Alberto Perdisa Editore, Settembre 2008, pp. 82   

“La vita in campagna era una continua rappresentazione, uno spettacolo che ogni personaggio offriva agli altri e a se stesso. Ognuno di noi giocava un ruolo, come i personaggi di un presepio o della Commedia dell’arte, ma spontaneamente”.
 
L’Autore di queste righe, quanto mai evocative, è un illustre avvocato bolognese, specializzato in Diritto amministrativo; materia che sembrerebbe lontanissima da suggestioni e digressioni poetiche. Invece Francesco Paolucci, con la stessa passione con cui svolge l’attività forense, ha saputo raccogliere in questo libretto -da lui definito “diario minimo”, ma che tanto minimo non è: tra l’altro è impreziosito da belle foto d’epoca- i pensieri, i sentimenti, le difficoltà, la paura, le speranze di un ragazzo di tredici anni, lui stesso, di fronte ai drammatici eventi che si dipanarono dal 25 luglio 1943 in poi, a cominciare dall’armistizio dell’8 settembre, che, come egli scrive, costrinse i cittadini a “far da soli le loro scelte, non solo politiche, ma anche di vita”. Il durissimo scontro, non solo verbale, tra il padre di Francesco e un militare tedesco, in merito all’onore degli italiani, costringe la famiglia a lasciare con urgenza Rimini, dove si trova in villeggiatura. A causa dello sfollamento dalle città era impossibile rientrare a Bologna e così il gruppo sceglie, anche per ragioni di prudenza dopo quel grave episodio, la villa di campagna degli zii Rusconi, a Castel S. Pietro Terme, per tutti “Castello”, un prospero centro sulla via Emilia, lambito dal torrente Sillaro, quasi all’imbocco della Romagna.
Il tono del racconto è lieve -con precise indicazioni dei luoghi, il che t’invita ad intraprendere passeggiate per (ri)trovarli-, non privo di una certa ironia, con la consapevolezza che andava maturando una nuova coscienza, mescolata con le ambasce quotidiane dovute alle difficoltà di vita. Il ragazzo si rende pian piano conto che, dietro l’apparente calma, l’ambiente comincia a fermentare, anche nella tranquillità conservatrice del mondo rurale.
La Disillusione e la Rabbia nei confronti della Repubblica Sociale, creatura del Reich, sono destinate a trasformarsi in lotta attiva: “si creò così l’occasione per cominciare a ragionare in termini politici e ad immaginare di poter resistere…E in modo non pacifico”. Si rafforzano e proliferano quei gruppi che, già nel periodo fascista, avevano iniziato la loro opposizione al regime. In primo luogo quelli aderenti al movimento di “Giustizia e Libertà”, cui aderirono lo stesso padre di Francesco e il Prof. Renato Giorgi, figura di primo piano nella crescita umana e politica dell’A.
La vita quotidiana è ripercorsa con immagini vivide, dove il De bello gallico e le proiezioni ortogonali sono mescolati al risuonare di discorsi adulti, all’inizio poco comprensibili, all’ansia per approvvigionamento dei generi di prima necessità e ai diversi problemi creati dall’insediamento, nella medesima abitazione, della fanteria e contraerea tedesca. I ricordi emergono nitidi, pur a distanza di tanti anni, nel racconto ricco di partecipazione: quel misto di paura e di magia suscitato dall’oscuramento, con il conseguente uso delle lampade a petrolio che rendevano la villa una “casa abitata da fantasmi, con una luce che si spostava, ma non si vedeva mai chi la portava…” Il sapore evocativo di un raro pezzo di pinza, la tradizionale ciambella bolognese arrotolata con marmellata…Il dormire con un occhio aperto e l’orecchio teso ai movimenti di “Pippo”, il notissimo aereo notturno americano, che “svolazzava qua e là lasciando cadere a caso una bomba” per poi scomparire fino alla volta successiva. La nascita dell’amore per la lettura, complice la scoperta della vasta biblioteca dello zio. L’ascolto di Radio Londra, trepidante fin da quella sigla che altro non era che il timpano della Quinta di Beethoven.
Il terribile bombardamento che, nel gennaio 1944, ferisce il centro storico di Bologna, distruggendo edifici come l’antico Teatro del Corso o il celeberrimo Hotel Brun (lasciandovi, a severo monito, significative vestigia) e la conseguente corsa al saccheggio delle case rimaste incustodite dai proprietari sfollati. Triste copione che si ripete in tutte le guerre.
Anche a causa dell’impegno politico del padre, il nostro protagonista è maturato in fretta, rispetto ai cugini più grandi di età che talora, rischiando di brutto, va a trovare in bicicletta nella vera casa di campagna della famiglia, posta in una frazione del Comune di Budrio: oh, Riccardina dreaming!
Tante schegge di vita che si conservano immutate nel tempo, venate di affettuosa nostalgia, con descrizioni a volte esilaranti, come il tentativo di salvare l’insostituibile ricchezza, costituita dal maiale, dalle brame degli invasori affamati. Le iniziali piccole azioni di sabotaggio si trasformano nella partecipazione, come staffetta, ad iniziative di appoggio ai gruppi partigiani. Francesco commenta la difficile vita di brigata, sempre a rischio: in quel territorio abita, insieme ad altri personaggi pericolosi, una coppia trucemente famosa, gli attori Luisa Ferida e Osvaldo Valenti.
Senza contare l’angoscia, provata dal padre e da tutti coloro che provenivano dall’esercito, di trovarsi prima o poi di fronte a connazionali, magari conosciuti, che militavano nella parte avversa.
Uno spazio importante nel racconto è riservato ai genitori.
La figura paterna è tracciata con profondo affetto. Uomo d’azione, dotato di notevoli abilità manuali che gli furono di grande aiuto psicologico nei momenti di maggiore tensione, aveva partecipato alla guerra in Grecia; indi, visto che questa esperienza “non gli era bastata”, aderisce alla Resistenza col nome di battaglia di “Orso”. Ad un certo punto egli diviene dunque “uccel di bosco”, ma la sua presenza è quanto mai forte.
L’amore per la madre è raccolta in sintetiche, significative frasi; ma soprattutto in quel toccante modo di nominarla: “mamma”, senza articolo, seguito dal verbo che esprime l’azione da lei compiuta.
Nel recente incontro pubblico di presentazione del libro l’A. ha evidenziato la serenità (“stupenda”, l’ha definita), che ha contraddistinto sempre la vita della sua famiglia nonostante gli eventi tragici “…..in cui eravamo coinvolti. Una lezione per i miei figli”. Cioè i tre giovani Paolucci, dedicatari dell’opera, cui il padre ha inteso indirizzare il lungo racconto di un periodo emozionante che ne ha forgiato il carattere e stimolato lo spirito di avventura.
Un piccolo gioiello letterario da godere in un momento tranquillo, quando intorno a noi c’è quiete. E si può assaporare il cibo della Memoria, magari sotto forma di una Torta Nera, che compare in tavola ogni 3 dicembre.
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