Kolodez, che non ignora quel tal Adolf Schicklgruber, il quale “forse avrebbe preso il potere in Germania, pur essendo solo un caporale austriaco; quel pezzo di antisemita che, da solo, valeva più di Nabucodonosor e di altri degenerati insieme”.
Lo strazio della Shoah pian piano avvolge l’esistenza di Isacco: egli riesce a sopravvivere grazie ad una buona dose di intelligenza e di furbizia, oltre che all’indispensabile fortuna; ma, dopo il ritorno alla vita, quante domande…. A cominciare da quelle più comuni: dove sono finiti i gioielli rubati agli ebrei?
Per continuare con i quesiti più difficili, senza un’apparente risposta, talmente disperanti da farti capire il gesto estremo dello scrittore Stefan Zweig, suicidatosi in Brasile con la moglie nel 1942, perché aveva avuto la precognizione di ciò che sarebbe successo.
Quelle domande tremende sul perché del male nel mondo, ma in grado di lasciare (forse) aperta la porta alla speranza: “L’essere umano è come una formica indifesa nelle potenti e impetuose tempeste del destino e non le è dato giudicare se le sventure che le [alla formica] capitano sono una punizione del Signore oppure un segno del suo amore e della previdenza divina”.
 
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